Ci si affretta per non farsi cogliere impreparati. La deadline per uniformarsi alla direttiva europea sugli stipendi trasparenti è giugno 2026. Si tratta di un esigenza per abbattere il divario salariale che, stando ai numeri della Commissione, al momento si attesta al 13%. Senza contare che sale al 30% per chi va in pensione.
È un passo in avanti, copiando il modello anglosassone, per fare in modo di raggiungere una maggiore equità. Le novità più importanti “cominciano dalla fase di negoziazione”, ha spiegato il partner di JobPricing, Federico Ferri. Le imprese dovranno indicare i salari d’ingresso e il range relativo ai posti vacanti. Inoltre non potranno informarsi sulla storia retributiva del candidato, che spesso rimane condizionato dalle proprie esperienze pregresse.
Tutte le novità in vista
Le lavoratrici e i lavoratori avranno il diritto a conoscere i livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, dei colleghi che svolgono un lavoro “di pari valore”. Si tratta quindi di dati medi e anonimi.
Inoltre, c’è una serie di obblighi di rendicontazione. Per le imprese con almeno 250 dipendenti arriva un report annuale sui divari di genere, che per quelle tra 100 e 250 diventa a cadenza triennale. Se il gap è di oltre il 5% e non è giustificabile oggettivamente, con fattori che riguardano gli affari, i sindacati dovranno intervenire e approfondire la questione.
Ostacoli da superare: privacy e Ccnl
Sugli stipendi trasparenti ci sono ancora alcune criticità. Qual è il limite invalicabile fra il diritto del lavoratore di conoscere le retribuzioni medie e il rispetto della privacy? Cosa si fa quando i dipendenti sono talmente esigui da fare in modo che il dato personale e quello medio, praticamente, si equivalgono?
Qual è la definizione precisa di “lavoro di pari valore”, che “nella direttiva è riferito a ‘criteri interni’ all’azienda”, ha fatto notare Ferri. E, poi, come si integrano gli stipendi con le previsioni dei livelli salariali nei contratti nazionali? Per Manola Cavallini, Cgil nazionale “il recepimento della direttiva non deve esser peggiorativo della legislazione vigente”. E c’è ancora del lavoro da fare, in poco tempo.
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