Soddisfatti o frustrati? Ecco come stanno i lavoratori italiani

Secondo l’analisi Hays, solo il 60% dei nostri connazionali è soddisfatto della propria occupazione, un dato che ci colloca agli ultimi posti tra 21 Paesi nel mondo

Soddisfatti o frustrati? Ecco come stanno i lavoratori italiani© Shutterstock

Benessere, crescita professionale, equilibrio tra lavoro e vita privata: concetti sempre più centrali tra i lavoratori italiani nel definire la qualità dell’ambiente professionale. Eppure, nel nostro Paese, sembrano non bastare. Secondo l’ultima analisi condotta da Hays Italia su un campione internazionale di professionisti – in prevalenza appartenenti al middle e top management – il nostro Paese si piazza nelle ultime posizioni per livello di soddisfazione sul lavoro, con solo il 60% dei lavoratori che si dichiara contento della propria situazione professionale.

Il confronto con l’estero è impietoso: ai primi posti si trovano la Repubblica Ceca (79%), la Thailandia (76%) e il Regno Unito (71%). Anche Paesi come Colombia, Messico, Canada e Irlanda superano di gran lunga l’Italia.

Peggio di noi solo Stati Uniti (59%), Portogallo (52%) e Giappone, fanalino di coda con un preoccupante 40%.

La classifica non cambia molto se si guarda alla soddisfazione legata alla retribuzione. Anche in questo caso guida la Repubblica Ceca con il 73% di lavoratori soddisfatti, seguita da Thailandia e Regno Unito. L’Italia si colloca a metà classifica con il 57%, in linea con Stati Uniti e Cina, ma ben distante dai livelli di Irlanda (66%) e Messico (61%).

In fondo alla classifica troviamo invece Spagna (46%), Portogallo (45%), Paesi Bassi e Giappone (entrambi al 42%).

Per Alessio Campi, People & Culture Director di Hays Italia, il dato italiano deve essere un campanello d’allarme per le imprese: “Il nostro Paese si colloca tra gli ultimi per soddisfazione dell’attuale lavoro: questo deve spingere imprese e manager a ripensare le leve di attrattività e retention dei talenti”. L’invito è a lavorare su politiche concrete che vadano oltre l’aspetto economico, puntando su crescita, cultura aziendale e work-life balance. “Questo è tanto più rilevante se consideriamo che, secondo le stime di Unioncamere di giugno 2025, il 45,4% delle imprese segnala difficoltà nel reperire i profili ricercati, principalmente per mancanza di candidati”.

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