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L’omaggio di Urbino a Raffaello

In occasione dei 500 anni dalla sua morte, Urbino celebra l’intramontabile fascino del “Divin pittore” con tre grandi mostre dedicate a lui e al suo rapporto con l’arte

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Dopo il Genio, il “Divin pittore”. Le celebrazioni per il cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci sono ancora in corso – e in grande stile al Louvre di Parigi con una delle più importanti mostre mai dedicate al genio rinascimentale che apre proprio questo mese – ed è già tempo di celebrare un altro gigante della storia dell’arte: Raffaello Sanzio. Ricorre, infatti, anche il cinquecentenario della morte dell’Urbinate e le Marche si sono date da fare per celebrarne al meglio l’incredibile parabola artistica.

A differenza di Leonardo e Michelangelo (gli altri membri della “magica triade rinascimentale”), che vissero fino a tarda età, Raffaello morì a soli 37 anni, il 6 aprile 1520 e la sua città natale ha deciso di giocare d’anticipo con una mostra che svela di lui aspetti meno noti. Fulcro delle celebrazioni sarà appunto Urbino, dove Raffaello nacque nel 1483, all’indomani della morte di Federico di Montefeltro: il duca condottiero e amante delle arti aveva trasformato la cittadina in uno dei principali centri del Rinascimento italiano, dove moltissimi artisti dell’epoca ambivano lavorare. A Urbino Raffaello respirò arte fin da subito, nella bottega del padre Giovanni Santi. Non tutti sanno, infatti, che il Sanzio era “figlio d’arte”: papà Giovanni, artista modesto ma assai generoso, si adoperò molto affinché il piccolo Raffaello prendesse presto dimestichezza con pennelli e colori. Non solo: colse immediatamente le doti del figlio e lo spinse a frequentare ogni giorno la corte dei Montefeltro perché solo lì, nel cuore del Ducato, avrebbe potuto apprendere al meglio la “buona via” (ossia la pittura, come ci racconta il Vasari, nelle sue celebri Vite dedicate agli artisti). Il Palazzo Ducale con la sua architettura ardita, quasi abbarbicata sulla roccia, e le sue stanze infarcite di storia e di opere non furono per il giovane Raffaello solo un privilegiato osservatorio della storia passata. A corte erano di continuo invitati uomini d’arte e di scienza: i duchi di Montefeltro erano, infatti, aperti a tutte le innovazioni del sapere. Raffaello è studioso, diligente, garbato nei modi e di aspetto splendido (come confermano gli autoritratti giovanili): è una spugna e apprende parecchio da una generazione di artisti più grande di lui. Comprende la rivoluzione della prospettiva e la “nuova maniera” di dipingere che si affaccia nel Cinquecento in Italia e in Europa: senza questi preziosi anni di formazione e lavoro, mai avremmo potuto contemplare le Stanze Vaticane.

Non stupisce, dunque, che il cuore delle celebrazioni per i cinquecento anni della morte del Sanzio avvenga nelle sale di Palazzo Ducale di Urbino dove, nella Galleria Nazionale delle Marche, si raccontano Raffaello e gli amici di Urbino in una grande mostra curata da Barbara Agosti e Silvia Ginzburg (fino al 19 gennaio). Perché questa esposizione è così importante ce lo spiega Peter Aufreiter, direttore di Palazzo Ducale, fin dal suo insediamento impegnato a far entrare Urbino nel “circuito culturale che conta”, grazie a mostre di alto rigore scientifico ma accattivanti anche per il grande pubblico. In un territorio come quello delle Marche che sta vivendo una felice riscoperta – sempre più stranieri le preferiscono alla più costosa e frequentata Toscana –, ci sono ancora storie da valorizzare. Quella della giovinezza e della formazione di Raffaello è forse la più importante: «Per la prima volta raccontiamo in modo così compiuto il mondo delle relazioni di Raffaello con un gruppo di artisti operosi a Urbino che accompagnarono la sua transizione verso la maniera moderna e i suoi sviluppi stilistici durante la memorabile stagione romana», spiega Aufreiter.

