Un recente articolo del Financial Times ha riportato i particolari della nuova strategia adottata dalla Banca Centrale Europea nella gestione della mobilità interna dei suoi oltre 5.200 dipendenti. Il piano è disegnato essenzialmente per aumentare le competenze e le esperienze professionali delle proprie risorse, davanti alle dinamiche sempre più esigenti, complesse, ad alto impatto e in continua evoluzione del mondo del lavoro. E per rinnovare un ambiente per sua natura piuttosto conservatore: chi entra a lavorare in Bce, infatti, tende a rimanere nello stesso ruolo fino alla pensione, tanto che il tasso di turn over è molto basso, l’1,8%. Il piano stabilisce una sequenza temporale piuttosto precisa: chi lavora in Bce ha tre anni a disposizione per far proprie tutte le competenze specifiche della propria mansione, nei successivi due dovrà pianificare un cambio di ruolo, che dovrà poi realizzare nei tre anni finali di un periodo totale di otto anni che è quello massimo previsto per una risorsa nella stessa posizione.
Nome in codice 3-5-8
Da qui il nome “3-5-8” assegnato al piano Bce che, per la cronaca, stabilisce anche la possibilità di spostarsi per tre anni in un’altra azienda (ma sempre in ambito finanziario), con la promessa di poter rientrare alla fine del periodo. A stupire non è tanto il tipo di percorso, che bene o male corrisponde a quello di qualunque lavoratore con ambizioni di carriera o quantomeno con un minimo di intraprendenza. A sorprendere è piuttosto la cadenza temporale prestabilita e uguale per tutti, indipendentemente dalle funzioni svolte.
La Bce, nella persona di Eva Murciano, direttore generale delle Risorse umane, ha fatto sapere che «non si tratta di obbligare nessuno a cambiare specializzazione. Ma vogliamo trasmettere chiare aspettative sul fatto che il cambiamento sia una parte naturale della crescita». Dunque, non vi obblighiamo, ma se entro otto anni non avrete cambiato ruolo, avremo un problema da risolvere.

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Un modello “esportabile”?
Quanto questo modello sia esportabile in altre realtà è tutto da vedere. «Il modello promosso dalla Bce è teoricamente solido», afferma Alessio Campi, People & Culture Director di Hays Italia, azienda leader nel campo del recruitment. «Nel contesto italiano, però, la sua applicazione risulta complessa. Il Paese è caratterizzato da forti eterogeneità territoriali che si riflettono anche nel mercato del lavoro. Nelle aree economicamente più dinamiche, come alcune regioni del Nord, si osserva una crescente propensione alla mobilità professionale, alimentata da un ecosistema occupazionale più ricco di opportunità e da una cultura del lavoro orientata al cambiamento. In questi contesti, i tempi di permanenza nei ruoli tendono ad accorciarsi, anche per effetto di una maggiore consapevolezza delle proprie competenze e aspettative. Al contrario, in territori dove il tessuto economico è meno solido, la stabilità lavorativa continua a rappresentare un valore prioritario. Qui la mobilità interna può essere percepita con maggiore cautela, spesso per timore di non trovare alternative adeguate o per la mancanza di percorsi strutturati di crescita. Come Hays, riteniamo che questo modello possa essere un riferimento utile, ma vada adattato con flessibilità, tenendo conto delle specificità territoriali e delle reali condizioni del mercato del lavoro».
Il caso italiano
Specificità a parte, l’esigenza di mantenere le aziende al passo con l’evoluzione del mondo del lavoro è comune ad ogni latitudine. È sempre Campi a darci una valutazione della situazione italiana: «Il mercato del lavoro tricolore sta già vivendo un ricambio significativo, ma non attraverso dinamiche interne: il vero motore è rappresentato dalle dimissioni volontarie e dal cambio azienda. I professionisti, soprattutto quelli con competenze manageriali e digitali, sono sempre più orientati a valutare nuove opportunità esterne per accelerare la propria crescita, acquisire nuove competenze e trovare contesti più in linea con le proprie aspettative. Secondo l Hays Salary Guide 2025, il 51% dei lavoratori italiani sta considerando di cambiare azienda entro l’anno. Un dato che evidenzia quanto la retention sia oggi una delle principali sfide per le organizzazioni».
Gli fa eco Marinella Sartori, amministratrice delegata di Wyser, brand globale che si occupa di ricerca e selezione di profili manageriali ed executive: «Stiamo vivendo un momento di profonda evoluzione della mobilità manageriale in Italia, che riflette trasformazioni culturali, organizzative e valoriali in atto nel mondo del lavoro. Oggi il cambiamento non è più percepito esclusivamente come un passaggio funzionale alla progressione di carriera o a un miglioramento retributivo.
Piuttosto, si sta affermando una nuova sensibilità: i manager cercano contesti in cui poter avere un impatto, contribuire attivamente alla trasformazione dell’impresa, accedere a nuove sfide professionali stimolanti. Osserviamo una maggiore attenzione ad aspetti come la cultura organizzativa, la possibilità di lavorare in un ambiente dinamico e innovativo, l’apprendimento continuo e l’equilibrio vita-lavoro. Allo stesso tempo, esistono ancora elementi che frenano la mobilità, come l’incertezza macroeconomica, l’accesso ridotto a percorsi di reinserimento e valorizzazione per le figure senior e, soprattutto nelle pmi, una cultura aziendale ancora poco propensa alla rotazione dei ruoli e caratterizzata da strutture gerarchiche rigide. Questo crea una mobilità “a due velocità” che va riconosciuta e gestita con politiche più inclusive e lungimiranti».
