Essere felici al lavoro non è un privilegio per pochi, ma una possibilità concreta per tutti. Eppure, secondo Michael C. Bush, solo il 40% dei lavoratori nel mondo si dichiara soddisfatto. Significa che circa 1,8 miliardi di persone trascorrono gran parte della loro vita in contesti lavorativi che non le rendono felici. Una statistica che pesa non solo sul benessere individuale, ma anche sulla salute delle imprese: chi lavora felice, spiega Bush, genera tre volte la crescita di ricavi rispetto a chi opera in ambienti tossici. Le aziende con dipendenti soddisfatti battono il mercato azionario per tre volte e hanno un tasso di abbandono dimezzato.
La buona notizia è che non servono investimenti extra o benefit costosi. “Non è una questione di tavoli da ping-pong, massaggi o dog-sitter”, precisa Bush. “È tutto nel modo in cui vengono trattati dalle persone con cui lavorano e dai loro leader”. La riflessione arriva da un Ted Talk tenutosi nel dicembre 2018, ma ancora oggi attuale. Fa parte della serie The Way We Work, dedicata all’evoluzione del mondo del lavoro.
Bush, Ceo di Great Place to Work, guida l’istituto che stila ogni anno classifiche globali come i Best Workplaces. Dal 2015 ha allargato la missione dell’organizzazione: non più costruire ambienti eccellenti per pochi, ma creare luoghi di lavoro migliori per tutti.
Nel suo intervento individua quattro leve fondamentali per generare felicità nel lavoro, migliorando al tempo stesso la produttività e la tenuta delle imprese.
Fiducia e rispetto: la base della felicità
Il primo elemento è la fiducia autentica nei confronti dei dipendenti. “I leader spesso dicono: ‘Ci fidiamo delle nostre persone, diamo loro potere’. Poi però servono 15 approvazioni per comprare un laptop da 1.500 dollari”. A quel punto, quale lavoratore sente di avere la fiducia dei loro capi?
Il punto non è il costo del portatile, ma il segnale che si manda. Un esempio virtuoso? Il gruppo alberghiero Four Seasons. I suoi dipendenti sono autorizzati a “fare ciò che ritengono giusto” per servire al meglio il cliente. Questa libertà genera senso di responsabilità e orgoglio, e spiega perché l’azienda è conosciuta per l’eccellenza del suo servizio.
Trattare tutti con equità
La percezione di ingiustizia è il nemico numero uno della fiducia. “I lavoratori vogliono essere trattati allo stesso modo, a prescindere da ruolo, età, esperienza o anzianità”, afferma Bush.
Nel suo talk cita il caso di Salesforce, che ha scoperto differenze salariali tra uomini e donne a parità di ruolo e competenze. Invece di insabbiare il problema, l’azienda ha agito subito: ha calcolato il gap e investito 3 milioni di dollari per correggere gli squilibri. Una mossa concreta che rafforza la coerenza interna e la credibilità della leadership.
Ascoltare davvero, senza recitare
Non basta annuire o ripetere le ultime parole del collega per essere buoni ascoltatori. “Lo sguardo intenso e lo sguardo compassionevole non sono ascolto”, ironizza Bush. Bisogna essere umili, “in cerca della migliore idea possibile, questo sì è ascolto”.
I dipendenti vogliono sapere che, dopo aver espresso un’idea, questa sarà considerata nel processo decisionale. La vera misura dell’ascolto è la disponibilità a cambiare idea se chi ci parla ha una proposta valida. Altrimenti, dice Bush, “a cosa serve la conversazione?”
Cambiare per un motivo che conta
Infine, la trasformazione personale. Cambiare per essere un leader migliore non è facile. “Il mondo è pieno di fallimenti in questo senso,” osserva Bush. “Ma quando si cambia per qualcosa in cui si crede davvero, per uno scopo profondo, allora si può riuscire.”
Per chi non ha questa motivazione, forse è il caso di fare un’altra scelta: “Se non è così, probabilmente dovresti cercarti un altro posto di lavoro”.
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