I robot non conquisteranno il mondo

L’Intelligenza Artificiale avrà ricadute imprevedibili nel medio-lungo termine. Ma se temete che le macchine possano prendere il sopravvento, potete dormire sonni tranquilli. Perché? Lo spiega Oliver Schabenberger, Evp & Chief Technology Officer di Sas

Una crescita di circa il 60% solo nell’ultimo anno, che ha portato gli investimenti delle aziende nel settore a 12,5 miliardi di dollari, i quali, entro il 2020, supereranno i 46 miliardi. Basterebbero questi numeri forniti da Idc per comprendere la crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale (A.I.) nelle nostre vite. Giorno dopo giorno sempre più imprese colgono l’importanza di comprendere e utilizzare gli incredibili volumi di dati, che già raccolgono, con sistemi all’avanguardia. Gli stessi sistemi che hanno portato alla nascita, ad esempio, di assistenti virtuali con i quali conversare e in grado di rispondere a praticamente ogni nostra esigenza, da Siri di Apple ad Alexa di Amazon. Lo strabiliante tsunami tecnologico che abbiamo di fronte ha già cambiato le nostre vite, ma avrà effetti ancor più imprevedibili nel medio-lungo termine, non solo a livello occupazionale. C’è davvero da temere che un domani un’intelligenza artificiale particolarmente avanzata possa prendere il controllo delle nostre vite e imporci qualcosa per il nostro benessere? «Se è questo a preoccuparvi, potete dormire sonni tranquilli. Non succederà, almeno non con le tecnologie che abbiamo oggi in nostro possesso», spiega Oliver Schabenberger, Executive Vice President & Chief Technology Officer di Sas, uno dei maggiori esperti nel campo dell’intelligenza artificiale, che, al recente Global Forum della società statunitense, ha sorpreso la platea a bordo di un overboard parlando delle potenzialità e dei limiti dell’A.I..

Gli sviluppi in questo campo richiederanno nuove competenze e professionalità nelle organizzazioni. Come cambierà il nostro lavoro? Abbiamo già assistito a numerose trasformazioni, non solo nel modo in cui lavoriamo. Basti pensare alla nostra quotidianità, dove ci aspettiamo molto dalla tecnologia: oggi troviamo normale, ad esempio, avviare un dispositivo con il comando vocale e che dei risultati ci vengano letti ad alta voce quando non possiamo concentrarci sul display. E non ci sorprende che una ricerca online possa anticipare la nostra domanda prima ancora di averla scritta completamente. Oggi le potenzialità dell’A.I. sono ben definite. In campo sanitario, ad esempio, possiamo analizzare contemporaneamente un insieme di immagini (come risonanze magnetiche, raggi x e tomografie) per diagnosticare le malattie con un’accuratezza di un esperto del settore, ma più velocemente e in modo più semplice e affidabile. Stiamo parlando di un’automazione che aumenta la qualità del lavoro dei medici.

Quindi, i robot non ci lasceranno senza lavoro.Gli effetti di questa nuova Era guidata da analytics e algoritmi possono e saranno disruptive, ma non sono preoccupato. Cent’anni fa, l’agricoltura dava lavoro a oltre il 40% della popolazione degli Stati Uniti, oggi la percentuale è inferiore al 2%. Tuttavia, non abbiamo una disoccupazione dilagante. Non possiamo nemmeno immaginare i lavori che l’A.I. saprà generare, ma sappiamo che lo sta già facendo. Quando le società di Wall Street assumono più sviluppatori software che analisti finanziari è un segnale che c’è bisogno di nuove competenze.

Cosa l’ha sorpresa positivamente e cosa, invece, l’ha delusa in questa rivoluzione?I sistemi di intelligenza artificiale hanno aggiunto potenti funzionalità e aperto nuovi percorsi di interazione tra macchine ed esseri umani, abbattendo le barriere di accesso alla tecnologia per i principianti. Mi stupisce il numero di problemi che possiamo affrontare oggi con l’intelligenza artificiale, ma sono anche amareggiato dai “voli pindarici” che vengono fatti attorno a essa: possono portare a impressioni e conclusioni sbagliate. Purtroppo, i veri successi dell’A.I. portano spesso a etichettare come intelligenza artificiale qualsiasi cosa solo lontanamente analitica o data driven. Mi spiace anche che non si riescano ad accettare i limiti della tecnologia utilizzata oggi. Ripeto: le funzionalità di questi sistemi sono ben definite, imparano a individuare una struttura nei dati e associarla a soluzioni che noi gli proponiamo, non troveranno mai da soli una risposta. I nostri sistemi di A.I. apprendono dai dati e dai dati soltanto. Non sono realmente intelligenti, almeno sulla base della concezione umana di intelligenza. Non hanno creatività, innovazione, consapevolezza di sé. Se afferriamo questo concetto, allora potremo capire anche che questi algoritmi non si ribelleranno e non conquisteranno il mondo. Non stiamo costruendo macchine che pensano come gli esseri umani. Stiamo costruendo software che ci aiutino a svolgere compiti specifici e ben definiti. Gli ormai celebri deep learning e machine learning non sostituiranno tutto, per il semplice fatto che non sono in grado di farlo.

*intervista pubblicata sul numero di Business People novembre 2017

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