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Il futuro “stellare” della space economy

In Italia il settore “extraterrestre” vale 1,6 miliardi di euro e 6 mila posti di lavoro, con ampie prospettive di sviluppo, anche perché le sue applicazioni sono le più insospettabili

Che cosa hanno in comune le auto che si guidano da sole, i termometri a infrarossi che si infilano nell’orecchio, i sensori delle macchine fotografiche digitali e una busta di patatine fritte? La risposta è fin troppo facile: la space economy.

Benché apparentemente provenienti da pianeti diversi, infatti, tutte queste applicazioni e invenzioni hanno un’origine comune nella ricerca finalizzata all’esplorazione spaziale. Per esempio, il sistema europeo Galileo («l’elemento unificante più forte per l’Europa dopo l’euro», garantisce l’Agenzia spaziale italiana) affiancherà presto il tradizionale Gps garantendo una precisione assoluta nel posizionamento terrestre, che permetterà la guida autonoma delle auto, mentre il programma Copernicus vigilerà sulla salute del Pianeta. Il termometro a infrarossi, così come i sensori Cmos delle reflex, sono stati progettati per permettere operazioni comuni sulla Terra ma complicatissime tra le stelle. E le patatine vengono fatte cadere nelle buste sfruttando i calcoli approntati per le traiettorie di sonde e satelliti, in modo da farle arrivare intatte e croccanti tra i vostri denti. E lo stesso vale ancora per il mouse del computer, le tute ignifughe dei pompieri o le protesi per le persone disabili. E ancora per il goretex, derivato dalle tute degli astronauti, il velcro al posto di bottoni e zip, i rilevatori di fumo, le gomme da masticare al fluoro e gli impianti a energia solare. Persino gli occhiali da sole arrivano in qualche modo “da Marte”, così come alcuni giubbotti: da quelli per motociclisti di Dainese a quelli ultraleggeri in aerogel dell’azienda Corpo Nove.

L’importanza della space economy nella nostra vita

Basterebbero questi pochi esempi per capire l’importanza della space economy nella nostra vita, senza bisogno di attendere le evoluzioni del turismo stellare promesse da Elon Musk (Space X) e concorrenti. Addirittura, alcuni studi hanno stimato che i circa 25 miliardi di dollari stanziati per il programma lunare della Nasa siano stati triplicati dalle ricadute tecnologiche oggi sul mercato. E se c’è un po’ di Nasa in ogni momento della nostra vita, c’è molto di italiano nell’attuale ecosistema globale dell’economia extraterrestre. Il nostro Paese è, infatti, il sesto al mondo, e il terzo in Europa, per investimenti (512 milioni di euro all’anno garantiti dall’agenzia Spaziale italiana). Nel settore lavorano 6 mila addetti, che collaborano a una produzione di altissima qualità dal valore di oltre un miliardo e mezzo di euro (senza contare indotto e fornitori). E se ogni tanto vi perdete a contare le stelle, sappiate che lo stesso potreste fare cercando di calcolare i satelliti: sono 1.500 quelli attualmente in giro attorno alla Terra. Ne servirebbero 4.500 per garantire la connessione a internet dallo spazio: insomma, le previsioni del traffico annunciano lunghe code tra le orbite come a Milano in ora di punta.

Definizione di space economy: facciamo chiarezza

Bisogna innanzitutto fare chiarezza sul significato della space economy. Non c’è solo la corsa verso altri pianeti o, appunto, il sogno del turismo spaziale per portare passeggeri danarosi a fare un giro tra gli astri. Telecomunicazioni, navigazione, esplorazione, osservazione della Terra, test di microgravità, applicazioni scientifiche e lancio di satelliti: sono queste le costellazioni di un’attività che a livello globale vale 291 miliardi di euro, in grandissima parte finanziati dagli Stati, ma con una parte sempre più rilevante di presenze private (sono oltre 13 miliardi gli investimenti non pubblici dal 2000 al 2015). Durante il periodo della crisi, dal 2008 al 2013, la media dei budget istituzionali dei Paesi Ocse è sì scesa, ma di poco, passando da 52 a 50,8 miliardi. E nello stesso periodo Brasile, Russia, India e Cina hanno incrementato i loro investimenti da 16,5 a 24 miliardi di dollari. Un chiaro segnale della consapevolezza di come lo spazio sia un luogo decisivo dove misurare le capacità scientifiche e tecnologiche del Paese, ossia quelle che in gran parte finiscono per determinare la crescita del pil. Nel settore aerospaziale convergono infatti tutte le sei Key Enabling Technology e vi si possono identificare almeno una dozzina delle 84 tecnologie prioritarie.

