Questione di diritti

Chi gestisce l’immagine degli sportivi dentro e fuori i campi di calcio? Icone indiscusse del Terzo Millennio i calciatori sono una vera e propria miniera d’oro. Abbinare il loro volto a un prodotto o servizio permette di accrescere la notorietà del brand e, in molti casi, anche il volume di vendita

Amati e idolatrati dal grande pubblico, più conosciuti dei politici o dei capitani d’industria, corteggiati a suon di euro dai network Tv, costantemente seguiti dai tabloid per le storie di cuore. È la fotografia sintetica della vita dei calciatori professionisti, soprattutto quelli chiamati a spingere la palla in rete. In assenza di grandi star e di personaggi provenienti dallo show-biz, i football player sono le icone indiscusse del Terzo Millennio. Le televisioni e le aziende sponsor hanno capito che per bucare sugli schermi ed entrare nell’immaginario collettivo delle famiglie – si stima che, nel nostro Paese, ci siano più di 34 milioni fruitori abituali di calcio – è necessario legarsi ai campioni del pallone. Basta mettere insieme i media, il brand e il volto del calciatore e il risultato è immediato: crescita della notorietà di marca e, in molti casi, delle vendite di prodotti e servizi abbinati. Un’equazione matematica quanto più esatta tanto più la popolarità del calciatore è di portata nazionale.Fin qui l’immagine di un mercato marketing e pubblicitario che ha trovato nel calcio e nei suoi eroi un filone aurifero per comunicare direttamente al mercato, ma non è tutto come appare davanti agli schermi. Il punto di riferimento è, da diversi anni, il modello di gestione dell’immagine di David Beckham. Nel caso del campione britannico nulla è lasciato alla sorte: in occasione dei contratti più importanti, la sua immagine è gestita addirittura da un pool di sette avvocati, tra esperti in contrattualistica e diritti di immagine. Tuttavia, ancora oggi molti calciatori sono gestiti direttamente dai parenti che, il più delle volte, non hanno competenze tecniche di marketing o le hanno acquisite solo facendo esperienze ul campo. «Affidarsi a professionisti o strutture di marketing è essenziale per raggiungere più rapidamente determinati risultati, oltre che un punto a favore nel rapporto con le potenziali aziende», spiega Roberto Ghiretti, titolare dell’omonimo studio di consulenza nel settore dello sport-business. «Gli anni del fai da te sono definitivamente tramontati e la consulenza marketing per un atleta (calciatore e non) è uno strumento essenziale per la crescita complessiva di un professionista, che, in un anno, arriva a incassare assegni superiori al milione di euro, soprattutto se parliamo dei campioni della serie A. Per un consulente legarsi a un calciatore non porta a priori contratti pubblicitari, fatta eccezione di pochissimi casi; è strategico, invece, costruire un percorso di comunicazione e marketing condiviso con l’atleta. Il calciatore deve essere trattato come un brand trasversale, che può emozionare e interagire con la community dei tifosi. Le tradizionali regole del marketing mix devono essere applicate durante ogni attività, per raggiungere il massimo ritorno in termini di comunicazione e vendite».

I nuovi professionistiStanno nascendo, pertanto, una serie di strutture di management a tutto tondo (dalla cura dell’immagine, alla gestione degli affari bancari e immobiliari dell’atleta, alla ricerca e selezione di aziende sponsor), ma anche di servizi a supporto delle televisioni, sempre più interessate a ospitare il campione sportivo di grido per aiutare l’audience a crescere più velocemente. «Le reti Tv sono a caccia di calciatori. Sono loro che hanno sostituito nell’immaginario collettivo della gente gli attori di un tempo», spiega Ellida Bronzetti, figlia d’arte (il padre, Ernesto Bronzetti, è il consulente di mercato di importanti club come l’A.c. Milan, ndr) e oggi consulente di aziende televisive con la Red Carpet sport & management. «In realtà non gestiamo direttamente alcun calciatore, perché i nostri clienti principali sono le televisioni, che ci chiedono di portare sugli schermi l’idolo sportivo di turno. Lavoriamo, pertanto, a stretto contatto con i manager di questi atleti o direttamente con loro se non hanno una struttura che li supporta. Aver collaborato negli ultimi anni alle risorse artistiche di Mediaset è stato fondamentale per capire che cosa chiede il mercato televisivo in termini di sfruttamento dei diritti d’immagine. Attualmente lavoriamo con più di 58 atleti, tra calciatori, allenatori di team professionistici, rugbisti, schermidori e nuotatori. Il punto di svolta c’è stato subito dopo la vittoria mondiale in Germania. Lì gli azzurri sono diventati degli eroi BPnazionali e le televisioni hanno capito che non potevano fare a meno di loro, perché ogni loro presenza corrispondeva a picchi record di share e audience». Adesso il nuovo step, da parte dei network Tv, è raccontare la vita degli atleti nella loro quotidianità. Renderli sempre più vicini alla gente, nei punti di forza come in quelli di debolezza. «Il pubblico è bombardato dai commenti sportivi pre e post gara», continua la co-fondatrice di Red Carpet (insieme ai soci Fabrizio Carratù e Carlo Oggero), «ma, incredibilmente, spesso non sa nulla di come vivono la quotidianità, ovvero nel rapporto con le moglie e i figli. Le Tv si stanno spostando su questi aspetti».

Le eccezioniIl calcio, incredibile a dirsi, non è comunque – fatte salve poche eccezioni – il laboratorio più adatto per testare nuove idee applicate al marketing. «Il pianeta football è fuori dal nostro campo di attività per scelta strategica», sottolinea Alberto Morici, fondatore di Sport Xtension, ideas agency londinese specializzata in ambito sportivo. «Il futuro è nel posizionamento marketing, quale che sia il progetto o l’atleta da gestire. Prendere un campione solo perché ha vinto una medaglia o un titolo è tempo perso a meno che il soggetto in esame non sia un parente o abbia un interesse diretto. Attualmente, per esempio, stiamo lavorando su due fronti: da un lato l’individuazione di atleti al femminile all’interno del progetto Fuxia Challenge, dall’altro la costruzione di specifici posizionamenti per ogni atleta. Se non vediamo la possibilità di costruire qualcosa di identificativo attorno al personaggio preferiamo non lavorarci… Il calcio viene trattato come qualsiasi altra disciplina e la selezione di atleti segue questa regola-guida dell’agenzia». Un ammonimento al mondo della pubblicità infine arriva da Antonio Sanges, direttore marketing dell’Istituto di ricerca Sporteconomy, specializzata in tematiche di sport-business. «Le aziende devono andare oltre il semplice abbinamento prodotto-campione di calcio. È troppo banale e la gente, proprio in una fase di recessione di mercato, cerca marche e atleti capaci di comunicare sacrificio o valori non troppo distanti dalla realtà. Prima o poi ci sarà un effetto boomerang anche nel mondo della pubblicità. Molti campioni appaiono visibilmente scollegati dalla realtà del prodotto e questo non porta alcun beneficio in termini di comunicazione alla marca. Bisognerebbe creare un indice che metta a confronto i valori che il calciatore-tipo esprime realmente e quelli del brand stesso. Non comprendere questo concetto significa gettare al vento investimenti importanti, non riuscendo a centrare gli obiettivi di comunicazione e marketing prefissati».

TRASFORMARE UN ATLETA IN BRAND È necessario che lo sportivo:

1

Emozioni

2

Interagisca con la community dei tifosi

3

Sia un esempio di sacrificio

4

Condivida valori con il pubblico

5

Abbia una dimensione umana e quotidiana

6

Metta in luce anche la sfera privata

© Riproduzione riservata