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Dal fondo retail all’equity crowdfunding: voglia di Venture Capital in Italia

Nel 2020 i numeri più alti fatti registrare dal settore nel nostro Paese con 306 operazioni e da oltre 780 milioni di euro. Si moltiplicano anche le operazioni cross-border

Da 165 a 780 milioni. Numeri cinque volte maggiori in soli cinque anni. Basterebbe questo a far comprendere il cambio di passo del mercato del Venture Capital in Italia. Nel 2020, però, il settore ha accelerato ulteriormente, “merito” di una pandemia che ha portato al settore una veloce e capillare penetrazione dell’e-commerce oltre che un richiamo delle grandi corporate verso innovazione e start up. A questi fenomeni – si evidenzia nel recente report di BeBeez per P101 Sgr sul mercato del Venture Capital – si è affiancata, inoltre, la “scoperta” del venture come asset class interessante per gli investitori del nostro Paese: dal retail al family office.

I numeri del Venture Capital italiano

Monitorando investimenti condotti da parte di fondi di Venture Capital, holding di investimento, Corporate Venture Capital, business angel e crowd delle piattaforme di equity crowdfunding, ma anche da investitori non tradizionali, come fondi di Venture Debt e altri finanziatori, banche incluse il report di P101 Sgr ha registrato nel 2020 un totale di 306 round per 780,5 milioni di euro. Nel 2019 gli stessi operatori avevano investito 605 milioni in 244 operazioni. Come già illustrato dal Venture Capital Barometer 2020 realizzato da EY in collaborazione con VC Hub Italia, il settore che ha attratto più investimenti resta il fintech, che in base ai dati analizzati dall’Osservatori P101, da solo ha raccolto oltre il 30% del totale arrivando a 244 milioni e 32 operazioni dedicate alle start up in questo settore. In un anno di pandemia, anche il settore farmaceutico-biotech ha vissuto uno sprint, in Italia come in Europa e ha visto le start up in questo settore raccogliere oltre 120 milioni di euro (15,5% del totale) in 56 round. Il primo report sul venture capital di P101 Sgr aveva individuato già nel 2017 il trend del foodtech (e-commerce e consegna a domicilio di cibi freschi direttamente dai produttori) che è rimasto ambito “caldo” spinto dall’emergenza Covid-19: con oltre 88 milioni di euro raccolti (11,3% del totale) e 44 round. La tendenza continua anche nel 2021: a gennaio 2021 Cortilia, la scaleup foodtech ha infatti incassato 34 milioni di euro di investimento, erogati dal family office Red Circle Investments di Renzo Rosso insieme ai fondi e i precedenti investitori della scale up, cioè Indaco Ventures, Five Seasons Ventures, Primomiglio Sgr e P101 Sgr.

I dati del Venture Capital nel mondo

L’accelerazione registrata nel nostro Paese, soprattutto nel secondo semestre, è stata comune al mercato a tutte le latitudini. Sono stati quasi 300 i miliardi di dollari investiti dal Venture Capital nel 2020 a livello mondiale (secondo solo al 2018 che aveva toccato quota 322 miliardi) e 391 miliardi il valore dei disinvestimenti negli stessi 12 mesi (maggiori degli investimenti e oltre il doppio rispetto al precedente valore record – 179 miliardi – del 2018). Un dinamismo che ha portato circa 2.500 fondi, in tutto il mondo, a esaurire le riserve ed essere attualmente in raccolta con un target di oltre 200 miliardi di dollari e verosimilmente poca difficoltà a trovarli. Il 2020 ha infatti ri-confermato, per il decimo anno consecutivo, il Venture Capital come strategia di investimento alternativa più performante, con un Irr mediano netto del 18% da parte dei fondi vintage 2017

Cosa ha contribuito a questa crescita? A livello mondiale – così come anche italiano – ha certamente contribuito un più organico ingresso del Corporate Venture Capital nel settore: 29 le operazioni cui hanno preso parte i Corporate Venture Capital italiani nel 2020. Chi sono stati? Da una parte investitori industriali che, sollecitati da pandemia e lock-down, hanno sentito l’urgenza di affiancare gli operatori specializzati – fondi VC – nell’investimento in giovani aziende innovative, in ottica di open innovation. Dall’altra grandi aziende che si sono rivolte alle migliori start up in portfolio agli operatori specializzati, per portare innovazione rapidamente a bordo. In ordine temporale (e non esaustivo): Poste Italiane che a maggio 2020 ha investito in Milkman, scale up specializzata nell’ingegnerizzazione del last mile delivery, Campari che il mese successivo ha acquisito il 49% di Tannico (vendita di vino online), Genextra che in agosto ha finanziato la start up Innovheart (transcateteri della valvola mitrale), Intesa Sanpaolo che nell’ottobre 2020 ha partecipato all’investimento nell’azienda di domotica design iotty, fino a Banca Generali che nel mese di novembre è entrata nel capitale della fintech Conio. Una tendenza destinata a consolidarsi e a crescere e la cui potenza di fuoco, non ancora stimata (il Corporate VC partecipa solitamente a round con più player senza rendere noti i propri ticket, che possono essere calcolati quindi solo da analisi di bilancio nell’anno successivo al deal), potrebbe imprimere ritmi di crescita al settore mai visti prima e rendere più dinamico il finora statico scenario delle exit.

