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Alex Zanardi: “Ora corro più di prima”

Dalle gare automobilistiche all’handbike, passando per l’impegno in televisione e una non sempre piacevole esposizione mediatica come monumento vivente al coraggio e alla caparbietà, il campione bolognese si racconta. A poche settimane dall’inizio del suo sogno olimpico

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Siamo riusciti a parlare con Alex Zanardi la mattina presto, prima che cominciasse l’allenamento che svolge quotidianamente per prepararsi alla gara di handbike delle Paralimpiadi di Londra (29 agosto−9 settembre). Zanardi, che ha cominciato a praticare questa disciplina da pochi anni, e senza velleità agonistiche, a 45 anni suonati è un “enfant prodige” della pedalata a mano. Nel 2007, in occasione della sua prima competizione alla Maratona di New York, si è piazzato quarto, per poi vincere la gara nel 2011. Ha partecipato e ottenuto importanti piazzamenti alle principali competizioni italiane ed europee, vincendo lo scorso marzo la Maratona di Roma e conquistandosi l’accesso a Londra. Adesso l’obiettivo è la medaglia. Per raggiungerlo, spiega Zanardi, ancora più importante del rigore, è la passione. E per quanto la vita e le esperienze ne abbiano fatto un’icona, l’esempio concreto che il successo, quello vero, è di chi non molla mai, il campione rifiuta l’onore e l’onere di fare il monumento vivente. «Io faccio quel che mi compete, seguo la mia strada. Se poi qualcuno mi ringrazia perché in un momento difficile della sua vita ha intravisto in me una possibilità di riscatto, alzo il cappello, ci mancherebbe. Però finisce lì». Ma Alex Zanardi è tutto fuorché schivo o modesto nelle sue dichiarazioni. Da uomo, e da sportivo, semplicemente parla con cognizione di causa. Dei suoi modelli, dei suoi idoli, degli eventi che gli hanno cambiato la vita e di quelli che forse, nel prossimo futuro, gliela cambieranno ancora. A cavallo della sua curiosità, ogni strada è aperta, e percorribile, purché non entri in conflitto con la necessità primaria di Zanardi: la qualità della vita.

Cos’è il management per lei? Come è cambiato dal circus della F1 al mondo in cui si muove adesso?Non molto, mi sono sempre arrangiato da me. Mio padre faceva l’idraulico e quand’ero ragazzo volle insegnarmi il suo mestiere. «Così», mi diceva, «se non diventi un pilota di F1 saprai almeno aggiustare lo scarico del water». Un’estate mi fece anche lavorare con un elettricista, che mi svelò i segreti di cose che viste dall’esterno possono sembrare affascinanti e misteriose. E lui usava dirmi: «Guarda, alla fine son sempre quei due fili lì che girano». Vede, anche nel circus dell’automobilismo, dove ci sono impegni in apparenza più pressanti, i meccanismi sono sempre gli stessi. E non ho mai avuto un manager, fatta eccezione per l’aiuto di mia moglie. Ora non è che le cose siano cambiate in meglio o in peggio, le dinamiche sono simili. Più che altro sono sempre più convinto che vada trovato un equilibrio nella propria vita, e che si debba – anche sul lavoro – permettere alle cose che ti interessa fare di entrare, lasciando fuori quelle che ti interessano di meno. Per esperienza posso dire che una buona risposta educata, anche quando si tratta di un no, è sufficiente per andare avanti e seguire ciò a cui tieni davvero. Aggiungo un aspetto fondamentale: sono consapevole che non è possibile comportarsi così a tutte le età. Ma a 45 anni suonati, con già una serie di cose a posto nella mia vita, credo che questa filosofia risulti vincente per essere sereni e felici. L’idea è quella di poter sempre migliorare la qualità della propria esistenza, e credo che le mie azioni vadano a supporto di questa filosofia.

Nessun rimpianto?Potevo continuare a correre in auto, dove i riflettori sono come lei sa più accesi rispetto all’handbike, soprattutto in un Paese come l’Italia. All’inizio sembrava quasi che andassi a fare le gare avendo per pubblico soltanto il sagrestano, il cappellano e la perpetua della parrocchia. E prima che io cominciassi a correre, delle dieci persone che oggi capiscono qualcosa di handbike, nove non sapevano nemmeno che esistesse. Ma ho preferito dedicarmi a questa nuova passione, e l’ho fatto senza rimpianti.

