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Discanto

Nulla è conquistato per sempre

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Metto subito le mani avanti: lo so, ormai da diversi mesi insisto in questa rubrica a parlare della guerra in Ucraina. Mi perdonino i lettori che non amano le ripetizioni, ma a mia giustificazione va detto che – al di là della terribile macrospicità dell’evento – il fatto che nel cuore dell’Europa si stia consumando una guerra fratricida, che tutti pensavamo impossibile in una regione del mondo ormai considerata civilizzata, dice molto di noi, delle nostre società, delle nostre economie, del nostro modo di sentire e concepire la politica, europea e globale.

Ci dice, per esempio, che nel mondo ad avere statisticamente la meglio sono i regimi autoritari o le finte democrazie. Che numericamente parlando, ci sono più popolazioni che vivono in difficoltà, fame, assenza del minimo indispensabile, per non parlare di una scuola o di una sanità degne di questo nome, rispetto a quelle che posso dire di godere di un livello di sussistenza dignitosa. Ci dice anche che le nostre economie sono più fragili di quel che sembra, minacciate perennemente da ingordi speculatori finanziari che si nascondono dietro le solite banche d’affari, e funestate da amministratori pubblici che non sanno scegliere per il Paese le alleanze giuste. Giuste non solo e non tanto perché economicamente proficue, bensì giuste perché eticamente non riprovevoli. Ci dice che la pace e le libertà di cui godiamo, come cittadini italiani ed europei, sono ben lungi da essere patrimoni acquisiti.

L’Ucraina ci dimostra che i diritti, anche quelli più fondamentali, non sono conquistati per sempre. Che vanno salvaguardati e coltivati, non solo per noi e per i nostri cari, ma pretesi per tutti. Anche per coloro che consideriamo potenziali avversari. Se permettiamo che delle persone siano trattate come carne da cannone, sui campi di battaglia o quando scendono dalle barche dopo aver attraversato il Mediterraneo, stiamo consentendo che la nostra stessa dignità di uomini e di donne sia offesa. La pandemia ha plasticamente dimostrato come i destini dell’umanità siano strettamente connessi, quindi, se non vogliamo rinunciare a quanto abbiamo, dobbiamo quanto meno permettere che anche altri possano lavorare per poter avere altrettanto. Perché, come ebbe a ripetere strenuamente Gino Strada, «i diritti se non sono di tutti, sono solo privilegi».