Connettiti con noi

Lifestyle

Suv, brutti sporchi e cattivi?

Banditi dai centri cittadini. Spesso oggetto di critiche da parte degli ecologisti. I Suv dividono l’opinione pubblica, nonostante i modelli diventino via via più compatti e più moderati in termini di consumi ed emissioni

architecture-alternativo

I Suv sono sotto accusa. Chi guida un’Audi Q7, una Bmw X5 o X6, una Mercedes Classe M, un’Hummer, una Jeep Grand Cherokee, una Nissan Murano, una Porsche Cayenne, una Range Rover, una Volkswagen Touareg, una Volvo Xc90, non se ne separerebbe mai: sedile alto, che permette di dominare la strada, comfort da berlina, prestazioni da sportiva, capacità di andare quasi dappertutto come un fuoristrada e di offrire una certa sicurezza anche su neve e ghiaccio. Chi non li usa, invece, li giudica aggressivi, invadenti, inquinanti, inutili. Al punto che i Suv si sono creati nemici inflessibili, tra i quali sindaci che hanno cercato in tutti i modi di bandirli dai centri storici delle loro città. A Londra il major Kevin Livingstone ha affermato che nove Suv su dieci non hanno mai visto uno sterrato e che quando una 4×4 gira per le vie di una città si è costretti a pensare che al suo volante ci sia un idiota. Poi è passato dalle parole ai fatti e ha introdotto una tassa di 33 sterline per entrare in centro. A Parigi alcuni facinorosi si sono distinti per aver tagliato le gomme ai Suv posteggiati in centro. E nel consiglio comunale una nutrita compagine politica di orientamento trasversale spinge per vietarli nelle zone centrali. La stessa avversione ai Suv si è materializzata a Firenze e in altri comuni d’Italia. Pollice verso anche da parte dei ricercatori dell’autorevole rivista New Scientist, che sostengono, secondo un’indagine che hanno condotto, che chi guida un Suv è un automobilista pericoloso, perché tende a distrarsi facilmente e nel 55 % dei casi guiderebbe con una sola mano sul volante. Sempre secondo New Scientist, i Suv danno un elevato senso di sicurezza ma dovrebbe essere il contrario perché sono veicoli alti e pesanti. Negli Stati Uniti le campagne ecologiste contro i Suv non si contano e si è arrivati al punto di lanciare uno slogan che dice: «Chi guida un Suv aiuta Al Qaeda». Negli Usa però la situazione è molto diversa da quella europea e da quella italiana: una vettura venduta su due, prima della grande crisi dei mutui subprime e del fallimento delle grandi banche, era un gigantesco fuoristrada come la Cadillac Escalade, la Lincoln Excalibur, l’Hummer, spinti da ingordi motori V8 a benzina. Ma le cose stanno cambiando: secondo gli ultimi dati di vendita americani le auto quattro cilindri, in un mercato asfittico, sono in pieno boom. Sono passate dal 18% al 33% delle immatricolazioni e i campioni di vendite in Usa sono le piccole Totoya Yaris e le Nissan Note. Un messaggio chiaro: i gusti cambiano anche negli Stati Uniti quando la benzina costa quattro volte di più. È arrivata in pochi mesi a oltre 1 dollaro al litro invece dei 25-30 centesimi ai quali erano abituati gli americani fino a tre anni fa. Di conseguenza per avere il polso non tanto di come vanno ma di quali scenari futuri toccheranno ai Suv non si può tralasciare di esaminare il bilancio d’oltreoceano. I dati del mercato Usa sono disastrosi. Il totale 2008 è sceso dai 16.110.107 esemplari consegnati nel 2007 ai 13.189.248 del 2008. Quasi 3 milioni di unità in meno significa che in un anno è sparito un mercato delle dimensioni di Francia e Spagna e la flessione è stata del 18,4%. In pratica è volata via una macchina su cinque rispetto al 2007. Di conseguenza le big three, che puntano su Suv e pick up, hanno registrato segni negativi. General Motors ha incassato una flessione del 23%, Ford del 20,4% e Chrysler del 30,3%. Le auto passeggeri, invece, quelle che costano meno, hanno motori più economici e fanno guadagnare meno, si sono difese meglio dalla crisi facendo registrare un calo dell’11,2% (in tutto 6,9 milioni di immatricolazioni). Per Suv e pick up il crollo è stato clamoroso: meno 25,1% (6,3 milioni di immatricolazioni). Ma è bastato che il greggio scendesse sotto i 50 dollari il barile e il prezzo del carburante alla pompa dimezzasse perché la domanda di Suv, in dicembre e in gennaio scorsi, riprendesse alla grande.