In effetti ha fatto parecchio bene a questo sport, specialmente in termini di visibilità. Vorrei sapere come ha gestito la metamorfosi da uomo prettamente d’azione, al volante, a uomo anche di comunicazione. Lei è diventato un simbolo, tanto è vero che perfino il comune di Bologna vorrebbe nominarla suo ambasciatore nel mondo.Davvero? Questa non la sapevo.

Una notizia rimbalzata su Internet qualche settimana fa. Si tratterebbe di un progetto allo studio per promuovere le Due torri attraverso personaggi che incarnano l’eccellenza italiana. E c’era pure il suo nome.Ne sono lusingato. Ma ascolti: qualche giorno fa ho visto una locandina con la mia foto per promuovere una pedalata in allegria. Sul manifesto c’era scritto che avrei partecipato all’evento, ma nessuno mi aveva detto nulla. Quando ci si trova in un’invidiabile condizione di esposizione come la mia, si incorre anche in qualche seccatura. Magari hai altri impegni e non puoi andare, e qualcuno pensa che ti atteggi a prima donna. Quel che penso io è che quando hai la fortuna di avere una certa visibilità, è giusto non arrogarsi il diritto di sentirsi un esempio a tutti i costi, ed è altrettanto giusto non avvertirne la responsabilità. Bisogna percorrere la propria strada, ognuno faccia ciò che gli compete. Poi se qualcuno ti rivolge un complimento perché sei stato un riferimento in un momento particolare della sua vita, allora alzi il cappello e ringrazi. Ma non si deve fare più di questo. Credo che il movimento del paraciclismo abbia tutto da guadagnare dall’impegno di personaggi “popolari” come il sottoscritto. Se può servire ad aprire la strada a questo sport e ai suoi atleti, ne sono compiaciuto, ma sia chiaro: non è compito mio, io sono semplicemente uno sportivo attivo. Però, me lo lasci dire: anche le persone diversamente abili sono esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, e lungo il cammino emergono anche commenti molto negativi su di me.

Ovvero?Ci sono persone che si sentono infastidite dall’attenzione rivolta alla mia persona, e non sempre sono così lucide da ragionare, da considerare che è meglio avere questo piuttosto che altro, che se oggi anche in questo sport ci sono dei montepremi, dei riconoscimenti, maggiore attenzione in generale, è perché la disciplina, anche grazie a me, gode di maggiore popolarità. Quindi, mi verrebbe da dire, ben venga uno Zanardi. Ma siamo esseri umani, non è sempre tutto così lineare.

Il lavoro del pilota è la ricerca del limite. Vale anche per l’handbike?Ci sono degli evidenti punti di contatto con la mia precedente attività agonistica. E anche se nell’automobilismo sembra più difficile portare l’auto al limite, poi in realtà una volta che hai sviluppato la capacità di identificarlo, sai sempre dov’è, e l’unico modo per andare ancora più velocemente è cambiare le gomme, modificare il motore, lavorare sull’assetto. In un’attività di resistenza è relativamente facile arrivare al limite, si capisce bene quando la lingua rimbalza nella ruota. Ma come si fa ad aumentare la soglia del limite? Bisogna imparare a conoscersi, a capire come funziona il proprio motore. È un gioco interessante ma difficilissimo, l’allenamento. Ha più a che vedere con la stimolazione di meccanismi fisiologici che con la fatica. All’inizio pensavo che allenarsi volesse dire correre per 50 km e tornare a casa stravolto, ma in realtà non facevo che stancarmi. Oggi imposto lavori calcolati e combinati tra loro, stimolando il mio corpo a reagire alle sollecitazioni che gli infliggo. Ma il limite? È sempre difficile stabilirlo. Anche perché l’entusiasmo ti può pure fregare. Capita per esempio di lavorare male o troppo. Sì, con l’handbike riuscire a spostare quel limite verso l’alto è francamente più complicato.

