Un’operazione da 80 miliardi di dollari che avrebbe ridisegnato gli equilibri dell’industria petrolifera mondiale. È questo lo scenario tracciato dal Wall Street Journal, secondo cui Shell avrebbe avviato contatti preliminari per l’acquisizione della rivale britannica BP.
Una fusione che, se confermata, rappresenterebbe la più imponente nel settore dai tempi dell’unione tra Exxon e Mobil nel 1999. La notizia ha immediatamente scatenato la reazione dei mercati: gli American Depositary Receipt di BP sono saliti di oltre il 10% durante la seduta di ieri, per poi chiudere con un rialzo più contenuto, attorno al 2%. Ma a raffreddare gli entusiasmi ci ha pensato Shell, che ha smentito le trattative in corso: “Siamo fortemente concentrati sul valorizzare Shell continuando a puntare su performance, disciplina e semplificazione”, ha dichiarato un portavoce.
Shell-BP: il perché dei rumors sull’acquisizione
Nonostante la smentita, le speculazioni non si placano. Da mesi BP è considerata una potenziale preda di M&A, complice un percorso strategico che non ha convinto gli investitori. La capitalizzazione del gruppo britannico si è ridotta sotto i 70 miliardi di dollari, anche a causa del modesto impatto della svolta green voluta dal management. Shell, invece, ha rafforzato la sua posizione, focalizzandosi su gas e petrolio e lasciando in secondo piano gli obiettivi sulla transizione energetica.
Con una valutazione di mercato intorno ai 200 miliardi di dollari, l’eventuale fusione consentirebbe al gruppo anglo-olandese di rafforzarsi nel Golfo del Messico, nella produzione di Gnl e nella competizione con i colossi americani Chevron ed Exxon. Se anche l’ipotesi oggi appare sfumata, l’interesse per BP resta alto. E in un settore petrolifero in piena effervescenza, con operazioni miliardarie in corso tra i big statunitensi, è probabile che nuove mosse strategiche siano solo questione di tempo.
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