Per migliaia di indios della Foresta amazzonica l’urna e la scheda elettorale sono ormai oggetti d’antiquariato. E lo sono da più di un decennio, cioè da quando alcuni Stati del Brasile hanno iniziato a sperimentare l’e-voting. Si tratta del voto elettronico, grazie al quale molti cittadini carioca non fanno più uso di carta e matita, durante le consultazioni politiche e amministrative. A registrare e a raccogliere i voti in ciascun seggio, infatti, c’è una macchina computerizzata che, una volta chiuse le urne in tutto il Paese, trasmette alle autorità di Brasilia i risultati definitivi via satellite e in tempi record, anche dalle regioni più sperdute del Paese, come appunto l’Amazzonia. Robe dell’altro mondo, pressoché sconosciute alla quasi totalità degli italiani, ancora abituati a procedure elettorali un po’ meno snelle e rimaste pressoché immutate dal Dopoguerra a oggi. E se ora sembra che finalmente i partiti siano disposti a mettere mano alla legge elettorale, la prospettiva di un voto gestito (anche se solo in parte e in via sperimentale) attraverso le tecnologie digitali suona ancora come fantascienza. Agli inizi dello scorso mese di maggio, però, anche nella Penisola qualcosa è cambiato: in due piccoli comuni del Salento, quello di Martignano e nella vicina Melpignano, si è svolta infatti la prima consultazione elettorale interamente gestita con urne elettroniche. È stato un referendum consultivo in cui la popolazione era chiamata a dichiararsi favorevole o contraria alla fusione del proprio Comune con gli altri municipi vicini che oggi hanno meno di 5 mila abitanti. Per esprimersi, i melpignanesi e i martignanesi hanno utilizzato un’urna elettronica importata direttamente dal Messico, che funziona con un software creato al di là dell’Oceano e poi riadattato alle esigenze degli elettori italiani. È proprio grazie all’esperienza e alla tecnologia messicana, che l’e-voting salentino ha preso corpo. Il Paese latinoamericano è infatti un’altra realtà in cui si è sperimentato con successo il voto elettronico (nello stato federale di Jalisco), grazie a un’urna computerizzata e dotata di un sistema all’avanguardia. In pratica, l’elettore esprime la propria preferenza su uno schermo digitale, dotato di tecnologia touch screen e, contemporaneamente, un software stampa una ricevuta elettorale (in cui non compare il nome del votante ma soltanto quello del votato). La ricevuta non viene rilasciata al cittadino ma finisce in un contenitore all’interno della stessa urna elettronica e serve esclusivamente come documento di supporto per fare degli accertamenti, nel caso in cui si verifichino delle contestazioni nel seggio.«Si tratta di un sistema molto efficiente e poco costoso», dice Marco Mancarella, docente di informatica giuridica all’Università del Salento e coordinatore del progetto di sperimentazione del voto elettronico in Puglia. Con la presenza dell’urna elettronica messicana, infatti, il personale addetto agli scrutini può essere ridotto e snellito e le schede elettorali possono essere eliminate, sostituendole con delle piccole ricevute a basso costo (un rotolo con ben 750 tagliandi ha un prezzo di appena due euro). Ma l’e-voting, secondo Mancarella, offre un altro beneficio, molto più grande seppur intangibile. È la riduzione dei costi sociali ed economici che si generano sempre quando vi è grande incertezza sull’esito del voto: si pensi, per esempio, a ciò che accadde nelle elezioni italiane del 2006, il cui responso fu deciso da una differenza di appena 50 mila preferenze, o alle vicende successive alle presidenziali americane del 2000, in cui Bush junior prevalse di misura su Al Gore dopo che, per molte settimane, gli Stati Uniti non seppero con certezza il nome del loro futuro presidente. Con l’urna elettronica, invece, secondo Mancarella queste cose non accadono: i risultati arrivano in tempi da record e si azzera completamente la possibilità di brogli e contestazioni che, con il “metodo tradizionale”, non sono mai poche (nelle ultime elezioni politiche di febbraio, per esempio, le schede nulle sono state ben 870 mila, corrispondenti al 2,47% dei voti). Anche il rischio di attacchi da parte di pirati informatici è di fatto inesistente. L’urna elettronica, infatti, durante lo svolgimento del voto è completamente isolata e sconnessa da qualsiasi rete. Viene collegata al sistema di connettività del Ministero dell’Interno (che è ipersicuro e ultravigilato) soltanto nella fase di trasmissione dei voti, dai singoli seggi verso il database di Roma. Per Mancarella, dunque, i tempi sono maturi per progettare un estensione del voto elettronico sul territorio, seppur attraverso un percorso a tappe, cioè con uno switch-off graduale, simile a quello con cui le regioni italiane sono passate dalla tv analogica al digitale terrestre. Il referendum di Melpignano e Martignano, per adesso, non ha ancora valore legale e si limita a essere una semplice sperimentazione. Entro la fine dell’anno, però, dovrebbe concretizzarsi l’idea di fare