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Sostenibilità

Oro verde

Il business dell’energia pulita in Italia vale 21 miliardi di euro all’anno e non è che l’inizio. Ma occorre puntare su tutte le fonti, non solo sul sole. Ne parlano Paolo Rocco Viscontini (Enerpoint), Antonio Siano (Sedna), Massimo Remediani (Ge Industrial Solutions) e Walter Righini (Fiper)

A Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, l’uranio è ormai soltanto un ricordo. A fianco della centrale atomica Enel dismessa, una delle più importanti in Italia fino agli anni ‘80, è sorto il maggior parco solare d’Europa, secondo al mondo per grandezza, con una superficie di 285 ettari e una potenza di 85 Mw. Il nuovo impianto di Montalto, costruito dal gruppo italiano Vona in partnership con gli americani di SunPower, è il simbolo di una nuova era: quella delle energie rinnovabili che dovranno liberare il nostro Paese dalla schiavitù del petrolio e dei combustibili fossili. Eolico, solare, idroelettrico, geotermico e biomasse: il futuro dell’economia italiana, a quanto pare, è ormai legato indissolubilmente a queste cinque fonti energetiche che, in futuro, rappresenteranno sempre più il motore dell’industria nazionale. Una torta miliardaria. Il business dell’energia verde è diventato ormai una “gallina dalle uova d’oro” che, secondo le stime della società di consulenza At Kearney, in Italia vale già circa 21 miliardi di euro all’anno. Gran parte delle risorse, una cifra di oltre 13 miliardi, si concentra ancora sugli investimenti per la costruzione di nuovi impianti mentre la produzione di energia, che beneficia degli incentivi tariffari pubblici, ha un valore di poco più di 7 miliardi. Si tratta di una cifra modesta ma che, a ben guardare, rappresenta il 20% dei consumi totali di elettricità e più del 9% dell’energia primaria generata nel nostro Paese. Va detto, però, che a fare la parte del leone un po’ in tutta Europa è soprattutto una fonte: quella idroelettrica che, da sola, ha una capacità produttiva pari a più del doppio rispetto all’eolica e alle biomasse. Per non parlare poi del solare (o fotovoltaica) e della geotermia, che rimangono ancora relegati a una quota modestissima (tra l’1 e il 3%). Eppure, molti investimenti nel nostro Paese si concentrano proprio sul fotovoltaico, che ogni anno muove risorse per ben 11,5 miliardi di euro. Il sistema-Italia ha infatti adottato una strategia ben precisa: vuole puntare sullo sviluppo dell’energia solare, a costo anche di sacrificare un po’ tutte le altre fonti. Perché? Anzitutto va ricordato che l’industria idroelettrica ha una lunga tradizione nella Penisola ed è già sfruttata a pieno ritmo. L’energia eolica, invece, pur garantendo buoni rendimenti, non trova un terreno fertile a Sud delle Alpi dove tira meno vento che nel resto d’Europa. Stesso discorso per la geotermia, il cui sviluppo si concentra soprattutto nella zona di Larderello (Pi), mentre le biomasse sembrano più adatte alla produzione di riscaldamento che non di elettricità. E allora, all’Italia non resta che scommettere su uno dei suoi beni più preziosi: il sole. Con quali risultati? È presto per dirlo ma, secondo gli addetti ai lavori, le prospettive di sviluppo sono enormi. La pensa così Paolo Rocco Viscontini, presidente e a.d di Enerpoint, quinta azienda italiana per fatturato nel fotovoltaico, con un giro d’affari di 250 milioni di euro. «L’energia solare deve ancora esprimere gran parte delle proprie potenzialità», dice Viscontini, che ricorda il possibile risparmio nei consumi ottenibile ricoprendo di pannelli fotovoltaici i tetti di gran parte degli edifici della Penisola. Non a caso, sottolinea Viscontini, oggi a puntare sul sole non è soltanto l’Occidente, ma soprattutto le potenze asiatiche affamate di energia come la Cina, leader indiscusso a livello mondiale nella produzione di pannelli fotovoltaici.

