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Gusto

Brindare col Dragone

Il Far East è estremamente dinamico anche rispetto alla produzione enologica. Certo, non sempre i nettari sono all’altezza di quelli a cui siamo abituati in Europa, ma pure a Shanghai e a Pechino si possono fare ottimi incontri di gusto. E per chi non vuole rischiare, ecco i vini francesi e italiani à la carte nei migliori ristoranti cinesi. Cosa bere (e non bere) quando si visita il Celeste impero

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La Cina è sempre più una destinazione obbligata per i nostri manager, sia per quelli in cerca di nuove prospettive di business, sia, a maggior ragione, per quelli che col Celeste impero hanno oramai rapporti d’affari consolidati. Ma nel Far East ci si reca anche solo per turismo o per comprendere dal suo ventre i movimenti che sta per compiere il grande drago. E, a proposito di ventre, lo sapevate che tra i vari settori in pieno boom nel Paese, il vino è tra quelli con le performance più sorprendenti? Lasciamo perdere per un attimo la faccenda dal punto di vista economico, e parliamo, per una volta, del palato. Sarà possibile fare gli enoturisti anche in Cina? O ci dovremo limitare a strapagare vini comuni che dalle nostre parti non ci sogneremmo mai di bere?

UNA VISIONE D’INSIEME

Il consumo pro-capite del vino in Cina sembrerebbe molto basso rispetto al livello internazionale, con appena 0,4 litri all’anno pro-capite. Il dettaglio che sfugge forse è che stando ai dati del luglio 2011 i cinesi sono 1.336.718.015 e questo fa della Cina un potenziale mercato da 713 milioni di bottiglie, quasi equamente distribuito tra vino prodotto in patria e importato. Un mercato che fa gola ai big della produzione mondiale, Francia in testa, che raccoglie consensi in termini di export soprattutto per la produzione bordolese, da sempre il benchmark vinicolo dei paesi asiatici. La Cina non ha faticato molto a diventare (già nel 2010) il principale mercato per quanto riguarda la regione Bordeaux (la più importante regione al mondo per qualità e quantità da circa 300 anni), ma ha anche pensato di raddoppiare in valore le importazioni dall’Italia nel 2011 rispetto all’anno precedente, arrivando nel complesso alla ragguardevole cifra di 260 milioni di litri (circa 350 milioni di bottiglie, grosso modo la produzione annuale di Champagne) di vino importato, il tutto ad una crescita del 58% annua. Si tratta quindi di un mercato in espansione non solo dal punto di vista del consumo, trainato dai vini status symbol come Lafite Rotschild, “colpevole” di essere facile da pronunciare in cinese, ma anche della produzione, che cresce a doppia cifra e annovera un 80% di vino rosso e 20% di vino bianco, con punte di qualità nelle province di Beijing e Zhangjiakou nella regione di Hebei, Yibin nel Sichuan, Tonghua nel Jilin, Taiyuan nel Shanxi, Ningxia e Yantai, che con se sue oltre 140 cantine annovera circa il 40% del totale della produzione cinese. Il governo cinese parla infatti di 400 cantine distribuite dalla Mongolia interna fino al Mar Giallo di cui però praticamente sono in tre a rappresentare quasi la metà del mercato, ovvero “the big Three”: Dynasty, Great Wall e Changyu. Oltre a produrre vini a basso prezzo (sotto i 3-4 dollari), le big Three producono anche vini di alta gamma come il Merlot di Great Wall (28 dollari) o il Cabernet che arriva a 72 dollari, ma anche una qualità paragonabile ad un discreto Bordeaux. Tra i vini di Changyu, da evitare come la peste il “non vintage” Cabernet di ingresso gamma attorno ai 5 dollari e anche il Great Wall dry red wine, attorno ai 3 dollari. Un’altra azienda piuttosto diffusa è Grace Vineyards che presenta un discreto Merlot attorno ai 28 dollari, ma soprattutto un notevole vino in stile Pauillac come il Grace Deep Blue 2008 (che però ha un prezzo che si aggira sui 42 dollari).

QUALE STORIA E QUALI VITIGNI?

