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Business

Pagamenti? Solo il 36,2% delle aziende è puntuale

Sempre più spesso i fornitori vengono saldati con oltre un mese di ritardo. Un malcostume diffuso soprattutto al Sud

Tempi duri per i fornitori: stando all’ultima analisi del Cribis, società specializzata nelle informazioni sulla solvibilità delle imprese, il tasso di puntualità dei pagamenti non è mai stato così basso come nel 2015. Appena il 36,2% della aziende pagherebbe infatti i propri fornitori senza ritardi (dati aggiornati a giugno 2015) tanto che, sempre più spesso, il saldo delle fatture supera abbondantemente i 30 giorni di tempo dalla loro scadenza. Per la precisione: secondo i dati centro studi della Cgia di Mestre, un pagamento medio italiano impiega 80 giorni per essere saldato, contro i 70 di Portogallo e Spagna, i 50 della Francia, i 21 della Gran Bretagna e i 17 della Germania.

SUD TORTUOSO. «Le imprese oggi operano in un ambiente molto più rischioso e complesso rispetto al passato», spiega Marco Preti, amministratore delegato del Cribis, «con fallimenti più frequenti, maggiore volatilità nell’ affidabilità delle controparti, forte rischio di ritardi e insoluti anche dai clienti storici più fidelizzati». Una realtà che sembra essere diffusa soprattutto al Sud: i pagatori più ritardatari si concentrano a Caserta, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Caltanissetta e Agrigento. Le realtà imprenditoriali più virtuose hanno invece sede al nord: nella classifica dei pagatori più tempestivi spiccano le lombarde Sondrio, Lecco, Bergamo, Brescia e Mantova. Tuttavia la tendenza a dilazionare i pagamenti sta contagiando anche le realtà imprenditoriali più serie.

EFFETTO RATEIZZAZIONE. «Il fenomeno si è molto diffuso nelle filiere più colpite dalla crisi», spiega in un’intervista a Libero Marco Accornero, segretario generale dell’ Unione artigiani, «ad esempio nelle costruzioni e ha colpito indistintamente tutte le tipologie di operatori: imprese edili, idraulici, elettricisti e perfino mobilieri. Un po’ tutti sono stati costretti a concedere dilazioni di pagamento più o meno lunghe ai clienti, con l’effetto che per lungo tempo i pagamenti si attendevano per mesi, se non per anni. A peggiorare la situazione ci si sono messe le banche che nelle fasi più difficili della recessione hanno smesso di concedere credito per la liquidità, proprio quello grazie al quale gli imprenditori in difficoltà riescono a saldare le fatture dei fornitori, le bollette e pagare gli stipendi ai dipendenti».

FALLIMENTI. Come se non bastasse, secondo l’Ocse l’Italia registrerebbe tassi di fallimenti da record: il numero delle aziende nazionali che ha chiuso i battenti è di gran lunga superiore a quello dei livelli pre – crisi. Lo scarto è di una crescita del +66,3%: si è passati da 9.383 fallimenti del 2009 ai 15.605 del 2014. Al contrario, in Paesi come Germania, Francia e Gran Bretagna, il fenomeno registrato è esattamente inverso: il numero delle imprese in bancarotta non supera quello rilevato nel 2008.