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Personalizzazione e produzione di massa ora vanno a braccetto

Su misura, personalizzazione tailor made. Vari modi di dire per esprimere un solo concetto che si contrappone all’impero della produzione di massa su mercati che sono sì sempre più globali, ma anche a portata di click. La soddisfazione del cliente per i brand non è mai stata così urgente

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Il cliente ha sempre ragione? Probabilmente Henry Gordon Selfridge, il fondatore dei lussuosi magazzini omonimi nel Regno Unito, aveva visto giusto. Era il 1909 quando il tycoon inglese formulò forse la frase più copiata nel campo del com­mercio, prima cioè della grande crisi del ‘29, prima del boom economico, prima della globalizzazione e soprattutto prima dell’e-commerce. Eppure, oggi, a più di un secolo di distanza, non solo il mondo retail, ma anche quello dei servizi, si ritro­va a discettare di centralità della customer experience, anzi, meglio: del customer journey.

Il cliente resta il punto di par­tenza e di arrivo di un’esperienza protratta nel tempo, che fa del brand non più un semplice fornitore (di prodotti o servizi) ma un vero e proprio interlocutore, da cui aspettarsi risposte e comportamenti coerenti prima, durante e dopo l’acquisto. In particolare, uno studio condotto dall’Università dell’Illi­nois ha messo in luce come nel mondo occidentale, regolato da un approccio più individualista alla vita, in cui cresce il nu­mero di single e diminuisce la propensione alla genitorialità, gli acquisti seguono per l’80% gli impulsi emotivi. Che sono quanto di più aleatorio esista, per chi deve prevedere, ana­lizzare e indirizzare politiche di business. A meno di non ini­ziare a pensare a più di un pubblico, a seconda della capacità di segmentazione dell’azienda, cui parlare in modo adegua­to.

È il principio della personalizzazione di massa, il modo cioè per rendere un bene o servizio (prodotto su scala indu­striale) capace di flessibilità, sia essa reale o percepita. Dagli esordi, Apple ha basato il suo successo proprio sul coinvol­gimento del pubblico: Steve Jobs era un guru, l’ispiratore di una community ideologica prima ancora che di consumatori. In realtà anche Apple si è attenuta a quelli che Kpmg, socie­tà di consulenza alle imprese, delinea come i sei pilastri del B2C (ma anche B2B) del presente e prossimo futuro. I primi tre sono basilari. Personalizzazione (intesa come percezio­ne dell’unicità dell’esperienza da parte del cliente); integrità, cioè la fiducia di cui il brand gode presso il cliente; capacità di generare e soddisfare aspettative: in un’ottica di competitività estrema, il brand che genera maggiori aspettative sarà quello più premiato, ma solo a patto di soddisfarle. Seguono risoluzione e impegno (cioè la capacità di semplificare la vita del cliente facendogli risparmiare tempo e fatica), e soprat­tutto empatia, la parola chiave per un approccio efficace alla mass customisation, la capacità di dialogare con il cliente per conoscerlo e instaurare una relazione profonda (che diven­ti duratura). Il Customer Experience Excellence (CEE) Score, la classifica che Kpmg pubblica ogni anno, è l’indice di pene­trazione dell’approccio personalizzante e i suoi effetti sul­le economie aziendali.

L’ultima edizione prende in considerazione oltre 2.700 brand che hanno generato circa 3 milioni di valutazioni in 20 diversi Paesi del mondo. Rispetto agli anni scorsi si registra un trend globale in crescita, che si traduce in aumento della redditività. La personalizzazione è nell’approccio, prima ancora che nel prodotto, e nelle modalità di realizzazione prende in considerazione sia gli ambiti di partenza che le potenziali direttrici di sviluppo. Vediamo, per esempio, che la classifica mondiale dei best performers è guidata da Amazon, che attraverso l’enorme varietà di prodotti disponibili e un customer service puntuale ha intercettato l’esigenza di efficienza del cliente, creando la mentalità Amazon first, la tendenza a cercare ciò di cui si ha bisogno su Amazon prima che su altri shop, on e offline. Al secondo posto, Paypal ha impostato l’approccio al cliente sulla sicurezza e sulla semplicità d’uso, rendendo l’esperienza di pagamento più piacevole e serena. Segue Chanel, che ha scel­to di privilegiare l’esperienza retail in negozio piuttosto che online (a dimostrazione che vince il contatto con il clien­te e non il mezzo con cui si ottiene), mentre Prada sale di otto posizioni rispetto al 2018 e balza al sesto posto, con una strategia completamente diversa, puntando cioè sull’impat­to sociale ed emotivo del Fur-Free, l’abbandono delle pellicce che diventa effettivo proprio dalla collezione 2020: sono diversi anni però che il gruppo si è posto all’ascolto della propria clientela attraverso lo sviluppo di tecnologie che integrano la dimensione fisica e digitale all’interno degli store stessi, come la rete Wi-Fi che dialoga con gli strumenti Crm in grado di costruire un’esperienza su misura in tempo reale. Al settimo posto, Morellato scommette sull’omnicanalità, moltiplicando cioè le modalità di interazione con il suo pubblico e potenziando la facilità di accesso, mentre Netflix (la new entry nella top 10 del 2019) vince riuscendo a captare gli interessi e i gusti dell’audience grazie alla profilazione capillare e creando viewing list coerenti con il mood di ogni abbonato. ­

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© iStockPhoto/fotostorm