QUANTE MOSTRE CI PORTA IL 2020La mostra su Raffaello più importante del 2020 sarà quella delle Scuderie del Quirinale di Roma (in primavera), in collaborazione con gli Uffizi di Firenze che forniranno il nucleo centrale delle opere: in mostra l’autoritratto del 1504 (in apertura, dipinto quando Raffaello aveva poco più di 20 anni) e la Madonna del cardellino. Un’altra sede di rilievo sarà la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, il cui grande cartone per l’affresco del Vaticano La scuola di Atene è stato appena restaurato ed è nuovamente esposto da marzo. Fuori dall’Italia, la National Gallery di Londra (che possiede 11 opere di Raffaello) dovrebbe dedicare una mostra al maestro. Il Louvre, invece, non ha in programma un’esposizione specifica su di lui, ma ne presenterà una sul Rinascimento italiano, Corpo e anima: scultura in Italia da Donatello a Michelangelo 1460-1520, che aprirà la prossima primavera.

In pratica, impariamo a capire perché Raffaello Sanzio è diventato Raffaello. Fondamentale, a questo proposito, il ruolo giocato dagli umbri Perugino e Luca Signorelli: è da loro che l’artista apprende la rivoluzione della pittura in corso in quegli anni. Grazie a un’ampia panoramica dell’arte marchigiana e umbra del tardo Quattrocento messa a confronto con le opere giovanili di Raffaello, vediamo come anche i più anziani Girolamo Genga e Timoteo Viti – nomi non certo noti fuori dal ristretto circolo degli addetti ai lavori – furono riferimenti importanti per le grandiose creazioni che il più maturo Raffaello avrebbe fatto nell’Urbe. Vale anche il viceversa: il Sanzio, dopo l’arrivo a Roma, farà scuola e l’eco dei suoi importanti lavori svolti sotto il pontificato di papa Leone X arriveranno immediatamente anche nella corte d’Urbino. Gli “ex-maestri” diventano così allievi: il Sanzio fa scuola, inventa quel suo stile sobrio, cristallino, misurato e armonico che caratterizza tutti i primi decenni del Cinquecento italiano.

«La mostra», spiegano le curatrici Barbara Agosti e Silvia Ginzburg, «è dunque un’occasione anche per misurare la grande trasformazione che coinvolse la cultura figurativa italiana nel passaggio tra il Quattro e il Cinquecento». Il Divinissimo Raffaello morì a Roma neanche quarantenne, ma già “da star”: al suo giganteggiare, alcuni artisti più maturi reagirono in maniera diversa, chiudendosi su posizioni conservatrici o assimilando le novità, mentre i più giovani ne rielaborarono – in maniera più o meno personale – il linguaggio e lo diffusero ovunque in Centro-Italia. Questi rapporti sono illustrati nella mostra dal confronto di opere di Timoteo Viti e Gerolamo Genga, ma anche Pinturicchio, Perugino, Giulio Romano, Raffaellino del Colle: è davvero un bel vedere.

Raffaello tuttavia non influenzò solo la pittura: a cinquecento anni dalla morte, Urbino intende ricordare quanto contribuì anche alla formazione del gusto dell’epoca. Nel corso del prossimo anno, a corollario della grande mostra a Palazzo Ducale, apriranno anche Raphael ware. I colori del Rinascimento dedicata alla produzione ceramica cinquecentesca nel ducato, un’arte che raggiunse livelli di qualità elevatissimi, e Sul filo di Raffaello. Quest’ultima si sofferma sui raffinati arazzi che il Sanzio realizzò per la Cappella Sistina: in mostra tutti i cartoni e i disegni preparatori, ammirati già all’epoca dei contemporanei di Raffaello, che si sfidavano a imitarli. Saranno esposti al Salone del Trono di Palazzo Ducale, perfetta ambientazione per questi suggestivi lavori in bianco e nero. Se Leonardo da Vinci è stato il genio globetrotter che, passando per Firenze e Milano, trovò in Francia un posto sicuro, Raffaello è l’eroe del Centro-Italia: da Urbino si mosse a Firenze, a Siena e poi a Roma. Si concentrò sulla pittura, sull’architettura (compreso il cantiere di San Pietro), rivoluzionò la ritrattistica (la Fornarina) e il modo di realizzare le Pale d’Altare. Le sue Madonne sono le “Madonne” per eccellenza e la rilettura così intensa e così personale della storia antica e dello stile classico – come nella celeberrima Scuola d’Atene – lo rende un unicum inarrivabile nella storia dell’arte. “Divino”, del resto, lo chiamavano già i suoi contemporanei: a cinque secoli dalla morte, il fascino della sua arte e della sua “maniera” (da cui nasce ufficialmente il Manierismo) resta intatto.

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L’autoritatto forse più celebre, realizzato da Raffaello nel 1506 (ad appena 23 anni), tra le opere protagoniste della mostra in programma in primavera alle Scuderie del Quirinale (Roma) e realizzata in collaborazione con gli Uffizi di Firenze (© Getty Images)