Lavorare da casa? La metà degli italiani ha dubbi sullo smart working

A dispetto di certi luoghi comuni, non sono più considerati solo come semplici “soldatini”, da spremere il più possibile per ottenere il massimo rendimento. Oggi, le aziende italiane sembrano aver finalmente capito l’importanza di tutelare il benessere e la felicità dei propri dipendenti. Perlomeno, questo è quanto emerge dall’indagine su Smart Working, Welfare Aziendale e Change Management condotta da Doxa. Secondo i dati raccolti, infatti, ben 9 aziende su 10 - la quasi totalità dunque - ha a cuore il work-life balance, letteralmente equilibrio vita-lavoro, tanto che prevedono tutta una serie di iniziative a favore dei propri dipendenti. Quali? A elencarle sono direttamente i “colletti bianchi”, ossia impiegati, quadri e dirigenti, che citano, voci come: strutture e facilities presenti in azienda (bar, cucina/mensa, aree relax/svago, asilo nido, biblioteca/sala lettura e persino palestra); iniziative extra lavorative ad hoc (eventi culturali/seminari, gite/viaggi aziendali, corsi di ginnastica/yoga e per il tempo libero); assistenza ai familiari (baby-sitting, assistenza disabili e anziani) e, infine, servizi per i figli.

Il well-being dei lavoratori accresce il business delle aziende italiane

Le aziende italiane hanno dunque compreso quanto il well-being dei propri dipendenti sia importante, tanto che deve rientrare fra le priorità, non solo per ragioni etiche, morali e sociali, ma anche perché il miglior benessere sul luogo di lavoro e fuori si traduce in migliori opportunità di business. Peccato che sullo smart working ci siano ancora molte resistenze, anche da parte degli impiegati: il 47%, infatti, si è detto dubbioso in merito alla flessibilità intesa come opportunità di lavorare per obiettivi (indipendentemente dagli orari), anche da casa e magari di rinunciare alla postazione fissa, mentre un 13% è assolutamente contrario. Probabilmente perché non sono ancora arrivati l’incoraggiamento e l’entusiasmo da parte dei dirigenti: i vertici organizzativi, infatti, devono essere i primi a dare l’esempio, anche in questo caso.