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Il contratto di Tim Berners Lee per salvare internet (da se stesso)

Nove punti per costruire la Rete del futuro, evitando che i pericoli distruggano i benefici della connessione globale: è l’ultima proposta dell’inventore del WWW, rivolta a governi, aziende e cittadini

«Chiudete l’internet!», recita una frase tanto in voga sui social network a corredo di un meme, un’immagine particolarmente divertente online. Chissà se il pensiero di staccare la spina abbia mai attraversato la mente di chi il Web l’ha creato, cioè Tim Berners-Lee. Di sicuro, all’inventore del World Wide Web non piace quello in cui si è trasformato il WWW che aveva ideato nel 1999. «Siamo al 50/50 moment per il Web», fu l’attacco dell’informatico al Web Summit di Lisbona nel 2018. «Abbiamo creato qualcosa di stupendo insieme, ma metà del mondo non è ancora online, mentre i nostri diritti e libertà sono a rischio». Berners-Lee – che da anni al Massachusetts Institute ofTechnology (Mit) lavora al progetto Solid, una rete alternativa, decentralizzata e senza fini di business – un anno dopo, sempre a Lisbona, è passato all’azione. Lo scorso novembre ha lanciato la proposta di un contratto per il Web per dare un futuro migliore alla sua invenzione: «Le comunità vengono fatte a pezzi, mentre pregiudizio, odio e fake news vengono diffusi online. I truffatori usano il Web per rubare identità, gli stalker lo usano per molestare e intimidire le loro vittime e gli interessi acquisiti stanno sovvertendo la democrazia usando tattiche digitali intelligenti», è stata l’analisi del papà della Rete.

Serve, dunque, una nuova Costituzione condivisa, una Magna Charta del mondo digitale, un codice etico per tutti gli attori di questo sistema: i nove punti proposti si appellano a governi, aziende e cittadini. Tutti i protagonisti della degenerazione della Rete sono richiamati a un ruolo di responsabilità per raddrizzare i binari di internet, perché «il modo migliore per cambiare le priorità e le azioni di chi è al potere è parlarne da ogni angolo del mondo e richiedere il Web che vogliamo».

«Da quando Sir Tim Berners-Lee ha lanciato il Contratto per ilWeb, abbiamo ricevuto uno straordinario supporto da ogni parte del mondo. Finora oltre 1.200 organizzazioni da più di 50 Paesi e più di 9 mila individui hanno firmato il contratto», racconta a Business People Emily Sharpe, Director of Policy di Web Foundation. «Sappiamo che la Rete cambia le vite in meglio, ma negli ultimi anni abbiamo visto affiancarsi a questi benefici dei seri pericoli perla privacy, la sicurezza e persino la democrazia. La massiccia risposta al Contratto mostra che le persone non solo capiscono questo, ma sono pronte a lottare per avere una Rete sicura e utile per tutti». Tra i firmatari ci sono anche colossi come Google, Facebook, Microsoft, Virgin, Twitter, Reporters Sans Frontières, WorldWide Web Consortium (W3C) e il governo francese.

Sono nove i principi, declinati e approfonditi in 76 clausole, da attuare per una Rete che torni a essere libera, sana, sicura per le persone e la democrazia. I primi tre punti riguardano l’azione dei governi e gli impegni a tenere le tariffe di accesso a internet alla portata di tutti (connettendo il 90% della popolazione mondiale entro il 2030), a non bloccare le comunicazioni online – garantendo l’accesso alla Rete nella sua interezza, senza censure – e al rispetto della privacy, limitando l’accesso alle informazioni individuali anche per le istituzioni. Dalla parte opposta del tavolo si trovano i cittadini, che sono invitati a essere «creatori e collaboratori» – attraverso licenze aperte– e a creare community che rispettino la dignità delle persone. Ma soprattutto gli utenti devono lottare per il Web che è un patrimonio di tutti, fa parte della nostra vita e andrà in eredità ai nostri figli: per questo va difeso da ogni tipo di attacco. «Il Contratto», aggiunge Sharpe di Web Foundation, «presenta una visione del Web che vogliamo e offre una roadmap delle strategie e delle azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi. Impostai passi concreti che governi, aziende e tutti noi cittadini possiamo – e dobbiamo – fare per assicurarci che internet sia al servizio dell’umanità. Il livello di supporto al Contratto è stato fantastico, ma questo è solo l’inizio. Stiamo lavorando per sviluppare ulteriormente le promesse delineate nel Contratto, per ottenere maggiore appoggio da aziende, gruppi civici, cittadini e governi, e per assicurarci che si facciano reali progressi sugli impegni presi».