C’è voglia di Venture Capital in Italia

A prendere forma – e ad aggiungere ulteriori volumi al settore del VC italiano – nel corso degli ultimi 12 mesi ha contribuito anche un altro fenomeno: l’aprirsi di questa asset class anche al retail. A gennaio 2020 è partito infatti il fondo istituito da Azimut e gestito in delega da P101 Sgr – Italia 500 (fondo comune di investimento alternativo di tipo chiuso non riservato) – con obiettivo 40 milioni che nel giro di poche settimane ha raggiunto il proprio target attraverso il collocamento presso circa 2.000 investitori retail. A conferma di questa dinamica di orientamento verso l’investimento alternativo da parte degli investitori retail, nel corso del 2020, si sono registrati anche il concludersi di 12 campagne di equity crowdfunding a favore di veicoli destinati all’investimento in startup con una raccolta di circa 24 milioni e 1.050 investitori coinvolti.

Al segmento, infine, negli ultimi 12 mesi, si sono accostati con maggiore slancio e interesse, anche i family office facenti capo a famiglie o singoli più o meno noti e/o già attive nell’attività di investimento in start up, spesso con investimenti dal loro business di origine: da Nerio Alessandri con la sua Welness Holding (Boom) alla famiglia Rancilio con Rancilio Cube (….) fino alla Red Circle di Renzo Rosso (Cortilia) passando da personaggi “insospettabili” come Zlatan Ibrahimovich (Dante Medical Solution) e Luca Argentero (Befancy.fit)

Investimenti cross border

Fortemente consolidatasi poi, nel 2020, la tendenza che vede sempre più investitori internazionali puntare su start up e scale up italiane (o fondate da italiani, ma attive al di fuori dei confini nazionali) così come investitori italiani prendere parte a round di investimento su società fuori dai confini nazionali. Il 2020 è stato l’anno in cui Satispay ha ricevuto l’impegno di colossi come Lgt Lightstone, Tencent e Square; Enthera ha visto entrare nel capitale Sofinnova Partners, Abbvie Ventures e Jdrf T1 Fund, fino al più recente Casavo che in questo marzo 2021, oltre ad aver incassato l’impegno di Goldman Sachs a sottoscrivere ben 150 milioni di euro di Venture Debt, ha annunciato un round da 50 milioni di euro di equity guidato da Exor Seeds, il veicolo di Venture Capital di Exor, affiancato da P101 e Italia 500 di Azimut Libera Impresa Sgr (gestito in delega sempre da P101) e al fondo spagnolo Bonsai Partners. Al round di Casavo hanno partecipato anche Greenoaks Capital, Project A Ventures, 360 Capital e Picus Capital, già investitori nei precedenti round di finanziamento. Sempre nel 2020 si sono fatte valere le scale up a matrice italiana ma con sede all’estero come le fintech Supply@ME, Yapily e TrueLayer, la piattaforma per il riconoscimento biometrico Keyless e su tutte, a marzo 2021, la Kong fondata da Marietti e Palladino che ha ricevuto fondi per 100 milioni di dollari e che ora, con una valutazione da 1,4 miliardi di dollari, è entrata a tutti gli effetti nell’olimpo degli unicorni. Sul fronte opposto sempre più fondi VC e altri investitori italiani sono diventati attivi sulla scena internazionale: da Poste Italiane, socia della fintech svedese Tink, che ha incrementato nel 2020 le sue quote, a P101 Sgr che ha irrobustito la sua presenza in Spagna investendo nuovamente in Colvin nel 2020 e poi in Bipi a inizio 2021 o, ancora, Panakès Partners che ha partecipato al round di Salvia Bioelectronics.

I ritorni del Venture nel mercato domestico

Il crescere dell’attività di M&A sulle startup ha iniziato a portare con sé exit interessanti per gli investitori iniziali. A partire dall’operazione di Campari su Tannico (in cui a vendere sono stati il fondatore, il veicolo Boox srl e P101 Sgr) e arrivando a quello di Iccrea Banca con Satispay che ha ceduto quote per 25 milioni di euro nel corso dell’operazione di aumento di capitale dello scorso novembre 2020. L’Ipo, invece, ha continuato a rimanere anche nel 2020 una way-out rara. Nonostante il dinamismo dello scorso anno, continua a mancare una robusta statistica dei rendimenti delle operazioni chiuse: unico dato attualmente ancora a disposizione è quello Aifi/Kpmg5 che a luglio 2020 indicava (su dati 2019) un Irr lordo aggregato del 14,8% calcolato su 10 deal, in aumento dal 4,4% del 2018 calcolato su 33 deal. “Se il dato medio di Irr del 14,8% sulle operazioni domestiche di Venture Capital continuerà a confermarsi su campioni più ampi e sul lungo periodo, è segno che – anche se su scala ridotta – il nostro Paese sta imboccando la giusta strada e quasi raggiungendo i rendimenti registrati nelle grandi economie in cui il Venture rappresenta una strategia di investimento ormai consolidata” dichiara Andrea Di Camillo, Founder e Managing Partner di P101. “Date le dimensioni imparagonabili tra il nostro mercato e quello Usa – che in termini di ritorni esprime però un dato non lontano dal nostro – forse questo vuole dire che appena le disponibilità iniziano ad aumentate le nostre start up vengono messe in grado di liberare le loro capacità, i risultati si vedono. E un ulteriore conferma del talento italiano viene anche dalla capacità delle start up dei nostri connazionali all’estero di attrarre investitori e capitali importanti. Evidentemente”, conclude Di Camillo, “è un fenomeno che non sfugge agli investitori retail che hanno iniziato nell’anno appena passato a rispondere con entusiasmo alle proposte di investimento messe a punto per loro”

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