Le giornate lavorative, a lungo andare, possono logorare e far venire meno la motivazione che deve essere alla base di un buon rendimento. Cambiare realtà professionale non è sempre possibile e non è nemmeno detto che sia la soluzione migliore. Spesso, invece, il job crafting è quello che risponde maggiormente alle proprie esigenze, anche sul medio e lungo periodo.
Si tratta, nello specifico, di rivedere l’organizzazione del proprio lavoro, in maniera tale che sia più in linea con quello di cui si ha bisogno e/o con quelli che sono i propri desideri personali. È risaputo, infatti, che in questo periodo storico fare carriera non è prioritario quanto riuscire a trovare il giusto equilibrio fra vita privata e soddisfazione lavorativa. È una possibilità, inoltre, che si può adattare a qualsiasi figura professionale e a qualsiasi settore.
Cosa si intende per job crafting
Il job crafting è un concetto che riguarda la psicologia organizzativa e del lavoro e che si traduce in un cambiamento in termini di compiti e responsabilità perché siano subordinati alle proprie esigenze e competenze, le cosiddette soft skill per intendersi. In questo modo, l’esperienza lavorativa è più motivante e risulta essere maggiormente produttiva. Basti pensare, per esempio, a tutte quelle realtà in cui l’adozione della settimana corta ha portato a un miglioramento degli obiettivi aziendali, dimostrando che non è quanto si lavori a fare la differenza ma come.
È un modo di fare valere la propria autonomia professionale – che non è solo legata a chi svolge un lavoro da libero professionista, ma che riguarda ogni tipo di lavoratore – nella prospettiva di mantenere la propria posizione. Questo, però, presuppone un cambiamento che aiuti a rispondere alle proprie priorità. Perché un dipendente o un collaboratore più felice porta a casa (o, meglio, in ufficio) dei risultati migliori e in minor tempo.
Quali sono le dimensioni del job crafting
Il job crafting è strettamente correlato alle responsabilità lavorative e al modo in cui si gestiscono. Ci sono tre dimensioni in cui questo aspetto può essere declinato:
- Task crafting;
- Relationship crafting;
- Cognitive crafting.
Il task crafting si mette in atto quando si agisce sul tipo, sulla quantità e sull’ordine delle mansioni svolte ogni giorno. Il relationship crafting è incentrato sui rapporti professionali con i colleghi, i capi e i clienti. L’obiettivo è di renderli i più sereni e proficui possibili. Il cognitive crafting riguarda la riformulazione del modo in cui i lavoratori percepiscono il proprio ruolo. Se non può essere cambiato, può essere rimodulato per potersi riconcentrare meglio sugli obiettivi da raggiungere, senza perdere di vista la soddisfazione e il benessere in generale.
Quando si mette in pratica questa strategia
Il job crafting viene tenuto in considerazione in fase di colloquio da chi ricerca il personale. Non è raro chiedere al candidato quanto sia autonomo nell’organizzazione del proprio lavoro, proprio per comprendere il grado di propensione all’autonomia professionale e alla ricerca di una propria dimensione che sia sana e funzionale alla produttività aziendale.
La personalizzazione è molto importante anche nel rapporto con i colleghi e con il pubblico (qualora la mansione lo preveda). Il fine è fare rete nel modo più idoneo alle esigenze personali e a quelle della realtà in cui si coopera.
Questo si traduce nella riorganizzazione dei compiti, nell’ampliamento o (se si desidera ed è in linea con la mission dell’azienda) nella riduzione delle responsabilità. Riguarda anche la formazione di nuovi rapporti professionali e il modo in cui si percepisce il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione lavorativa. Questo perché dietro ai compiti ci sono persone che devono essere coinvolte e gratificate, non soltanto dal punto di vista retributivo e dell’avanzamento di carriera, ma tenendo a mente anche le esigenze personali.
Quali sono i benefici del job crafting
Nel momento in cui il concetto di job crafting viene sposato in maniera positiva e propositiva, si traduce in meno stress che, a sua volta, vuol dire ridurre il rischio di burnout. Inoltre, assecondare i propri bisogni, senza mettere in secondo piano quelli aziendali, dà una maggiore motivazione. Questo significa essere più propositivi e spinge a mettersi maggiormente in gioco.
Sentirsi parte attiva del processo lavorativo fa bene all’autostima, aumenta il coinvolgimento e il benessere generale del lavoratore. Viene quasi naturale, quindi, migliorare le proprie competenze e guardare alle nuove opportunità con uno sguardo diverso.
Cos’è la me economy
In questo contesto di cambiamento e personalizzazione, c’è una maggiore propensione alla flessibilità. Si ricerca più autonomia e un rispetto della propria identità in generale. Ecco perché si parla di me economy. Ma cosa significa nel concreto? Si può declinare in orari personalizzati e lavoro da remoto, in mansioni su misura e in linea con le proprie aspirazioni professionali. Ma vuol dire anche dare un valore più profondo al tempo passato in ufficio o all’ambiente di lavoro, considerato in un’accezione più ampia dell’espressione.
Secondo una recente ricerca di Manpower, azienda leader nella gestione delle risorse umane, il 64% dei candidati punta a un impiego che preveda la settimana corta e il 45% vorrebbe avere voce in capitolo sull’orario di lavoro. Inoltre il 35% si aspetta e cerca di lavorare da remoto.
Il 60% dei lavoratori che fanno parte della Generazione Z vuole avere margine di avanzamento di carriera, con un orientamento regolare da parte di chi ha maggiore esperienza, ricerca figure di riferimento qualifica da seguire e piani di crescita professionale chiari e trasparenti.
Un ruolo specifico nella declinazione del job crafting lo hanno le donne. Nello specifico, l’85% desidera organizzare il proprio lavoro in autonomia e soltanto il 7% accetterebbe un full time senza la possibilità di lavorare da remoto.
Ma non è finita qui: il cambiamento non riguarda solo l’universo femminile e i giovani. Il 93% della forza lavoro senior, di entrambi i sessi, ha subito l’influenza delle nuove generazioni e del loro rapporto con la tecnologia. Hanno cambiato approccio anche in termini di relazioni interpersonali, rispetto al concetto di equa retribuzione e alle ricadute sociali che il proprio ruolo professionale implica.
Infine, questo nuovo approccio al lavoro ha delle ricadute sul cosiddetto quiet quitting. Con questa espressione si intende la tendenza a svolgere solo il minimo indispensabile, senza alcun coinvolgimento emotivo o volontà di andare oltre. Nel momento in cui si personalizza il proprio ruolo, questo desiderio viene meno perché ci si sente parte integrante di una mission. Ne giovano tutti, lavoratori e azienda.
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