In Italia la situazione è diversa. I Suv non raggiungono il 3% del parco circolante (sono poco più di 750 mila). Nel 2008, però, il rapporto sul totale delle vendite è salito all’8%, in crescita perché l’offerta delle case costruttrici si è allargata con modelli meno mastodontici, rutilanti, grintosi. Sono arrivati i Suv-crossover di classe media, lunghi da 460 cm (come un’Alfa 159 SportWagon) a quelli più compatti, circa 4 metri di lunghezza come Nissan Qashqai e Fiat Sedici (i modelli più venduti in Italia). Anche i mo tori sono molto diversi da quelli americani. Il 90% dei Suv italiani è spinto da motori diesel, molti con filtro antiparticolato, quindi con emissioni e consumi pari o poco superiori a vetture della stessa potenza.

Sicuri o arroganti?

Secondo molti analisti il problema dell’impopolarità dei Suv è culturale. «Una macchina grande guidata con arroganza diventa subito antipatica con il risultato di danneggiare il marchio» sostiene il mass mediologo Klaus Davi. «Un Hummer si guarda con curiosità se si è a piedi, ma quando si incrocia in una strada dei nostri centri storici al volante di una city car chi guida si sente vessato, infastidito, anche impaurito e non accetta la convivenza». Occorrerebbe allora una forte campagna di informazione, che spieghi alla gente che cos’è un Suv, quali sono i vantaggi che offre, perché conviene acquistarlo, senza limitarsi a ricordare dimensioni e prestazioni. Stabilire che cosa sia un Suv o un fuoristrada, infatti, è molto difficoltoso. Si tratta di definizioni che tecnicamente non esistono pur essendo entrate nel linguaggio comune. Sport utility vehicle è infatti un’invenzione del marketing. La sorpresa arriva quando si analizzano i dati di immatricolazione degli ultimi anni e si incrociano con il luogo di acquisto e si scopre che non invadono le città. Al contrario emerge un mondo trasversale: in larga parte i Suv sono venduti in zone montane e pedemontane e in stragrande maggioranza in Toscana, Umbria, Emilia Romagna confermando così che si tratta per la gran parte di acquisti di necessità e non modaioli. Di contro le tanto accusate metropoli, come Milano e Roma, risultano nella classifica delle città sopra ai 100 mila abitanti rispettivamente al 25° e al 26° posto nelle immatricolazioni di questa tipologia di veicoli, mentre Napoli si trova addirittura all’ultimo posto della graduatoria. Eppure gli automobilisti italiani che non hanno una sport utility – ma anche i pedoni, i ciclisti e i motociclisti – sono molto arrabbiati contro i Suv. C’è anche chi ha monitorato gli incidenti fra auto normali e Suv: nel 53,6% dei casi il morto si è trovato sulle auto, il 17 % sui Suv. L’apice della campagna contro i Suv ha una data precisa: 14 febbraio 2008 quando a Milano un Suv ebbe un incidente con un tram. Uno scontro tra due mondi, la docilità del trasporto pubblico e la prepotenza della mobilità individuale… e un tragico bilancio, una donna morta, 26 feriti. Un fatto che ha scatenato un dibattito cruento, a metà tra un apologo politico e una metafora di questi tempi arroganti. «Le affermazioni che fanno gli anti suvisti sono pesanti e talvolta prive di significato. Sostengono, per esempio, ma non è vero, che consumano il doppio di una vettura normale, una media familiare, che fanno sentire potenti e questa sensazione li rende pericolosi» dice Eugenio Blasetti, responsabile prodotto di Mercedes-Benz Italia. «Il buon senso dice che non è possibile cancellare una categoria di automobili, di fare un processo di massa a chi sta al volante di una fuoristrada nelle vie del centro di una città italiana». In sintesi Blasetti sostiene che tutti gli eccessi vanno condannati. Quando si posteggia in seconda o terza fila si è in sosta vietata con un Bmw X5 o con una Fiat Panda, quando non si dà la precedenza si è scorretti con una Audi Q7 o con una Smart. È vero che i Suv sono più grandi delle vetture normali, ma neanche tanto, ed è anche vero che chi sta al loro volante ha comportamenti più decisi del normale. Ma non tutti i suvisti sono automobilisti indisciplinati e se si dovesse fare una classifica degli sgarri sulle strade, gli automobilisti pendolari che tutti i giorni si misurano sulla strade più intasate nelle ore di punta con le loro city car in che posizione metterebbero furgoni, veicoli commerciali e motociclisti? Questione di modi

