Super imprenditori: i nuovi eco-barbari

Secondo uno studio Oxfam , per i loro consumi e sfizi personali 12 top manager di fama mondiale emetterebbero ben 17 milioni di tonnellate di gas serra all’anno, l’equivalente di 2 milioni di abitazioni medie

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Ci sono stati anni, nel passato recente, in cui si è insistito – con non poco trasporto e convinzione – sulla decrescita felice. Personalmente non nutro molte simpatie per il pauperismo come visione del mondo da imporre anche agli altri dopo averlo scelto per sé stessi. Perché penso che i migliori antidoti alla rincorsa (forsennata?) che si sta compiendo nelle nostre società siano piuttosto le conseguenze della crescita infelice a cui assistiamo da (ormai troppo) tempo.

A fotografarle sono stati i recenti rapporti di Oxfam, in cui risulta che nel 2019 il 10% più ricco dell’Ue ha prodotto le stesse emissioni di gas serra della metà della popolazione più povera dell’Ue, e che a livello globale l’1% più ricco della popolazione ha prodotto un inquinamento da carbonio pari a quello dei 5 miliardi di persone che costituivano i due terzi più poveri dell’umanità. L’equazione ricchi = inquinatori risulta di immediata intuizione quindi. Ed è normale che sia così: i nostri nonni dicevano che chi mangia produce briciole, e chi si muove fa rumore.

Ma c’è un modo di mangiare composto e uno cafone, c’è un modo di muoversi nel rispetto degli altri e uno da barbari. E sapete chi, tra i barbari in questione, appartiene alla categoria più cafona? I super imprenditori. Infatti, il britannico The Guardian ha in proposito pubblicato i risultati di uno studio (su dati Oxfam appunto) secondo cui 12 top manager del calibro di Carlos Slim, Bill Gates, Jeff Bezos, Larry Page, Sergey Brin, Bernard Arnault, Michael Dell, Roman Abramovich, Larry Ellison, Elon Musk, Eric Schmidt e Laurene Powell, solo per i loro consumi e sfizi personali (leggi alla voce, aerei privati, yacht, bolidi, megaresidenze, etc) emettono tutti insieme ben 17 milioni di tonnellate di gas serra all’anno: l’equivalente di 2 milioni di abitazioni medie.

Che dire? È vero che i soldi possono molto, ma siamo al limite della beffa. Visto che la sporca dozzina in questione è composta da personaggi che non perdono occasione per mettere in mostra la loro presunta coscienza ecologica. Un po’ come tutti noi, verrebbe da dire, ma nel loro caso in formato decisamente maxi. Che fare? Ricorrere alla legge del contrappasso, imponendo loro azioni compensative? Ve li immaginate Bezos, Gates, Arnault o Musk a piantumare alberi o a debellare la plastica dal mare? No vero, anche perché pagherebbero altri per farlo al loro posto. Ma se è vero, come sostiene Oxfam, che ci vorrebbero circa 1.500 anni perché qualcuno che si trova nel 99% più povero della popolazione produca tanto carbonio quanto i miliardari più ricchi producono in un anno, allora a tutti i livelli bisogna porsi qualche domanda in più rispetto alle poche o nulle che ci si rivolgono oggi.

Non so quanto tassare in maggior misura la ricchezza estrema per compensare la disuguaglianza sociale e affrontare la crisi climatica possa essere una soluzione praticabile – su due piedi mi verrebbero almeno una decina di obiezioni sulla praticabilità dell’impresa –, ma una riflessione si impone. A cominciare dal sollevare il velo di ipocrisia che ammanta certe figure della mitologia manageriale, che li descrive (e non sono i soli ovviamente) come ambientalisti convinti. Non è questione di colpevolizzare la ricchezza, ma di rendersi conto che il prezzo più pesante di un certo tipo di ricchezza non lo paga chi la detiene, bensì coloro che la subiscono.

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