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AAA distributore cercasi

L’acqua anticellulite, il planetario da cameretta e la scacchiera elettronica. Ecco dove nascono (e chi importa) le innovazioni commerciali di successo. E all’estero ci sono altre invenzioni e modelli di business che nessuno ha ancora pensato di portare in Italia. Eccoli…

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Ci sono persone che di mestiere viaggiano per mezzo mondo fiutando le abitudini di consumo alla ricerca di intuizioni, tendenze, oggetti che hanno rivoluzionato i mercati esteri. E dopo averli scovati, li portano in patria per farne un nuovo business. Alcuni di loro si sono talmente specializzati in questa caccia alle licenze da essere diventati veri re Mida dell’import. È merito loro se in Italia e in Europa sono arrivati prodotti innovativi che si sono trasformati in successi commerciali capaci di speronare settori che si credevano consolidati.

Ricordate la proto-bevanda energetica “inventata” nel 1984 dall’ex manager di Procter & Gamble Dietrich Mateschitz? Prima del suo sbarco in Europa nessuno sapeva cos’è e a cosa serve un energy drink. Oggi grazie a Red Bull il comparto conta una sfilza di prodotti che hanno più o meno tutti lo stesso posizionamento. Promettendo di rinvigorire spirito e corpo, in discoteca come sui libri universitari, nel frattempo gli energy drink hanno messo le ali a un mercato che soltanto nel Vecchio continente vale circa 4 miliardi di euro.Ebbene, Mateschitz aveva scoperto il Krating Daeng (Toro rosso in Tailandese) durante i suoi viaggi di lavoro a Bangkok. Ma è stata l’intuizione di trasformare in brand una bevanda esotica e pressoché sconosciuta in occidente (oltre che, diciamocelo, di sapore non proprio irresistibile) a rivoluzionare la sua vita. Per i pochi che non lo sapessero, Red Bull è una multinazionale che fattura cifre da capogiro: l’ultima stima, del 2006, parlava di un giro d’affari di 2,6 miliardi di euro. E le sue attività non si limitano “solo” alla promozione e alla vendita del prodotto in 130 paesi, ma spaziano nell’ambito sportivo dalle corse automobilistiche fino alle competizioni calcistiche e di hockey su ghiaccio.

A credere in Red Bull in Italia è stato Pietro Biscaldi, amministratore delegato dell’azienda fondata dal padre Luigi nel 1969 e specializzata nella distribuzione di bevande. In 40 anni di importazioni da ogni angolo del pianeta, i Biscaldi ne hanno viste di tutti i colori. Sono stati loro a portare nel nostro paese le birre Corona e Asahi, rispettivamente la messicana e la giapponese più bevute nei ristoranti etnici e non solo. Ed è stato Pietro Biscaldi a dichiarare guerra a San Pellegrino sul terreno delle acque minerali di lusso nel canale Horeca (hotel, bar e ristoranti). Come? Proponendo la gallese Ty Nant, tra le acque più care al mondo, di cui ha addirittura acquisito la proprietà. Ma ora la partita si gioca sul campo dei drink non gassati. Le ultime scommesse del gruppo si chiamano AriZona, il tè che negli Stati Uniti ha strappato in pochi anni il primato a colossi come Lipton Ice Tea e Nestea, e Monster, una linea di energy drink che da ottobre comprenderà anche Expresso, il caffè freddo in lattina. «Una nuova tecnologia, con una clip che si apre all’interno del pack nel momento in cui viene strappata la linguetta, permette di produrre la schiuma nel caffè come se fosse stato appena fatto. E il gusto dovrebbe finalmente vincere la storica diffidenza dei consumatori italiani, che fino a ora di caffè in lattina non ne hanno voluto sapere», racconta con orgoglio l’imprenditore genovese. Lui, per scovare le novità da portare in Italia sfrutta prevalentemente la rete di conoscenze e amicizie che è riuscito a costruirsi in tutto il mondo, una specie di network internazionale di talent scout del gusto. «Agosto per esempio l’ho trascorso negli Stati Uniti, muovendomi da una costa all’altra, spesso ospite dei miei amici fornitori e distributori. Alcuni mi aspettavano già da mesi con campioni di bevande che non vedevano l’ora di farmi assaggiare». Per esempio? «In Messico», dice Biscaldi, «Jumex ha scoperto che una determinata varietà di arancia, se raccolta e spremuta prima del raggiungimento della maturazione, mantiene un tasso di acidità che le permette di essere conservata senza additivi e fuori dal frigorifero per circa otto mesi, durante i quali il sapore si perfeziona, ammorbidendosi. Ma dubito che l’Unione europea ammetta nel mercato comunitario un prodotto del genere… E che dire delle bibite inglesi Fentimans, ottenute dalla fermentazione naturale della frutta e vendute in eleganti bottiglie di vetro in stile vittoriano? In Giappone invece stanno andando fortissimo le acque minerali addizionate con elementi farmaceutici che rispondono a precise esigenze estetiche, come, giusto per citarne una, il contenimento della cellulite. Il sapore? Bilanciato con aromi che rendono il prodotto gradevole al palato». Ma dal Sol Levante arriva anche un’altra novità, introdotta da Coke Japan: si tratta dell’acqua I LOHAS (acronimo di Lifestyle of health and sustainibility), imbottigliata in un contenitore in poliestere che, una volta svuotato, letteralmente si avvolge su se stesso risparmiando oltre il 40% di spazio rispetto a una normale bottiglietta in Pet, che tutt’al più si può accartocciare. Un’innovazione strabiliante, per i paladini dell’ecologia.