Oramai più che delle sue gambe d’acciaio non si fa che parlare delle sue braccia d’acciaio. Gli obiettivi sono ben chiari per i Giochi paralimpici di Londra 2012, si punta alla medaglia. L’allenamento che ha messo a punto che cosa presuppone dal punto di vista psichico, fisico e anche tecnologico?Sono tutti aspetti che si allacciano a un unico tema: se inquadrata nella categoria delle passioni, ciascuno di questi può essere seguito e sviluppato con relativa naturalezza e facilità. Se l’allenamento comporta sacrifici tali da chiamare in causa parole come disciplina e forza di volontà, credo che non arriverei mai a destinazione: nella vita ci sono ben altre cose a cui dedicarsi. Invece gran parte del mio tempo adesso è occupato dell’allenamento, a differenza dell’automobilismo qui il motore sono io, e se non alleno non basta accarezzare i bulloni per portare a casa qualche soddisfazione. Certo, un po’ di manualità, un po’ di conoscenze che ho raccolto facendo le gare in auto mi hanno consentito di trovare soluzioni ad hoc per mie necessità anche dal punto di vista tecnico, ma partiamo dal presupposto che questa attività sportiva paralimpica parte dallo sfruttamento di talenti residui. Handbike è un nome generico per definire un mezzo che di fatto non è adattato alle singole necessità degli atleti, e nella sostanza vanno trovate soluzioni specifiche molto diverse tra loro da persona a persona.

Dove ha attinto per la teoria e la pratica necessarie a questa nuova attività?All’inizio è stato fondamentale copiare chi ha dimostrato di aver trovato una combinazione vincente. Devo molto, moltissimo, a due compagni di Nazionale, che ora sono amici già da diversi anni. Il primo, Fabrizio Macchi, è quello che mi ha spinto a cimentarmi in questa disciplina, anche se lui a livello paraciclistico si muove in modo diverso, visto che ha una gamba e usa una bicicletta adattata. Il secondo è Vittorio Podestà, che ho conosciuto quando dovevo trovare un mezzo per partecipare alla Maratona di New York nel 2007. Cominciammo una conversazione al telefono che deve ancora terminare! Lui mi ha aiutato a capire meglio come sviluppare una metodologia di allenamento efficace, e sempre lui mi ha presentato Francesco Chiappero, il mio allenatore, un ragazzo che curiosamente ha 16 anni meno di me, ma col quale sto facendo un ottimo lavoro. Con Vittorio, che corre nella handbike, c’è una vicinanza tecnica più grande, e da lui credo di aver assorbito tantissimo, cominciando poi a restituire a mia volta dal punto di vista tecnico, tant’è che oggi il dialogo con lui sia un utile scambio di opinioni per entrambi. Comunque il segreto sta nel cercare di seguire le orme di atleti già vincenti nella propria categoria.

E le sponsorship? Che tipo di brand possono finire sulla sua maglia?Nell’automobilismo la mia attività è sempre dipesa fortemente dagli sponsor, è innegabile. Uno sport così costoso non puoi praticarlo solo per passione, cosa che invece potrei fare oggi. L’handbike è un’attività con costi importanti, ma facilmente assorbibili per me. È anche vero che sono molto esposto, e quindi rappresento un possibile investimento per un’azienda che vuole associare il logo non solo alla mia esposizione mediatica, ma anche rispetto a quello che rappresento. Ammetto che da questo punto di vista sono abbastanza lusingato dagli investitori. In ogni caso, la mia percezione rispetto agli sponsor è cambiata radicalmente. A 20 anni non solo non badavo a quali marchi mi venivano cuciti addosso, ma non mi fermavo nemmeno a riflettere su cosa rappresentava il logo. Basti pensare che mi sarei messo stravolentieri sul casco una nota marca di sigarette, per il semplice fatto che quella marca rappresentava il mio idolo, Ayrton Senna, e io volevo essere come lui, in tutto. Secondariamente, oggi mi posso permettere di fare certe scelte, e proprio per questo avrei problemi di coscienza se non le facessi. Quindi scelgo aziende che come etica e valori incarnino qualcosa in cui io stesso credo. Per questo rappresentare Barilla, o il Consorzio Grana padano è per me una ragione di orgoglio, visto che rappresentano il meglio del made in Italy e lo fanno anche senza macchia e paura.