MERCATO IN BILICO

13 MILIARDI DI EURO

le risorse investite per la costruzione di nuovi impianti in Italia

7 MILIARDI DI EURO

il valore della produzione dell’energia, sostenuta dagli incentivi pubblici

IL REBUS DEGLI INCENTIVI

Tra il 2009 e il 2010, le agevolazioni erogate dal governo di Roma al settore delle fonti rinnovabili hanno raggiunto il valore di 5 miliardi di euro, il doppio della Francia e della Gran Bretagna e quasi il 20% in più rispetto alla Spagna. Nell’ultimo anno c’è stata però un’inversione di tendenza, e gli incentivi sono scesi a 3,4 miliardi di euro. Colpa della crisi economica, ma anche di numerose incertezze normative che hanno danneggiato molti operatori del settore. Nella primavera del 2011, infatti, il governo ha adottato il Quarto Conto Energia, sistema di incentivi che prevede la possibilità, per le aziende del settore fotovoltaico, di vendere elettricità alla rete nazionale a tariffe maggiorate rispetto a quelle di mercato. L’esecutivo ha però deciso di ridurre le agevolazioni rispetto a quelle precedentemente in vigore (incluse nel Terzo Conto Energia) con un taglio del 20% nel 2011 e un ulteriore limatura alle tariffe di circa il 6% all’anno, dal 2012 in poi. La ragione di questa scelta è legata al calo registratosi nei costi di produzione dei pannelli, che ha reso meno dispendiosi gli investimenti e che rischiava di rendere i vecchi incentivi troppo generosi, con un danno economico per le casse pubbliche e soprattutto per gli utenti finali. Ad ammetterlo sono gli stessi operatori del settore: «C’era il rischio che si creasse una vera e propria bolla speculativa», dice Antonio Siano, presidente di Sedna, gruppo specializzato nella realizzazione “chiavi in mano” di impianti da fonti alternative con un giro d’affari di circa 12 milioni di euro nel primo semestre 2011. Siano non manca però di sottolineare come la revisione degli incentivi da parte del governo, accompagnata da un’incertezza sulle nuove norme, abbia finito per far danni a molte aziende del mercato, che avevano programmato da tempo gli investimenti. Per non parlare poi della solita burocrazia. Questo fattore di debolezza, secondo il presidente di Sedna, ha purtroppo tenuto lontane dalla Penisola molte multinazionali estere, a cominciare dalle tedesche. Ma ha avuto anche, inaspettatamente, un effetto positivo: quello di aver lasciato spazio a piccole e medie aziende nazionali, che hanno maturato un notevole know-how nel comparto del fotovoltaico.

INCENTIVI IN CALO

5 MILIARDI DI EURO

l’aiuto statale erogato dal governo italiano tra il 2009 e il 2010

3,4MILIARDI DI EURO

la somma stanziata per il 2011

IL PANORAMA IN EUROPA

Il contesto internazionale delle agevolazioni alle fonti rinnovabili è assai variegato anche se, in linea di massima, ad affermarsi sono stati quattro diversi sistemi. Il primo (adottato in Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Repubblica Ceca) viene definito “feed in tariff”, e prevede che i produttori di energia da fonti rinnovabili possano vendere elettricità alla rete nazionale (per un certo numero di anni) a un prezzo maggiorato, stabilito a priori. Il secondo modello si chiama “feed in premium” ed è quello su cui si basa anche il Conto italiano. In questo caso, i produttori da fonti rinnovabili vendono elettricità alla rete nazionale al normale prezzo di mercato (è variabile in base alla domanda e all’offerta), a cui viene aggiunto poi un premio tariffario, riconosciuto dall’autorità pubblica. Tra le agevolazioni adottate in Europa, c’è inoltre il sistema dei Certificati Verdi (utilizzato in Danimarca, Svezia, Polonia, Gran Bretagna e importato in Italia per l’industria eolica). Questo sistema prevede l’obbligo per chi produce energia nelle forme tradizionali di generare ogni anno anche una quota di elettricità da fonti rinnovabili (attorno al 6% in Italia). In alternativa, i produttori tradizionali possono acquistare dei Certificati Verdi dalle aziende che generano energia pulita, pagando un corrispettivo prestabilito in denaro. L’intento è quello di penalizzare, attraverso un meccanismo improntato alle logiche del mercato, le produzioni più in-quinanti. Purtroppo, però, questo sistema non ha ottenuto in Italia gli effetti sperati, poiché molti Certificati Verdi sono rimasti invenduti sul mercato.

OPPORTUNITÀ A 360 GRADI

Secondo molti esperti del settore le autorità governative corrono un rischio tutt’altro che trascurabile: quello di concentrare troppi sforzi sulla generazione di elettricità da fonti rinnovabili, trascurando altri importanti settori dell’economia verde, che possono contribuire a ridurre le emissioni di Co2. «La green economy è oggi un universo complesso, che va ben al di là della mera produzione di energia», dice Massimo Remediani, senior sales manager di GE Industrial Solutions, divisione del gruppo statunitense General Electric che produce sistemi integrati per il controllo e la sicurezza nelle forniture di elettricità. Secondo Remediani, oggi c’è bisogno di mettere in piedi un sistema di incentivi ad ampio raggio, capace di includere tutti i segmenti dell’economia verde che finora hanno espresso poco le proprie potenzialità. A questo proposito, il manager di GE Industrial Solutions cita le soluzioni e i servizi per il risparmio energetico, sia nell’industria che nel privato, o i dispositivi per le auto elettriche, che rappresentano il futuro della mobilità nel terzo millennio. Per Walter Righini, presidente della Fiper (Federazione Italiana di produttori di energia da fonti rinnovabili, che riunisce le aziende attive nella generazione di energia termica ed elettrica attraverso la trasformazione delle biomasse) proprio il legno o i rifiuti organici di origine animale e vegetale possono giocare un ruolo importante in Italia, «non tanto nella produzione di energia elettrica, quanto piuttosto nelle applicazioni per il teleriscaldamento, che ha grandi potenzialità di sviluppo, in particolare nelle zone di montagna». Su questo fronte l’Italia ha ancora da colmare un po’ di ritardo rispetto al resto d’Europa. In altre nazioni del Vecchio Continente, gli incentivi all’energia termica dalle rinnovabili come le biomasse sono infatti molto più avanzati rispetto al nostro Paese. Il mondo delle energie pulite, dunque, secondo Righini va ben oltre i confini un po’ angusti della produzione di elettricità e l’Italia non può ignorare questo importante aspetto.