La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale, e quindi illegittima, la norma introdotta nel 2014 in merito agli stipendi dei dipendenti pubblici e al tetto di 240 mila euro. Ora il parametro viene di nuovo allineato al trattamento economico che spetta al primo presidente della Corte di Cassazione.
Nello specifico, la previsione di un tetto retributivo non contrasta in sé e per sé con la Costituzione, ha spiegato la Consulta, ma questo parametro dovrà essere definito con decreto del presidente del Consiglio, dopo avere ottenuto parere delle commissioni parlamentari competenti in materia.
L’excursus del tetto massimo per gli stipendi della PA
In materia di stipendi dei dipendenti pubblici, il tetto di 240 mila euro era applicato a tutti, compresi gli amministratori con deleghe e i lavoratori che fanno capo alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni.
Il limite massimo retributivo era stato introdotto, in un primo momento, dal Governo Monti, fissando come parametro massimo lo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione. Poi, nel 2014, con il Governo Renzi, il “tetto retributivo” è stato successivamente determinato in misura fissa con quella che è stata definita una “significativa decurtazione del trattamento economico” di diverse figure, inclusi anche alcuni magistrati, ha specificato la Consulta. La Corte chiarisce che la decisione vale comunque per tutti i dipendenti pubblici sottoposti al tetto, e non riguarda solo per le toghe.
Per i primi anni la norma, considerata una misura straordinaria e temporanea, giustificata dalla crisi finanziaria in cui versava l’Italia, non è stata toccata né contestata. Con il trascorrere del tempo, però, secondo la Consulta ha definitivamente perso quel requisito di eccezionalità, posto a tutela della indipendenza della magistratura e necessario ai fini della sua compatibilità costituzionale.
A questo punto, quindi, sarà necessario un decreto del presidente del Consiglio, tecnicamente un dpcm, per determinare l’importo aggiornato, previo parere delle commissioni parlamentari competenti in materia. Dato che si tratta di una incostituzionalità sopraggiunta in un secondo momento, l’illegittimità non è retroattiva ed entrerà in vigore solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta ufficiale.
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