A metà del guado ci sono le aziende: da una parte devono lavorare con legislazioni incomplete o in evoluzione, dall’altra cercano di offrire servizi sempre nuovi agli utenti. Il tutto senza mai dimenticare l’interesse degli azionisti. Ecco perché i punti dal quattro al sei sono centrali nell’architettura del manifesto per il futuro del Web: rendere internet accessibile a tutti, rispettare la privacy e – missione unica, ma complessa – «sviluppare tecnologie che supportino il meglio dell’umanità e osteggino il peggio». Certo, l’obiettivo è ambizioso e allo stesso tempo indispensabile per il futuro non solo della Rete, ma dello sviluppo armonico dell’umanità: fare sì che internet «sia davvero un bene pubblico che mette le persone al primo posto» Allora che cosa vuol dire, in concreto, sottoscrivere il Contratto per il Web? Lo abbiamo chiesto a chi lo ha fatto con convinzione: «Abbiamo aderito perché il Contratto per il Web è perfettamente in linea con la nostra visione di quello che dovrebbero essere le tecnologie abilitanti – disponibili, libere, flessibili, inclusive – e perché responsabilizza tutti: policy maker, aziende, cittadini. Nessuno può più dare la colpa agli altri», dice Alessandro Bogliolo, amministratore di Digit Srl che è stata tra i primi firmatari italiani del documento. Digit è una benefit company, nata come spin-off dell’Università di Urbino, che sviluppa piattaforme digitali di incontro «tra esigenze e attori che possono fare la differenza». Un esempio è SmartRoadSense che permette a chiunque di contribuire al monitoraggio del manto stradale mettendo a disposizione gli accelerometri dello smartphone. Si aiuta la sicurezza, l’ambiente e l’economia (il costo del monitoraggio delle strade con tecniche tradizionali è di circa 150 euro a chilometro). Un altro esempio è Wom, una piattaforma per certificare le buone azioni quotidiane. Gli Wom, letteralmente Worth One Minute (vale un minuto), sono dei voucher che si possono guadagnare nei modi più disparati – studiando, facendo volontariato, adottando comportamenti sostenibili, ecc. – e possono essere utilizzati negli esercizi commerciali decisi a premiare questi comportamenti utili.

Come si conciliano progetti simili con le attività di Facebook e altri big tech che hanno firmato il Contratto nonostante i periodici scandali per le loro attività? «I big player non sono il male, anzi hanno un ruolo fondamentale nel garantire che il Web resti alla portata di tutti. Questo è possibile solo con la monetizzazione dei servizi offerti, che sono preziosi e gratuiti», chiarisce Bogliolo. «Le grandi aziende hanno quindi l’esigenza di spingersi al limite di ciò che è lecito, ma al tempo stesso devono essere disponibili a chiarire i confini di ciò che si può fare e cosa no. È centrale il punto 5 del Contratto che richiama al rapporto di fiducia sul Web: è nell’interesse di tutti trovare un equilibrio per conciliare interessi contrastanti». Basterà una firma per cambiare tutto? «No di certo, tra le righe del contratto sono nascoste sfide che riguardano tecnologie ancora non sviluppate, o non sufficientemente mature. Tuttavia, non bisogna dimenticare un altro aspetto, un principio di responsabilità nascosto tra i vari punti ma non esplicitato: ognuno è responsabile delle proprie azioni anche in Rete, il Web non è un luogo dove si è liberi di agire di nascosto».

*Articolo pubblicato su Business People di marzo 2020

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Classe ‘55, co-inventore del World Wide Web insieme a Robert Cailliau, il 6 agosto 1991 Tim Berners Lee pubblicò il primo sito al mondo, presso il Cern. Lo scorso novembre ha lanciato la proposta di un Contratto per il Web (foto Getty Images)