Rimanendo nel campo della distribuzione alimentare, Antonio Lucarelli, direttore dell’ufficio Ice (Istituto per il commercio estero) di Montreal, suggerisce di importare il modello di WholeFoods Market, una catena statunitense nata nel 1978 con l’apertura di un piccolo negozio ad Austin, Texas, e che ora conta circa 270 punti vendita tra Nord America e Regno Unito. La particolarità di WholeFoods Market? Vende esclusivamente cibo organico. «Del resto», spiega Lucarelli, «in America il trend parla di un consumatore sempre più attento a scegliere prodotti organici e naturali per la propria alimentazione e la cura del corpo. Nuove forme di ricerca del benessere come le cure olistiche sono sempre più richieste, e anche in ambito medico l’approccio estetico (filler, laser, radio frequenze etc) sta sostituendo il ricorso alla chirurgia estetica».

Per chi invece fosse in cerca di un modello di sviluppo sostenibile per il nostro martoriato sistema alberghiero, il consiglio è di volgersi a Oriente, ancora una volta nella patria della Red Bull. «La Banyan Tree Holdings è ormai considerata un’icona nel mondo del turismo di lusso», spiega Massimiliano Sponzilli, direttore dell’ufficio Ice di Singapore. «Dal 1994 a oggi il gruppo è passato dall’avere un singolo hotel a Phuket (Thailandia) a essere uno dei leader nel settore dello sviluppo e gestione di hotel e resort di lusso nella regione, con interessi, di proprietà o gestione, in 20 resorts e hotel, più di 60 Spa, 70 retail gallery e tre campi da golf». Secondo Sponzilli il segreto del successo di Banyan Tree Holdings sta nel modello aziendale, che si basa su una struttura verticale integrata di sette attività differenti: investimenti in hotel, gestione di strutture, attività di Spa, vendita al dettaglio di prodotti locali, residenze in hotel, real estate e servizi di design. «Nel 2009 il profitto del gruppo è stato di circa 40 milioni di euro, e l’azienda», chiosa Sponzilli, «è anche a capo del Green Imperative Fund che ne formalizza l’impegno sociale. Il fondo raccoglie donazioni che finanziano attività come l’istruzione per bambini disagiati o il Banyan Tree Maldives’ Marine Laboratory per la conservazione marina. Il tutto è mirato a un’espansione globale tramite una crescita sostenibile e una gestione responsabile verso il sociale, che reputo un esempio molto positivo per l’imprenditoria italiana».

