“La moda è di tutti”. Intervista a Carolina Cucinelli

Non una realtà elitaria per soli addetti ai lavori, ma una fucina di creatività aperta al grande pubblico. La secondogenita di Brunello racconta cosa significhi far parte di una prestigiosa dinastia del cashmere, come e perché è nata l’azienda di famiglia, e qual è il punto di vista sul mondo di una manager della Generazione Z

Durante l’intervista, quando parla del pa­dre spesso si riferisce a lui chiamandolo Brunello, quasi a indicare che si tratta di un brand. Nella vita come sul lavoro. Un brand che sta più nel cognome, Cucinel­li, che anche lei e la sorella maggiore Ca­milla portano con una certa qual consa­pevolezza, visto che esso coincide – nel mercato del cashmere – con un regno dove (giornalisticamente e retoricamen­te parlando) loro due sono le principes­se e il padre il re. Un regno che coincide col Borgo Solomeo in quel dell’Umbria, che vanta conti decisamente in salute: nel primo semestre 2019 i ricavi hanno conti­nuato a crescere fino a 291,4 milioni, re­gistrando un +1,1% in Italia, +9,6% in Eu­ropa, +9% in Nord America e +31,9% nel resto del mondo. Un regno in cui Caro­lina Cucinelli, 28 anni, dopo studi d’arte, si inserisce nel 2010, ricoprendo vari ruo­li fino ad assumersi la responsabilità dello sviluppo del fronte web del marchio oltre a entrare nel consiglio di amministrazio­ne. Sposatasi lo scorso anno con Alessio Piastrelli, dirigente del settore acquisti del gruppo, si può dire che Carolina appar­tenga a quella genia di figli d’arte, entra­ti nel business di famiglia, con la convin­zione di dover e poter agire certamente “in nome del padre”, ma partendo sem­pre e comunque da se stessi e dalle pro­prie aspirazioni.

Diciamoci la verità, suo padre non ha reso la vita facile a lei e a sua sorella. Essere figlia dell’“imprenditore umanista” per eccellen­za, è una responsabilità. Quando si è accor­ta di essere una Cucinelli?Direi soprattutto nell’anno che ha prece­duto la quotazione in Borsa. Quando ab­biamo deciso che essendo la nostra un’a­zienda basata sulla famiglia e collocata nell’entroterra umbro, avremmo adotta­to un approccio diverso rispetto alla norma. Mio padre osservò che dovevamo cercare finanziatori che credessero nel nostro progetto per ciò che rappresentava nel suo com­plesso, e che si rendessero conto della sua particolarità. Quindi, la cosa più naturale da fare è stata di invitarli tutti a Borgo Solomeo: ogni singolo investitore è venuto a casa no­stra, ha cenato con noi, ha conversato con le nostre famiglie, visitato i nostri laboratori.

È stato questo il punto di non ritorno?Sì, perché mi sono resa conto che qualcosa di speciale stava accadendo davanti ai miei occhi. Però…

L’intervista continua su
Business People settembre

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