Ci sono contatti con altre aziende in vista dei Giochi paralimpici?Il troppo storpia. Se vedessi questo mio impegno come un grande opportunità per fare un po’ di profitto le possibilità non mancherebbero, ma quello che mi piace fare oggi è dedicare un po’ più tempo a sport e un po’ meno al marketing. Quindi sono ben felice di limitarmi agli impegni che ho già preso con le aziende citate sopra. Non dimentichiamoci comunque degli altri contratti che ho con Garmin, Compex, e Bmw Italia. Non voglio fare il passo più lungo della gamba. E con me è tutta una battuta!

Lei è diventato anche un volto della Tv, e non più come ospite. Come definirebbe il suo impegno come conduttore di E se domani, programma di divulgazione scientifica in onda su Rai Tre?Atipico è la parola giusta. Non mi sono mai visto in questo ruolo, nemmeno in passato, come un’opportunità per il mio futuro per quando avrei appeso i panni dello sportivo al chiodo. Certo, pour parler c’erano stati degli approcci, ma avevo sempre passato la mano, rispondendo uno di quei no cordiali di cui parlavo prima. Ma questo devo dire che è un programma molto pensato addosso a me, per dare sfogo alla curiosità di una persona che con la scienza ha avuto abbastanza a che spartire, e dalla quale ha anche ricevuto un grande aiuto. Perché senza la ricerca scientifica oggi non saremmo qui a parlare. Quindi il ruolo mi è piaciuto da subito come dire? “Condurre” è un termine esagerato… diciamo “moderare” un programma che senz’altro avrei guardato come spettatore. Non era richiesta nessuna competenza specifica, se non la curiosità di un uomo che l’ha trasformata in arma vincente.

Attende una riconferma?Adesso vedremo, non sono qui a morirci. È vero, mi piacerebbe che la Rete confermi E se domani per la prossima stagione, ma ammetto che se fosse esattamente come prima non lo rifarei. Vorrei che la Rai, siccome il programma è andato bene, nei limiti della situazione economica, chiedesse agli autori di creare qualcosa di nuovo. Se così non fosse, è stata una bella esperienza, ma lasciamola pure lì dov’è.

C’è qualcosa che l’ha colpita mentre dava sguardi al futuro?Un po’ tutto, davvero. Se così non fosse stato, il programma non sarebbe mai decollato. Io non sono il Piero Angela della situazione, che molte cose già le sa e il resto le prepara, così da poter affrontare gli ospiti alla pari sul piano culturale. Io sono solo un curioso, i temi che abbiamo affrontato sono meno complessi, e molti sono di quelli a me più cari.

A proposito, rispetto al suo futuro, cosa intravede? La tecnologia l’ha aiutata moltissimo a iniziare una nuova vita dopo l’incidente. Come si aspetta che la scienza continuerà ad aiutarla nei prossimi anni?Le protesi che utilizzo si sono evolute relativamente poco in termini di nuovi materiali, innovazioni tecnologiche, componenti. In realtà nell’ambito della ricerca c’è un muro di gomma contro il quale si rimbalza sempre. Anche chi si impegna a fondo in questo campo sta cercando secondo me di sfondare nella direzione sbagliata. Automatizzare le protesi per avere dei vantaggi teorici simili a quelli dell’arto mioelettrico per la parte superiore del corpo è a mio avviso molto difficile, perché la protesi della gamba deve essere più potente e più veloce. Quando hai una mano finta, con un meccanismo che simula l’opposizione del pollice, basta avere un po’ di pazienza e si riesce a fare praticamente ogni cosa. Forse tutte queste ricerche verranno rese obsolete nel momento in cui la ricerca medica scoprirà nuovi materiali biocompatibili, come ginocchia sintetiche, o tessuti che possono essere collegati ai muscoli ancora presenti. Se nel prossimo futuro si riuscisse a costruire questo tipo di protesi, ricoperta con un tessuto creato attraverso le cellule staminali, io potrei utilizzare di nuovo le gambe, visto che ho ancora tutti i muscoli delle cosce perfettamente funzionanti. Senza contare che una protesi anche capace di muoversi avrebbe bisogno di energia per essere ricaricata, per delle gambe artificiali basta un piatto di pastasciutta.

