Il confessore dei manager

Vengono dopo gli head hunter. E sono ancora più potenti. Dalla scrittura dei contratti alle clausole per lo stock option, dalle regole per il “divorzio” ai consigli per fare carriera. Ecco chi sono e come lavorano i consulenti dell’alta dirigenza

Sono professionisti che amano restare nell’ombra. Meno avvezzi a comparire sui giornali dei loro più noti “clienti” dei quali sono spesso compagni di sciate, gite in barca o partite di golf. Sono i manager dei manager, quelli che un Sandro Bondi, Franco Tatò o Sergio Marchionne, chiama al telefono per commentare un emendamento, piuttosto che una una sentenza. Quelli che calibrano passo dopo passo l’apporto di valore immateriale dell’amministratore delegato e che assicurano che il suo lavoro venga opportunamente remunerato. Sono avvocati di livello se si occupano della parte economica, psicologi o comunicatori se lavorano sull’immagine, sulle relazioni, e sugli aspetti motivazionali. Questi manager arrivano quando il compito dell’head hunter finisce. Il selezionatore viene infatti interpellato per scandagliare le esigenze aziendali e cacciare sul mercato le teste migliori per portarle avanti. A quel punto il dirigente scelto si trova a trattare con l’azienda le nuove condizioni di lavoro. E qui scattano i super consulenti. Che spesso consigliano anche quale percorso di crescita intraprendere, quale offerta accettare, per quanto tempo e quale invece rifiutare. Quando è il momento di fermarsi e quando di rimettersi in pista, quali sono le occasioni da cogliere e quali no. Insomma: una specie di confessore in doppiopetto. La maggior parte di loro sono giuslavoristi, perché nella stragrande maggioranza dei casi si schierano dalla parte del manager, mentre invece se lavorano con i membri del Cda, sono avvocati corporate, amministratori indipendenti o anche commercialisti.

Contratti su misura

Se l’amministratore è un top manager, si muoverà da una società all’altra con la propria squadra dirigenziale: segretari, portavoce, esperti tax, consulenti corporate e quindi anche giuslavoristi. Ruoli definiti dopo anni di rapporti di amicizia, fiducia, condivisione di obiettivi, percorsi di studi e carriere, o addiruttura passioni comuni. Più è alto il valore aggiunto apportato dal manager e maggiore sarà la professionalità richiesta all’avvocato (e di conseguenza più alte le sue parcelle, spesso oltre i 500 euro l’ora). L’amministratore emergente (il cosiddetto “middle manager” o “golden boy”) invece sceglie il suo consulente sul mercato. «L’attività di consulenza», spiega Angelo Zambelli, giuslavorista dello studio Dewey & LeBoef, che ha affiancato Matteo Arpe e Rocco Sabelli, «comincia con l’impostazione del contratto. Non si tratta però di una mera quantificazione economica del valore immateriale che la nuova risorsa potrà immettere in azienda. Bisogna conoscere prima l’azienda e gli obiettivi strategici richiesti al manager, e poi pianificare strategie di medio e lungo periodo, in modo che a determinati risultati si aggancino percorsi remunerativi e di riconoscimento di valore diversi: dalla retribuzione ai bonus, dalla condivisione dei risultati a una pianificazione delle stock option. La centralità del contratto è la ragione per la quale il professionista più indicato ad assistere un manager è proprio un giuslavorista. Questi professionisti di norma intervengono a sanare situazioni di conflitto tra dipendenti o manager e azienda. La consulenza invece interviene nel percorso inverso: il professionista lavora a costruire il contratto di ingresso e definisce in via preventiva, come negli accordi prematrimoniali, anche il “divorzio”, regolando tutte le ipotesi di rottura. Questo perchè l’amministratore delegato non è tutelato da un contratto collettivo in caso di revoca dell’incarico. A minori garanzie in uscita corrispondono quindi clausole in entrata. «Diverso il caso degli amministratori con incarichi che per legge non possono andare oltre i tre anni», precisa Zambelli, «è chiaro che il rinnovo della carica dipende dalle aspettative della società, che possono essere l’incremento del patrimonio netto o la diminuizione dell’indebitamento, il risultato dell’Etbida o del fatturato». È quindi necessario che le parti abbiano chiari gli obiettivi per evitare incomprensioni. «Può capitare», dice ancora il giuslavorista, «che il Cda pretenda l’aumento dei clienti o delle vendite, anche se questo significa lavorare in perdita. Variabili che vanno indicate chiaramente per evitare che saltino bonus o incentivi».

Ecco i nomi

È consuetudine che la parcella del giuslavorista venga saldata dall’azienda dove entrerà il manager. «È una questione di eleganza», precisa Zambelli. Come Zambelli altri grandi nomi del giuslavoro dedicano la propria attività alla consulenza: Salvatore Trifirò a Milano, Giuseppe De Luca Tamajo a Napoli, Roberto Pessi a Roma. Ci sono dei casi in cui il ruolo del giuslavorista può essere svolto anche dall’headhunter che si è messo in proprio. «In questo caso», spiega Gilberto Marchi, presidente di Assores, l’associazione degli Studi di Selezione, «è necessario chiarire al mercato che l’attività di coaching è slegata da quella della selezione del personale. La nostra consulenza serve proprio a fare un bilancio delle competenze in gioco».

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