Rinnovabili, il futuro dell’elettricità nelle mani degli energy citizens

Entro il 2050 quasi la metà del fabbisogno energetico europeo potrebbe essere soddisfatto dall’autoproduzione

Le rinnovabili sono in crescita: optare per fonti di energia diverse dai carburanti fossili ha cambiato le modalità di approvvigionamento dell’elettricità, e presto potrebbe portare alla fine delle grandi utility e delle centrali elettriche tradizionali. Uno studio commissionato da Greenpeace, infatti, fa pensare che entro il 2050 la metà dei cittadini Ue produrrà autonomamente l’elettricità necessaria per la propria abitazione, e che il 45% del fabbisogno del Vecchio continente potrebbe essere coperto dall’autoproduzione.

CHI SONO GLI ENERGY CITIZENS. A dirlo è il centro CE Delft, specializzato in tematiche ambientali, che è stato interrogato da Greenpeace riguardo all’impatto del mini-eolico e del fotovoltaico, i cui costi in discesa hanno portato a una maggior diffusione sul territorio europeo. Secondo il centro, il futuro dell’energia sarà dominato dai cosiddetti “energy citizens”; tale categoria comprende non solo i singoli privati, ma anche le piccole e medie aziende e gli edifici pubblici. Questi cittadini avranno un ruolo importantissimo nella produzione di elettricità del domani: entro il 2030, infatti, essi potranno arrivare a coprire circa il 19% del fabbisogno europeo. Gli Stati che trainano la corsa verso questo obiettivo sono Svezia e Lettonia, che hanno preso davvero sul serio la sfida delle rinnovabili e puntano a risultati ancora migliori rispetto a quelli stabiliti da Bruxelles: entro il 2050 i cittadini autonomi a livello energetico nei due Paesi potrebbero essere rispettivamente il 79 e l’83%.

LA SITUAZIONE ITALIANA. Decisamente meno importante il contributo dell’Italia, dato che nel 2050 si stima che i cittadini produttori di energia potrebbero essere due su cinque, con una copertura del fabbisogno energetico italiano del 34%: qui, a collaborare saranno i privati e le cooperative con una quota del 27%, seguiti dalle piccole e medie imprese (25%); nullo o quasi il contributo del pubblico (solo l’1%). La situazione è, secondo Greenpeace, imputabili ai provvedimenti che disincentivano consumo e produzione di energia, in particolare con l’introduzione, nella tariffa elettrica, di ostacoli che portano alla limitazione dell’autoproduzione: ciò ha portato, ad esempio, al crollo dei nuovi impianti fotovoltaici (nel 2014 ne sono stati attivati 150 mila, mentre l’anno scorso sono stati solo 722). La soluzione, secondo Greenpeace, è in mano all’Unione Europea: si spera, infatti, in una revisione della Direttiva sulle Energie rinnovabili, che adegui le tariffe alle esigenze di quei cittadini che «immettono in rete l’elettricità prodotta in eccesso e che utilizzano sistemi di accumulo e sono impegnati nella gestione della domanda», oltre al riconoscimento della priorità di accesso alla rete agli energy citizens e alla semplificazione delle normative.

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