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Protezione dei dati in Italia, il parere dei professionisti

Con l’entrata in vigore del Gdpr, Kingston ha realizzato un’inchiesta che ha coinvolto alcuni professionisti per capire come si sono preparati per rispettare le richieste del legislatore europeo

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Dopo tanto parlare, l’entrata in vigore del Regolamento generale sulla Protezione dei dati è ormai operativo. Al fine di garantire la conformità al GDPR, in questi mesi le aziende e tutti i professionisti sono stati chiamati a mettere in atto una serie di attività preparatorie volte a rivedere le proprie policy in materia di protezione dei dati per adeguarle alle richieste del legislatore europeo. Una recente indagine realizzata da Kingston Digital, società specializzata nella produzione di supporti digitali per l’archiviazione dei dati, ha verificato le diverse attitudini dei professionisti su questo tema.

Ogni giorno nel mondo vengono prodotti 2,5 quintilioni di byte di dati: un numero difficile anche solo da pensare e quasi impossibile da quantificare (un quintilione equivale a un miliardo di triliardi e un triliardo corrisponde, a sua volta, a mille miliardi di miliardi). Un numero enorme, soprattutto se si considera che solo negli ultimi due anni sono stati creati il 90% di tutti i dati oggi presenti su Internet. Ogni minuto vengono create 600 nuove pagine su Wikipedia, 120 profili su Linkedin, vengono postate su Instagram oltre 40 mila foto e inviati 15 miliardi di sms. Il tasso di crescita dei dati non si arresta, anzi aumenta in modo esponenziale. Non tutti questi dati vengono salvati, e in alcuni casi vengono perduti per sempre.

Ed è proprio in questo scenario che Kingston ha chiesto a diverse categorie di professionisti – medici, avvocati, commercialisti, consulenti finanziari, giornalisti, proprietari di palestre, preti – quale sia il rapporto che hanno con i dati generati durante la propria attività professionale, e come si comportano quando devono archiviarli o trasportarli.

Dall’indagine emerge che tutti i professionisti intervistati ritengono ormai essenziali i dati prodotti quotidianamente durante lo svolgimento della loro attività. Questa consapevolezza però non sempre si traduce in comportamenti virtuosi quando ci si trova a dover archiviare, proteggere o trasportare i dati stessi. Nel caso dei medici, ad esempio, l’archiviazione avviene a livello centralizzato all’interno della struttura ospedaliera, e non è possibile in nessun caso portare all’esterno queste informazioni strettamente riservate. Nel caso invece dei dati utilizzati per le ricerche in ambito medico, non ci sono grossi problemi per il trasporto dei dati in mobilità, in quanto tali dati sono tutti anonimi.

Molto rigorosi i commercialisti, che effettuano backup multipli su dischi rigidi esterni, PC e Cloud. Meno scrupolosi si rivelano altri utenti quali ad esempio i gestori di palestre o i giornalisti, che fino ad oggi non erano vincolati da nessuna normativa in materia di protezione dei dati. Nonostante la tendenza generalizzata dei tempi odierni verso la digitalizzazione, esistono categorie ancora ancorate al cartaceo. Per gli avvocati, ad esempio, tutto passa prima dalla carta prima della digitalizzazione; lo stesso vale per i preti, che ricevono tutte le informazioni ecclesiastiche ufficiali via posta.

L’inchiesta ha evidenziato anche un forte scetticismo dei professionisti nei confronti dei servizi di archiviazione cloud, ma spesso non vengono usati sistemi di backup alternativi sicuri come le chiavette Usb crittografate come quelle proposte da Kingston. Non sorprende quindi che la quasi totalità dei professionisti intervistati ha sperimentato almeno una volta la perdita dei dati, con recuperi spesso solo parziali. Se da un lato nessuno degli intervistati è in grado di assegnare un preciso valore economico ai dati generati sul lavoro, la percezione del loro valore in termini di tempo risulta chiara: tutti concordi sul fatto che i dati valgano un’intera vita lavorativa.