Una cultura del movimento
E a proposito dell’iniziativa di Bce, Sartori aggiunge: «Trasformare la mobilità interna da eccezione a prassi manda un segnale forte, restare troppo a lungo nello stesso ruolo può diventare un limite, per sé e per l’organizzazione. È un modello che promuove una cultura del movimento, dello sviluppo continuo e della contaminazione dei saperi, evitando la stagnazione e stimolando la crescita delle persone, in primis a costruire un mindset aperto e sempre proiettato all’apprendimento continuo. Nel pubblico, il Decreto PA 2025 introduce strumenti concreti per favorire la mobilità inter-istituzionale, allineandosi allo spirito della Bce.
Nel privato, dove la logica è spesso più orientata a risultati di performance, la mobilità richiede una governance più attenta: obiettivi chiari e misurabili, job rotation strutturate, assessment periodici delle competenze e piani di carriera trasversali possono tradurre questo approccio in valore concreto. Detto ciò, resta importante fare un distinguo tra ruoli e contesti: non tutte le funzioni si prestano con la stessa facilità alla mobilità. In certi ambiti, una rotazione può arricchire; in altri, rischia di compromettere la specializzazione, di disperdere competenze. Serve dunque un approccio che tenga conto della realtà aziendale, dei profili coinvolti e degli obiettivi di medio- lungo termine. Più che un modello da imitare, quello della Bce è uno spunto culturale. Invita a superare l’idea statica della leadership e a promuovere percorsi più dinamici, capace di coniugare crescita individuale e valore collettivo».
Uno strumento di retention
Secondo Giovanni Buonajuto, Chief HR Officer di Amplifon, dare ai dipendenti la possibilità di cambiare posizione in azienda è un modo per rispondere alle esigenze delle nuove generazioni
Le problematiche rilevate dalla Banca Centrale Europea sono comuni anche alle grandi aziende private?
La soluzione adottata è percorribile anche in questi contesti? Stimolare la job rotation interna è un’area su cui la maggioranza delle aziende private, soprattutto multinazionali, opera già da molto. Oggi è una necessità anche per rispondere a un mercato del lavoro sempre più dinamico, dove soprattutto i più giovani sentono il bisogno di cambiare e vivere nuove esperienze con maggiore frequenza. In questo contesto, offrire ai propri dipendenti la possibilità di cambiare posizione nell’ambito della stessa azienda è una leva di sviluppo e di ingaggio, e un modo di trattenere i talenti. Chiaramente, queste dinamiche devono essere ben governate nell’ambito di un’agenda strategica che tenga insieme obiettivi di business, bisogni dell’organizzazione e continuo sviluppo delle persone.
Una rotazione “obbligata” potrebbe diventare in qualche caso controproducente per l’azienda? Se una risorsa ottiene buoni risultati nel suo ruolo, perché obbligarla a cambiare…
In Amplifon la mobilità interna non è fine a sé stessa, ma è fattore abilitante di un percorso di sviluppo che ha come risultato un’organizzazione fresca, dinamica, flessibile, aperta al cambiamento e alla diversità, stimolata al costante miglioramento. Permette anche di garantire alle nostre persone un continuo arricchimento di competenze ed esperienze, oltre che un potenziamento per allenare i “muscoli” fondamentali per una possibile crescita manageriale, quali agilità di apprendimento e pensiero critico. E infine consente di coltivare un piano di successione interno consistente. Chiaramente, questi principi non vanno applicati con “integralismo”. Ci possono essere, ad esempio, aree di competenza specifiche che sono meno soggette a dinamiche di rotazione. Tuttavia, lavorare sul continuo aggiornamento delle proprie competenze funzionali, anche alla luce dell’innovazione tecnologica, è cruciale in un contesto, esterno e interno, che evolve rapidamente.
Lei è da pochi mesi Chief HR Officer, ma si occupa di HR in Amplifon già da diversi anni: in che modo in azienda si stimola la proattività necessaria a rimanere competitivi e innovativi?
Innanzitutto, mi fa piacere poter dire che la mia recente promozione a Chro è la conferma della sensibilità di Amplifon allo sviluppo del proprio capitale umano, con una forte attenzione alla crescita interna. Il nostro approccio integrato incoraggia il singolo a essere primo promotore del proprio piano di carriera, con strumenti a supporto per stimolare l’autoconsapevolezza e fermo restando un dialogo aperto e continuo con il proprio responsabile e con le HR. L’accesso pressoché illimitato alla formazione, come la possibilità di fruire di percorsi di affiancamento con figure esperte e di sviluppo individuale, sono ulteriori “vitamine” per una crescita in cui la mobilità interna, soprattutto internazionale, rappresenta senza dubbio un acceleratore.
Questo articolo è stato pubblicato su Business People di settembre 2025, scarica il numero o abbonati qui
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