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L’impennata delle materie prime, una minaccia per le imprese

Seta, cotone, rame, alluminio, petrolio e alimentari: sono i prodotti che hanno subito gli aumenti più alti, dal 15% al 60% in pochi mesi. Fatturati e margini per le imprese italiane a rischio anche a causa di un super euro che ostacola l’export

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Non c’è solo il Petrolio. Le Borse di tutto il mondo continuano a registrare rialzi senza sosta per le materie prime: dalla seta (+50% in 12 mesi) al cotone (recentemente aumentato del 10-15%), dal rame (sempre più volatile nel 2011) ai prodotti alimentari (+47,5% in un anno). Un’impennata che rischia di ridurre sensibilmente gli utili e il fatturato delle imprese italiane che, soprattutto nel settore dell’abbigliamento, si basano su materie di prima scelta per realizzare i propri prodotti, materie prime che in alcuni casi pesano fino al 30% nei costi di un’azienda. L’allarme è stato lanciato dal direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli che sottolinea come l’aumento delle materie prime potrebbe far rivedere al ribasso le stime della crescita italiana. “Il rischio – ha ammesso Galli – è di andare sotto la stima intorno all’1% e il rischio viene anche dalle politiche di bilancio che necessariamente devono essere restrittive”. I prezzi delle materie prime pongono “un problema drammatico” ha aggiunto il direttore generale di Confindustria. “L’aumento dell’indice generale delle quotazioni di febbraio scorso porta il confronto sui dodici mesi (febbraio 2011 su febbraio 2010) su un + 39,1%”. All’interno di questa dinamica spiccano i prodotti alimentari che svettano con un +47,5% ben sopra il + 30,2% e +40,7% segnati rispettivamente dai prodotti non alimentari e dai combustibili. Il quotidiano Il Sole24Ore sottolinea che le più grandi aziende si difendono con “strumenti (costosi) di copertura finanziaria, spesso contratti futures, che si possono permettere in virtù della loro massa critica e delle loro economie di scala”. I più piccoli non possono che puntare sull’efficienza, acquisti più ingenti di materia prima (meno costosi in proporzione) da tenere in magazzino, e la diversificazione geografica degli approvvigionamenti. Ma, se la situazione dovesse andare avanti, un aumento dei prezzi pare inevitabile. “È chiaro che queste tensioni alla produzione finiranno con rimbalzare sui prezzi alimentari al consumo che stanno risalendo anche se rimangono ancora largamente sotto il tasso d’inflazione – afferma Giampaolo Galli – Non è casuale che l’inflazione alimentare abbia raggiunto il +1% nel confronto tendenziale gennaio 2011 su gennaio 2010 dopo aver oscillato su una media annua 2010 (alimentare lavorato + alimentare fresco) assai più bassa attorno al +0,2%”.