Watly, il super computer tre in uno

Acqua pulita, energia elettrica e Internet. Oggi per averli tutti basta una sola macchina, che potrebbe regalare un nuovo futuro al terzo mondo. Ce ne parla il suo creatore, Marco Antonio Attisani

Ci sono tre pilastri alla base della società contemporanea occidentale: l’acqua, l’energia, il Web. Tre risorse tanto indispensabili per la nostra vita quotidiana, quanto limitate nei Paesi del Terzo mondo. Renderle accessibili alle popolazioni più povere significa migliorarne radicalmente la vita. È questo l’anelito che muove Marco Antonio Attisani, italo-brasiliano che vive tra Barcellona e l’Italia, già imprenditore di successo nelle rinnovabili. È un personaggio un po’ fuori dagli schemi: laurea in Economia alla Cattolica di Milano, ha vissuto tra Inghilterra, Francia, Cipro, Israele fino alla Spagna. Poi, alla soglia dei 40 anni, si è messo in testa un sogno: migliorare la vita di miliardi di persone. Oggi che di anni ne ha 45, quel sogno porta il nome di Watly. Quando gli si chiede cosa sia, lui risponde così: «Il mio desiderio è che Watly diventi la Apple del Terzo mondo, un simbolo amato nei Paesi poveri per aver portato lo sviluppo».

Ma che cos’è, oggi, Watly? Si tratta di un mega computer (lungo 40 metri per 15 tonnellate) che, ovunque venga installato e senza l’utilizzo di filtri o membrane, sfrutta l’energia solare raccolta da tubi sottovuoto e depura l’acqua da qualsiasi fonte di contaminazione, generando al contempo energia elettrica e consentendo la connettività a Internet. Con i suoi pannelli fotovoltaici, Watly può generare 150 kWh di energia quotidiana, purificando fino a 3 milioni di litri l’acqua all’anno e fornendo energia elettrica per una comunità di circa 3 mila persone. Le dirò di più: nel giro di 15 anni Watly consentità di evitare fino a 2.500 tonnellate di emissioni di gas serra e generare un Gigawattore di elettricità. E si tratta di descrizioni riduttive…

Perché? Quando le persone mi chiedono cosa faccia Watly, io preferisco rispondere dicendo perché lo fa.

Perché, allora, purifica l’acqua sfruttando l’energia solare, generando energia elettrica e connettività al Web? Perché Watly prima di tutto è una missione: cambiare la vita di miliardi di persone, portare acqua, energia e Internet alle popolazioni che ancora non ce l’hanno. Dobbiamo smetterla di avere un rapporto paternalistico con il Terzo mondo, occorrono iniziative che creino un reale impatto economico, non le solite elemosine.

Lei però non fa beneficenza. O sbaglio? No, non sbaglia affatto. Watly è una società for profit, un’azienda che vuole crescere vendendo questa macchina, il cui costo si aggira, a seconda delle tipologie, dai 500 mila a 1 milione di euro. Attualmente, abbiamo tra le 20 e le 35 persone coinvolte in Watly, a seconda dei momenti e delle esigenze, e lavoriamo su tre sedi: Barcellona, Udine e Bari. Ma non ci interessa fare soldi con lo sfruttamento e la distruzione delle risorse planetarie. Il nostro paradigma economico è costruito sulle rinnovabili, che per i Paesi sottosviluppati costituiscono un’opportunità di accesso alle risorse.

Com’è nata l’idea di questa invenzione?Da dieci anni lavoro nelle energie rinnovabili, leggo e studio moltissimo, come ogni imprenditore dovrebbe fare. Watly non è altro che la manifestazione in forma aziendale di un’idea maturata negli anni, insieme alla mia crescita personale e professionale. È la vera industria 4.0, dove l’Internet delle cose si fonde con le macchine termodinamiche che producono acqua ed energia. Quando quattro o cinque anni fa leggevo frequenti notizie sul problema dell’acqua, sul fatto che un miliardo di persone nel mondo non avesse accesso a questa risorsa primaria, mi sono chiesto: come è possibile che nonostante il nostro pianeta sia composto al 70% di acqua, ci sia così tanta gente che non ne ha? La risposta è che il 99% dell’acqua è contaminata, per il 97% dal sale, per il 2% si tratta di acqua congelata nei Poli; poi c’è il restante 1% di acqua dolce, anche questo quasi completamente contaminato dall’uomo. È qui che si deve intervenire per purificarla e renderla potabile. In fondo, è bastato scoprire l’acqua calda.

Cosa significa? Non ho fatto altro che scoprire, letteralmente, l’acqua calda. Mi sono detto: perché non bollire l’acqua contaminata per depurarla? È quel che fa Watly con l’energia solare. Oggi la impieghiamo per rendere potabile l’acqua, domani la si può applicare a sistemi complessi per i bagni pubblici o le lavanderie, oppure ai centri medici. Fino addirittura alle basi di atterraggio dei droni.

Come viene impiegata questa macchina in una base di atterraggio di droni? È una sperimentazione avviata in Spagna, dove in un progetto di accelerazione imprenditoriale stiamo sviluppando un sistema automatico di gestione del volo di flotte di droni alimentato da Watly. Dove non c’è energia, si creano le condizioni per il funzionamento di un centro logistico, in questo caso per il trasporto di medicinali.

Discovery Channel ha documentato la sperimentazione di Watly in Ghana. Sì, il prototipo 2 è stato implementato in un villaggio sperduto a due ore di auto dalla capitale Accra. La macchina era già stata testata, volevamo vedere se veniva accettata dalla popolazione locale. L’esisto è stato stupefacente: le persone si sono innamorate di Watly.

Dove ha trovato i soldi per avviare quest’attività? Per i primi due anni ho investito i miei risparmi, finanziando la società con quanto avevo accumulato nella mia precedente esperienza da imprenditore. Poi siamo riusciti a convincere l’Unione europea della bontà del nostro progetto, e abbiamo ricevuto un finanziamento a fondo perduto di 2 milioni di euro. Che però non basta a portare avanti quest’attività, con la quale non siamo ancora entrati sul mercato. Ci hanno aiutato iniziative di fundraising e alcuni prestigiosi riconoscimenti che abbiamo ricevuto, come il Premio Marzotto e l’European Pioneers.

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