Deloitte: cauto ottimismo tra i Cfo europei (ma non in Italia)

Fino a pochi mesi fa, i Chief Financial Officer temevano il peggio, ma l’economia Europea ha retto meglio del previsto e a livello internazionale la maggioranza prevede ricavi in crescita per la propria azienda

Cfo© Andrii Yalanskyi/iStockPhoto

I Cfo europei hanno trascorso un inverno migliore delle aspettative. Sei mesi fa si temeva il peggio, ma l’economia Ue ha retto meglio del previsto e la maggioranza dei Chief Financial Officer, oggi, prevede una crescita dei ricavi per la propria azienda. È quanto emerge dalla European Cfo Survey di Deloitte, presentata oggi durante la quarta edizione dello European Economic Policy Forum – Cfo Conference tenutasi a Bruxelles.

Tra i Cfo europei torna un cauto ottimismo

La fiducia delle imprese in Europa è molto migliorata e le aziende europee sono meno preoccupate riguardo ai rischi legati alla crisi energetica e all’inflazione che, nella precedente edizione della Survey, facevano temere il peggio.  Oggi, con un saldo netto del +8% (56 punti percentuali in più rispetto all’edizione autunnale della survey) i Cfo europei possono essere definiti come cautamente ottimisti. In particolare, il 34% dei Cfo intervistati si sente più ottimista rispetto a sei mesi fa sulle prospettive finanziarie della propria azienda (+21% rispetto a settembre 2022).

Focus sull’Italia

Il sentiment è migliorato in tutti i Paesi intervistati, ma non in Italia, dove i Cfo con una prospettiva meno ottimista rispetto al futuro (27%) sono ancora in percentuale leggermente superiore ai “più ottimisti” (21%) e il saldo netto rimane negativo (-6%). In Spagna la quota degli ottimisti è pari a quella dei pessimisti, per un saldo netto pari allo 0%, mentre in Germania ci sono più Cfo ottimisti (40%) che pessimisti (27%). A livello settoriale, i Cfo del settore automobilistico sono di gran lunga i più ottimisti (47%), seguono quelli del settore viaggi e turismo (42%). Diversa la situazione nel settore retail, dove solo il 26% dei Cfo si dice ottimista.

Le aspettative di fatturato migliorano

Nonostante uno scenario ancora contrassegnato da incertezze e rischi, i Cfo europei sono più fiduciosi sui parametri chiave delle loro aziende: il 63% prevede un aumento dei ricavi nei prossimi 12 mesi, mentre solo il 19% teme un calo. Inoltre, si registra un saldo netto positivo del 10% per quanto riguarda i margini operativi e, un miglioramento di ben 48 punti percentuali rispetto alle fosche prospettive dell’autunno passato. Inoltre, anche se i costi di finanziamento sono aumentati, il 37% dei Cfo europei prevede di aumentare le spese in conto capitale nei prossimi 12 mesi, mentre una quota inferiore, pari al 24% conta di ridurle.

Un’azienda su tre prevede di assumere  

La ripresa delle prospettive di guadagno e di investimento delle imprese si riflette anche sulle loro intenzioni in termini di assunzioni. Sebbene la maggioranza relativa delle aziende (46%) non preveda alcuna variazione nei livelli di organico, più di 1 su 3 (35%) prevede di assumere. Le intenzioni di assunzione sono più forti nei settori dei servizi aziendali e professionali (+52%) e del turismo e viaggi (+45%). Solo il settore del commercio al dettaglio prevede di ridurre (-5%) il numero di dipendenti.  In Italia e Spagna il 33% dei Cfo intende aumentare la propria forza lavoro nel corso del prossimo anno, mentre in Germania tale percentuale arriva al 30%.

Le intenzioni di investimento dei Cfo europei

La maggior parte dei Cfo europei, pari al 65% degli intervistati, continua a ritenere alto il livello di incertezza finanziaria ed economica esterna, ma questa cifra è notevolmente inferiore rispetto all’81% registrata in autunno. Il saldo netto, pari a +62%, è vicino alla media storica. Con il persistere delle tensioni geopolitiche, quasi la metà (+47%) delle imprese europee prevede di espandere la propria presenza in Europa occidentale e in Nord America (+41%) – una tendenza che accomuna anche l’Italia, i cui Cfo prevedono di aumentare gli investimenti soprattutto in Europa occidentale (55%) e Nord America (47%). L’Africa, il resto dell’Asia e la Cina, invece, attualmente risultano meno attraenti per le aziende europee, probabilmente a causa delle difficoltà delle catene di approvvigionamento globali.

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