Il problema insomma è culturale, amministrativo, di educazione. Coinvolge tutta la società, le infrastrutture, le forze dell’ordine, le decisioni politiche. In fondo anche per i Suvisti vale il detto: «Non è quello che guidi ma come lo guidi», che fa la differenza. E che differenza! Ne sono convinti pure Gino&Michele, maestri della satira che negli anni 90 se la prendevano con le mamme che in viale Majno a Milano andavano a prendere i figli a scuola e parcheggiavano enormi 4×4 in seconda fila (l’articolo su Cuore è ancora cliccatissimo su Internet), che hanno cambiato parere. Racconta Michele: «Ci siamo abituati all’idea dei Suv al punto che Gino ne ha comprato uno, ma ha una scusante: lo usa soprattutto in campagna, mentre io giro con una monovolume che è solo un gradino inferiore a un Suv». Insomma i Suv sono auto a tre facce. La prima è quella di ieri a metà tra pregiudizio e realtà, fatta spesso di esagerazione nelle dimensioni, nei consumi, nelle emissioni. La seconda, quella di oggi, fatta di Suv più compatti che debordano in una nuova categoria di veicoli che i responsabili marketing delle case chiamano crossover. Ad aprire questa moda è stata Bmw con la X3, quella più fortunata Nissan, che con la Qashqai ha trovato un vero jolly, un modello che ha fatto fare il pieno di utili alla casa giapponese. Due vetture che hanno fatto scuola al punto che nel 2008 è arrivato sul mercato un nutrito numero di concorrenti: Audi Q5, Volkwagen Tiguan, Ford Kuga, Mercedes Glk, Renault Koleos, Volvo Xc60. La terza faccia è quella di domani, dell’innovazione tecnologica, fatta di sport utility che useranno motori ibridi o elettrici, full cell, a cominciare dalla Porsche Cayenne sarà venduta con una motorizzazione ibrida benzina-elettrico. Sì, diventerà ecologico proprio il Suv reso famoso e indisponente dal Marco Ranzani da Cantù, il personaggio creato dal Dj Albertino di Radio Deejay che girava sulla Cayenne Turbo perché la Cayenne S è da barboni. Ma basterà il trapianto di un sistema tecnologico a far giudicare la Cayenne rispettosa dell’ambiente e della gente? A tal proposito vale la pena di ricordare che ogni epoca ha avuto i suoi “mostri meccanici”: nel mirino sono finite anche le due ruote. Poco più di un secolo fa, il comune di Milano sancì che le biciclette erano inadatte alla circolazione in città, vietandole all’interno della cerchia dei Navigli, potevano circolare pagando una tassa al di fuori. Nel 1898 poi, dopo gli scontri di maggio, il generale Bava Beccaris estese il divieto a tutto il territorio comunale… Chissà cosa avrebbe fatto ai Suv.

SUV CHE?

Il termine Suv, letteralmente Sport Utility Vehicle, nasce nella seconda metà degli anni Novanta sul mercato Usa. Sta a indicare vetture che uniscono le prestazioni da fuoristrada al comfort da berlina. Simili a 4×4 per quanto riguarda altezza e presenza di ruote motrici, si differenziano da questi ultimi in termini di finiture e di accessori, oltre che di prestazioni in situazioni estreme. Pioniera in questa senso fu la Range Rover, primo modello ad accostare il lusso alla sportività.

PREGI E DIFETTI

C’è chi farebbe follie pur di poterli utilizzare anche in centro città e chi, invece, li vorrebbe mettere al bando da qualsiasi strada urbana e interurbana. Chi ne apprezza lo stile e le prestazioni e chi li considera simboli di arroganza. Ecco alcuni degli argomenti degli appassionati e dei detrattori dei Suv:

Chi li ama…

✓Sicurezza

✓Prestazioni

✓Potenza

✓Ampiezza

…E chi li odia

✓Dimensioni

✓Emissioni

✓Consumi