Le origini del vigneto cinese sono molto più antiche di quanto si creda (risalgono alla dinastia Han tra il 121 e il 136 a.C.), soprattutto perchè oltre la Vitis vinifera (la vite domestica classica europea), sono anche molto diffuse due varietà autoctone, la Vitis amurensis e la Vitis thunbergii, che però sono inadatte alla produzione di vino di qualità. Oggi i vitigni più coltivati sono Cabernet Sauvignon merlot, Muscat d’Hambourg e Dragon’s eye o Longyan, vitigno autoctono a bacca nera diffuso soprattutto nella regione dell’Hubei. Le prime province importanti sono però state quelle di Kansu e Xian, ma solo alla fine del 1800 ci furono i primi seri tentativi di vinificare uve occidentali per produrre vini in stile europeo con Zhang Bi Shi governatore locale, che fondò Chang Yu Winery nello Shandong, impiantando welschriesling (riesling italico). Già dal 1910 la Francia è presente perché nasce la Chang Yi Winery a Beijing (oggi “Azienda vinicola dell’amicizia di Beijing”). Altre presenze francesi importanti sono negli anni ‘70 con Remy Martin e il vino Dinasty (tutt’og-gi prodotto con il vino portabandiera Merlot 100% pub-blicizzato addirittura come di livello qualitativo “Lafite” e prezzi molto alti), negli anni ‘80 Pernod-Ricard sempre a Beijing, e infine negli anni ’90 la multinazionale Seagram, di origine canadese con il progetto Summer Palace, e di capitali russi con tentativi di produrre vino da varietà nazionali come rkatsiteli e severnyi.

ORIENTARSI NELLA PRODUZIONE CINESE

Non esistono ancora leggi specifiche per le zone di produzione cinesi ed è praticamente impossibile essere certi che un vino sia al 100% fatto con uve cinesi nonostante la scritta “chinese wine” in etichetta. Yantai-Penglai è la regione in cui si concentra il 40% della produzione, anche se la qualità è tutt’altro che interessante, molto meglio la provincia centrale di Shanxi, dove C.K. Chan ha fondato la famosa Grace Vineyard. Nello Shandong, quasi sul Mar Giallo, Château Changyu è l’erede di un’azienda fondata nel 1892, con interessanti Chardonnay arrivati addirittura sui mercati Usa. Oggi il nome dell’azienda è Château Changyu-Castel, a sottolineare la forte influenza tecnica e stilistica della Francia. Particolarità produttiva cinese nel Liaoning con grandi investimenti per produrre Icewine, tipologia del quale la Cina si avvia a diventare il maggior produttore al mondo sorpassando Canada, Germania e Austria, storici produttori della tipologia. Nell’Hubei, la regione più meridionale della Cina vinicola, con un clima confrontabile a quello di Austria e Ungheria, con estati calde e inverni molto rigidi, si trova la famosa azienda Great Wall, che produce quasi esclusivamente vini da vitigni a bacca nera bordolesi ma poveri in struttura. Qui si coltiva molto il Dragon’s eye o Longyan che dà vini anche abbastanza ricchi e corposi nelle annate migliori.

PROSPETTIVE FUTURE E NUOVA COMUNICAZIONE

La retorica di conquista del vino italiano batte forte sul tasto cinese e in effetti si tratta di un mercato dalle prospettive notevoli proprio perché la produzione interna è piuttosto sostenuta. Storicamente è sempre accaduto che il grande consumo e il grande import di vino abbiano seguito il boom della produzione e del consumo di vino locale. È normale cominciare a bere vino prodotto attorno a noi per poi finire, educando il palato, ad apprezzare stili più raffinati ed europei, tutto sta appunto nell’investire in educazione e formazione. In Cina adesso sta cominciando a prendere campo la figura del sommelier, una professione già molto ambita e ricercata. La formazione dei sommelier cinesi e anche nostrani è fondamentale soprattutto perché, nel descrivere un vino, occorre quantomeno abbandonare tutti i classici sentori occidentali normalmente elencati nei ristoranti e utilizzati nelle schede che accompagnano i vini: in Cina ha molto poco senso parlare di sentori di frutti rossi, note di sottobosco e cassis per non parlare di incenso o sacrestia di chiesa, mentre si potrebbe ad esempio parlare di lemongrass, cannella, guava, lichee, jack fruit, lime… Così come sarebbe utile approvare presto trascrizioni fonetiche e traduzioni ufficiali dei nomi di molte cantine, ma su questo anche in Francia, in genere molto unita e veloce, stanno ancora litigando sul nome degli Chateau più famosi. Prepariamoci quindi a un linguaggio nuovo per un mondo nuovo che, per fortuna, apprezza un prodotto antico e sempre attuale come il vino.