un’altra consultazione dello stesso tipo in entrambi i Paesi, con valore pienamente legale, grazie alla preziosa collaborazione della Prefettura di Lecce, guidata da Giuliana Perrotta. Anche nel mondo politico, qualcuno comincia a prestare attenzione all’e-voting made in Italy. I responsabili della sperimentazione di Martignano e Melpignano (tra cui lo stesso Mancarella) hanno infatti avanzato una proposta per una risoluzione Ue a favore del voto elettronico, che ha incontrato grande interesse da parte del vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella. Per il professore salentino, il modello che meglio si adatta alla realtà italiana è proprio quello del Messico, più di quelli adottati in altre nazioni (si vedano le schede in pagina) come la Colombia, gli Stati Uniti o il Brasile (dove il voto elettronico si basa sul riconoscimento degli elettori tramite la scansione delle impronte digitali, con un sistema che in Italia incontrerebbe parecchie difficoltà tecniche di applicazione). Il modello messicano, che prevede l’emissione di un certificato di carta a supporto del voto digitale, appare invece perfettamente compatibile con le leggi del nostro Paese e può essere importato senza difficoltà nella Penisola. L’URNA ELETTRONICA NEL MONDOE allora, se le cose stanno così, non resta che passare dalle parole ai fatti, sperimentando il voto elettronico su scala nazionale. A ben guardare, però, l’e-voting ha incontrato negli anni scorsi anche non pochi detrattori. È il caso di Marta Steele, una scrittrice e attivista americana che, con un’approfondita inchiesta, ha mosso accuse al vetriolo contro il sistema politico statunitense, sostenendo che le urne digitali d’Oltreoceano sono progettate apposta per truccare l’esito delle consultazioni (a favore del partito repubblicano). Nella sua indagine, la Steele ha riportato una serie di episodi, testimonianze e documenti che si riferiscono a diverse consultazioni elettorali e che gettano un’ombra sulla bontà dell’e-voting made in Usa. E che il problema sia sentito lo rivela anche una serie televisiva di successo, Scandal (vedi anche il box), che per l’appunto parla di brogli e giochi di potere in una corsa presidenziale dove il voto digitale rende tutto più difficile (o più facile a seconda dei punti di vista). Per Mancarella, invece, non bisogna fare di ogni erba un fascio. Il sistema di votazione elettronica americano, a detta del professore, non funziona perché è gestito e progettato malissimo, con regole poco chiare e variabili da Stato a Stato, e non può essere assolutamente preso a modello in Italia. A fare scuola, per il nostro Paese e per l’Europa intera, devono essere invece le nazioni del Sudamerica, dove ci sono delle democrazie giovani, che sono aperte all’innovazione e guardano di buon occhio qualunque sistema in grado di accrescere la partecipazione dei cittadini alla vita politica. È proprio ciò avviene in alcuni Paesi latino-americani (come appunto il Messico e del Brasile) con un territorio molto esteso che rende più difficile la gestione della macchina elettorale. Tuttavia, secondo il professore dell’Università del Salento, bisogna fare attenzione a non confondere l’e-voting con un altro sistema elettorale oggi molto discusso: l’i-voting, cioè il voto attraverso Internet. Il primo, prevede delle consultazioni politiche e amministrative che si svolgono in appositi seggi e in date prestabilite, cioè con le stesse modalità delle elezioni tradizionali. Con il voto via Internet, invece, i cittadini esprimono la propria volontà stando comodamente seduti davanti al Pc di casa.L’i-voting oggi piace molto ad alcune forze politiche come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e, di fatto, è già stato sperimentato in Italia per l’elezione di organi amministrativi pubblici o privati: per esempio in alcune università ma anche nelle assemblee delle società quotate in Borsa dove, dal 2011, gli azionisti possono votare anche attraverso il Web. A parte questi casi, però, secondo Mancarella è difficile che l’i-voting possa essere utilizzato in Italia per le elezioni politiche. Non va dimenticato, infatti, un principio importante contenuto nell’articolo 48 della Costituzione: il voto è personale e eguale, libero e segreto. Dunque, sorge spontaneo un interrogativo: chi assicura che, davanti al computer di casa, senza la presenza di addetti al seggio o dei rappresentanti di tutti i partiti, i cittadini non subiscano condizionamenti esterni nell’espressione del voto? In un Paese come l’Italia, dove la criminalità organizzata ha forti interessi elettorale, il rischio di un inquinamento dell’i-voting non va affatto sottovalutato. QUANTO SI RISPARMIEREBBE IN ITALIA
LA MACCHINA ELETTORALE IN ITALIA | ||
VALORE ASSOLUTO | % SUI VOTANTI | |
Corpo elettorale | 47 milioni di cittadini | |
Italiani all’estero | 3,5 milioni | |
Sezioni | 61 mila circa | |
Voti validi | 34 milioni circa | 96,4% |
Schede bianche | 395.285 | 1,12% |
Schede nulle | 872.541 | 2,47% |
Schede contestate | 1.191 |