Cominciamo dalle basi: togliamo quell’accento sulla “e” finale, si legge “sàke” e non “saké”. Altro accorgimento: se siamo in Italia va bene, ma se pensiamo di bere il fermentato di riso giapponese nella sua patri d’origine non possiamo entrare in un locale e chiedere un sake. Per loro questo termine significa semplicemente “bevanda alcolica” e ci apostroferebbero con un: «Quale vorrebbe nello specifico?». Chiediamo, piuttosto, un nihonshu, appunto quello che qui conosciamo come sake.
Sake? Più birra che vino
Paragonato spesso al vino, il suo metodo di produzione è in realtà molto più simile a quello della birra. Il sake è, infatti, un fermentato e, di conseguenza, con il vino ha poco o niente a che fare. Si ottiene alcol dalla fermentazione di un cerale, il riso sakamai (varietà selezionata appositamente), a cui si aggiungono acqua e koji (riso inoculato con un particolare tipo di muffa, l’Aspergillus oryzae).
Spiega nel dettaglio il barman Vito Laselva, sake sommelier e, negli ultimi due anni e mezzo, bar manager del ristorante giapponese Kanpai, a Milano: «La produzione inizia con la lucidatura del riso per rimuovere gli strati esterni. Il riso viene poi lavato, messo a bagno e cotto a vapore. Successivamente, viene aggiunto il koji per avviare la conversione degli amidi in zuccheri. A quel punto si aggiungono lieviti e altra acqua in diverse fasi per favorire la fermentazione alcolica. Infine, il sake viene pressato, filtrato (non obbligatoriamente) e pastorizzato (opzionale, ma il 90% dei prodotti che arrivano in Europa lo sono) prima dell’imbottigliamento. Il risultato è una bevanda con una vasta gamma di sapori e profumi, che variano a seconda degli ingredienti e del metodo di produzione».
Una bevanda che non eccede nel tenore alcolico – in questo è, sì, paragonabile al vino – e che piace sempre di più ai consumatori italiani. Dall’esplosione della passione per la cucina giapponese ne è passato di tempo, forse possiamo collocarla durante gli anni 90; ma è nell’ultimo decennio che il sake ha costruito la sua fortuna. Marco Massarotto è delegato italiano della Japan Sake and Shochu Makers Association (JSS) e fondatore di Nippon Concierge, oltre a essere stato insignito del titolo di Sake Samurai nel 2016. «Quando parliamo di sake in Italia», spiega, «parliamo di numeri in forte crescita: nel 2024 nella Penisola ne sono stati importati oltre 384 mila litri, con un aumento del 180% rispetto a dieci anni fa e un incremento del 117% in valore rispetto al 2023». Lo certificano i dati della Japan Sake and Shochu Makers Association, che rilevano anche una crescita globale del 6% nelle esportazioni di sake tra il 2023 e il 2024 con 3,45 milioni di casse spedite in 80 Paesi, stabilendo una cifra record.
I bicchieri da vino vanno bene, ma l’ideale è sorseggiare il sake nei tradizionali bicchieri di ceramica
Detto di come lo si produce e di quanto è cresciuto, parliamo di come lo si beve. I bicchieri da vino vanno bene, ma l’ideale è sorseggiarlo nei tradizionali bicchieri di ceramica. Rigorosamente bianchi: la purezza del sake si identifica dalla trasparenza del liquido. Non è un “fine pasto” (per quello vanno benissimo gli amari di tradizione tricolore), ma un concorrente di un buon vino a tutto pasto. Non sentiamoci obbligati ad abbinarlo a piatti orientali. Spiega ancora Massarotto: «Il successo del sake nel nostro Paese è legato soprattutto alla sua straordinaria versatilità. Si abbina perfettamente alla cucina giapponese tanto quanto a quella italiana, valorizzando i sapori senza sovrastarli. A questo si aggiungono un profilo aromatico distintivo e una gradazione alcolica moderata, che ne fanno una scelta raffinata per chi è alla ricerca di esperienze sensoriali nuove e coinvolgenti».
La cultura del bere giapponese prende piede, specie nelle grandi città. A Roma è nato Nomimoto Roma Sake Club, sorta di circolo che propone eventi e appuntamenti per appassionati. A Milano, dal 22 al 26 maggio, si è tenuto il Milano Sake Festival. Organizzato da Nakama, storico importatore di sake tra i principali in Italia, e Nippon Concierge, società di consulenza e travel design specializzata sul Giappone, ha coinvolto il pubblico milanese con cinque giorni di degustazioni, seminari ed eventi nei migliori locali di Milano e provincia, culminando in una giornata B2B dedicata ai principali distributori e brand di alcolici giapponesi.
Cosa si aspettano gli operatori? Una tendenza alla premiumizzazione del prodotto, dopo anni di aumento di volumi, ma di valori piuttosto fermi. «Ci aspettiamo un’attenzione crescente verso i sake premium e artigianali », conclude Massarotto, «con un focus sempre più marcato su sostenibilità e storytelling. La tendenza alla premiumisation è ormai chiara: i consumatori cercano prodotti di alta qualità che raccontino una storia autentica». Storia made in Japan, in questo caso.
Articolo pubblicato su Business People di giugno 2025, scarica il numero o abbonati qui
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