Il ruolo dell’Italia nell’industria dello spazio

«L’Italia può vantare una filiera completa, dal lanciatore Vega ai satelliti fino al segmento di terra. Grazie a questo, ci stiamo attrezzando per un sistematico sfruttamento industriale dei dati spaziali, perché l’obiettivo di mettere i satelliti in orbita è poi sfruttarli», spiega Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). «Se per quanto riguarda la comunicazione e la navigazione, è facile capire quali possano essere gli sbocchi commerciali, per l’osservazione della Terra invece è più complicato. Esistono applicazioni variegate, da tagliare un po’ su misura come il vestito di un sarto: c’è chi vuole controllare a distanza un terreno agricolo, chi monitorare i micromovimenti di una frana, chi tracciare le rotte delle navi oppure ancora chi vuole poter intervenire tempestivamente in caso di disastro naturale. Le applicazioni sono infinite, vanno rese facili da usare per conquistare il mercato». Tra gli obiettivi del piano Space Economy italiano ci sarebbe anche la completa automazione dei mezzi di trasporto aerei, marittimi e terrestri nel giro del prossimo trentennio. Ecco, dunque, come le strategie indicate dal pubblico possono collaborare con gli interessi delle 190 aziende – tante piccole e medie, ma anche colossi come Avio e Thales Alenia Space –, iscritte all’associazione di categoria (Aipas). «Non c’è da stupirsi del ruolo dello Stato, parliamo di altissima tecnologia d’interesse pubblico, ma è in atto un’evoluzione importante», chiarisce Battiston: «Nessun Paese oggi implementerebbe da zero una rete satellitare, al massimo comprerebbe un satellite per la banda larga da un’azienda privata e si occuperebbe del lancio, perché quest’ultimo è un ambito dove la redditività è ancora da dimostrare. Ma anche qui le cose stanno cambiando dopo la quotazione di Avio».

Il primato di Avio

L’azienda di Colleferro, infatti, è divenuta la prima industria di razzi al mondo a quotarsi in Borsa. Quello dei lanciatori è un settore del valore di 5 miliardi di dollari, dove la domanda supera l’offerta. Nei prossimi cinque anni si prevede un raddoppio dei satelliti da lanciare e i margini di crescita sono difficilmente prevedibili (non meno del 10%). Forte dei suoi Vega (35% del mercato dell’orbita bassa per il lancio di satelliti di piccola e media taglia), Avio ha lanciato sul segmento Star il 65% del suo flottante con la quota di controllo in mano a Leonardo (28%). «La transizione al privato dunque è già partita e forse nel 2024 persino una parte della Stazione spaziale internazionale potrebbe essere ceduta alle aziende interessate», conclude il presidente di Asi, che continua a lavorare per il successo delle nostre aziende in ogni possibile ambito: «Con Space X abbiamo un accordo esplorativo, con Orbital lavora già a pieno ritmo Thales Alenia Space (vedi intervista). Inoltre, abbiamo un accordo consistente per la creazione di uno spazio porto di Virgin Galactic in Italia. I turisti spaziali di Richard Branson avranno più piacere a partire da uno spettacolare contesto italiano piuttosto che dal deserto del Mohave. E tutto questo è possibile grazie alle competenze acquisite dalle nostre aziende in 55 anni di attività».

* Articolo pubblicato su Business People luglio 2017

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