CAMPANILISTI A TUTTI I COSTI

Se l’aria di casa vi sembra fondamentale, ricordiamo che in Cina sono regolarmente importati tantissimi vini italiani, dalle denominazioni più prestigiose a quelle più comuni. Per esempio, sono da poco stati assegnati i “China best value wine & spirits awards” da parte da importatori e ristoratori cinesi a quei vini che, appunto, vengono considerati acquisti affidabili e relativamente a buon mercato per la loro qualità. Ci si aspetterebbero carneadi, invece i nomi sono abbastanza noti anche in madrepatria come il Brunello di Montalcino 2006 di Belpoggio (la tenuta toscana di Belussi, famosa produttrice di Prosecco), il Montepulciano d’Abruzzo Valle d’Oro 2009 di Cantine Tollo e tanto Sud con il Salice Salentino Ribo 2009 e il Primitivo pugliese Fra’ Diavolo 2009 di Marco Maci, oltre all’immancabile Nero d’Avola Ca’ di Ponti del distributore Boutinot Limited. Questi sono i cinque italiani valutati “Double Gold” tra i 21 da tutto il mondo, senza contare che, ad esempio, il Cile è sì presente ma con un Moscato, imitazione del nostro Moscato d’Asti, il Saint Morillon Moscato Demi Sec prodotto da Mitjans. Altri premi e menzioni anche per gli spumanti, dove il capofila è il Franciacorta Brut “25” di Berlucchi, decisamente incoraggiante per la nostra regione spumantistica di punta, che ha sempre fatto fatica sui mercati internazionali, perché proposta a prezzi vicini ai cugini dello Champagne e non in grado di rivaleggiare per blasone e notorietà.

I VITICOLTORI, NUOVI E TRADIZIONALI

E parlando di qualità, ci sono vere e proprie realtà consolidate in questa enorme start-up del vino? Ne abbiamo parlato con Joe Zhang, importatore in Cina con Aussino World Wines con sede a Guangzhou (www.aussino.net).

Esistono buoni vini che non sfigurano in un grande ristorante cinese? Certo! Ad esempio, stappiamo spesso, per fare bella figura, i vini di Grace Vineyard e quelli di Helan Mountain, occidentali non solo nel nome, tanto che cominciano ad essere famosi anche nel resto del mondo. Anche Jiabeilan è un nome da tenere d’occhio, viene prodotto nella regione autonoma di Ningxia Hui. Ma sono vini amati e comprati spesso dai cinesi benestanti che amano sfoggiare le loro produzioni in certi contesti. Se cercate un fuoriclasse dai vigneti He Lan Qing Xue, sempre nella regione di Ningxia Hui, provate il cabernet Jia Bei Lan 2009, tra l’altro incoronato da Decanter UK nel 2011 come migliore varietale bordolese, mentre il Syrah 2007 di Chateau Reifeng-Auzias è stato premiato per il rapporto qualità prezzo.

Tra i vini europei, o comunque internazionali, quali sono i best seller in Cina? In genere il consumatore cinese ama il vino del Vecchio mondo, soprattutto Francia, per questioni di immagine e anche di palato, in genere sono più morbidi e carezzevoli di quelli italiani. Dopo la Francia, direi subito dietro l’Australia, anche se l’immagine non è paragonabile.

Esiste un problema contraffazione in Cina? Certamente non per i prodotti locali, mentre cominciano a girare falsi Bordeaux (Petrus ma soprattutto Lafite Rotschild) e prodotti di importazione parallela e illegale sia dall’estero che da Hong Kong, dove le tasse per l’import sono molto più basse.

Quali sono i vini cinesi assolutamente da evitare? Praticamente tutti quelli che sono venduti sotto i 50 rmb (50 rmb corrispondono a 6,5 euro, ndr). Mentre, già da 70-90 rmb (9-11 euro) si possono comprare accettabili vini stranieri argentini e cileni.