Un settore dove per sopravvivere bisogna saperne una più del diavolo è quello dei prodotti per bambini. E, considerato il loro grado di complessità tecnologica, forse non dovrebbero essere nemmeno chiamati giocattoli. Ne sa qualcosa Stefano Montanari, direttore marketing di Selegiochi, che con il suo staff e attraverso il contatto continuo con 250 fornitori in tutto il mondo, seleziona idee e proposte soprattutto in giro per le fiere internazionali. Il suo segreto? Ficcare il naso anche fuori dai canali standard esplorando le manifestazioni extra settore. «È così che abbiamo scoperto negli anni ‘80 la scacchiera elettronica creata dall’americana Mephisto, il nostro primo grande successo», racconta. «Naturalmente noi seguiamo da sempre tutti i principali appuntamenti per gli addetti ai lavori, da Norimberga a Hong Kong, passando per New York. Ma quel prodotto lo trovammo al Ces di Las Vegas (uno dei maggiori saloni dell’elettronica di consumo, ndr): in quel contesto era poco più di una curiosità, una referenza che se fosse rimasta confinata nel proprio ambito sarebbe risultata invendibile. Proposta come gioco, invece, è stato un vero boom». Tre anni fa Selegiochi ha messo a segno un altro colpo, corteggiando stavolta un fornitore che per il grande pubblico è sinonimo di videogame. Montanari cercava niente meno che un planetario formato cameretta, e l’ha trovato in Giappone. «Si tratta dello Star Theatre, realizzato dalla Sega, che proietta sul soffitto e sulle pareti un planetario in alta definizione con circa 10 mila stelle. Il primo della sua categoria con un prezzo inferiore ai 100 euro. Nel 2008 ne abbiamo venduti 20 mila», precisa il manager. Al momento una delle proposte di punta per il distributore di giocattoli è l’Anti-Monopoly, importato da University Games, che nel 2009 con il suo prodotto ha ribaltato le regole del gioco da tavolo più famoso al mondo. Ma la ricerca di novità non conosce sosta. La domanda da un milione di euro è: di cosa ha bisogno ora il mercato? «Stiamo cercando un sistema di costruzioni che sia alternativo a quelli già ampiamente conosciuti, e che sia altrettanto valido: dobbiamo sfruttare la rivoluzione in atto nel settore dei giochi per la prima infanzia». La caccia ha inizio. Lego, dunque, è avvisata.

Ma c’è un altro tipo di giocattolo in attesa di essere portato nel nostro Paese: è l’automobile volante. Forse qualcuno ha già sentito parlare delle skycar di Paul Moller, un ingegnere statunitense che a partire dagli anni ‘80 ha sviluppato veicoli per lo spostamento aereo che potessero sostituirsi al traffico terrestre. Nonostante i ripetuti annunci, però, la Moller international, l’azienda costituita per la realizzazione di queste macchine, non è ancora riuscita a trasformare i prototipi, perfettamente funzionanti, in modelli di serie, e la produzione di massa è lungi dall’essere avviata. Tutt’altra storia è quella del Transition ideato da Terrafugia, un’altra società americana nata nel 2006 per iniziativa di alcuni ricercatori del Mit di Boston. L’idea è semplice e geniale: il Transition è un piccolo aeroplano capace di volare a una velocità di 185 km/h che una volta atterrato (su pista, non in autostrada!) ripiega le ali, trasformandosi in un veicolo che può circolare per le strade come un’automobile qualunque. Per imparare a pilotarlo bastano venti ore di pratica con un corso specifico organizzato da Terrafugia, e a terra l’ingombro è quello di una vettura compatta. Niente più code al casello, dunque, niente più attese interminabili sotto il sole impietoso degli esodi cittadini. Si mette in moto la propria macchina volante, ci si reca guidando allo scalo più vicino e poi dopo il decollo si plana in tutta tranquillità verso l’aeroporto più comodo, per poi raggiungere la meta finale. Fantascienza? Non proprio. Terrafugia, che grazie a 70 preordini del Transition ha già fatturato 16 milioni di dollari, ha annunciato che la produzione in scala comincerà tra un anno esatto.Chissà se cercano partner per aprire le prime aeroconcessionarie anche in Italia…