La tecnologia vincerà la disabilità?Questa è una domanda complessa. In fondo è tutto relativo: queste sono le conoscenze che abbiamo a disposizione e questo è quel che può essere fatto, anche rispetto al mio caso. Io mi sono dato da fare, ho cercato di rivolgermi alle persone più qualificate per tornare ad avere una vita tecnicamente soddisfacente, e le mie protesi d’acciaio per esempio sono un deciso passo in avanti rispetto alla sedia a rotelle. Se domani inventassero delle gambe artificiali che possono essere indossate tutto il giorno senza stancarsi, quanto usato fino a oggi risulterebbe obsoleto e nettamente inferiore. Quindi è abbastanza relativo dire che sono soddisfatto. È sempre possibile alzare l’asticella, e io che sono ottimista di natura continuo a sintonizzarmi su eventuali nuove scoperte. Non intendo vivere nell’illusione che tutto possa cambiare radicalmente, ma sarebbe stupido non essere aperti. Anche la disabilità è un concetto relativo, in evoluzione. Se la maggioranza degli uomini potesse volare, persino Usain Bolt, l’atleta più veloce del mondo, si sentirebbe un disabile.

Pistorius, che corre con due protesi al posto delle gambe, è stato ammesso a gareggiare tra i normodotati alle Olimpiadi di Londra. Come commenta questa notizia?Conosco Oscar personalmente, e mi fa davvero piacere. Soprattutto perché attorno al suo caso si sono fatte discussioni poco attinenti al suo problema. Poco si è parlato delle sue prestazioni, della sua capacità di competere: in molti pensavano che avrebbe vinto e dominato, quando la realtà è molto lontana da tutto ciò, visto che si è qualificato in staffetta, perdendo la prova individuale per un soffio. Questo fa ancora più onore a Pistorius, che ha combattutto per sé, per un suo sogno, e non per dimostrare qualcosa. Non l’ho ancora sentito, ma dovessi incontrarlo a Londra gli farò il mio in bocca al lupo più sincero.

In bocca al lupo anche a lei.Crepi…

LE PASSIONI DI ALEX ZANARDI

Lo smartphoneUso un iPhone ma quando lo metto in mano a mio figlio scopro sempre che sa fare qualcosa di cui non ero al corrente!

I social networkSono presente su Twitter ma più per una forma di gratitudine nei confronti delle persone che mi hanno permesso di trasformare le mie passioni in un mestiere. Aggiungo che sono un po’ narciso, e quindi quando qualcuno mi fa i complimenti vado anche più volentieri a vedere la bacheca

L’autoGuido una Bmw Serie 5 Touring, il mix perfetto che risponde alle mie esigenze di oggi. Fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di potermi dire completamente soddisfatto di una macchina con una cilindrata “normale”

Il cinemaTra i miei film preferiti c’è Apollo 13, perfettamente ricostruito, ma mi piacciono anche i lungometraggi d’inchiesta come gli ultimi di Sean Penn. Trovo affascinanti gli effetti speciali che arricchiscono qualcosa che è palesemente irreale. Non mi piacciono gli eccessi di violenza, di volgarità e le continue allusioni al sesso

Il LuogoAbito a Padova, è lì che mi ha portato la vita. Ma col senno di poi, a volte mi viene da pensare che non ho realizzato il mio sogno di andare a vivere in una casa sulle Colline bolognesi

Il piattoLe linguine al pomodoro, con due tre gocce di olio piccante e una spolverata di grana. Cosa vuoi di più dalla vita? E poi da buon bolognese a me piace mangiarle col pane, alla contadina

Credits Images:

Alex Zanardi, classe 1966, bolognese di nascita e padovano d’adozione, è pilota automobilistico e neocampione di handbike, disciplina che ha cominciato a praticare a partire dal 2007. Nonostante la perdita di entrambe le gambe dopo l’incidente del 2001 sul circuito di Lausitz, in Germania, la sua attività agonistica, sulle quattro ruote prima e sulle tre ruote poi, non si è mai interrotta. E dopo le soddisfazioniin pista, a fine agosto c’è l’arrembaggio alla medaglia olimpica