Connettiti con noi

Attualità

Post Covid per lavoro, retail e aziende: non tutto tornerà come prima

Il lockdown ci ha insegnato molto. Sdoganamento dello smart working, accelerazione della digitalizzazione, rivoluzione nel retail, razionalizzazione del numero dei dipendenti, ottimizzazione degli spazi aziendali, sono ormai realtà

architecture-alternativo

Sulla grande stampa internazionale, il lockdown italiano ha dato vita a un florilegio d’articoli sulla sorprendente compostezza di un popolo anarchico e disubbidiente per antonomasia. Eppure, se avessero guardato con più attenzione, gli osservatori stranieri si sarebbero resi conto che qualcosa di più sorprendente stava accadendo. In silenzio, in Italia si compiva la tanto attesa rivoluzione digitale. Le conseguenze già si vedono, ma soprattutto si vedranno.

Sul lato del lavoro, per esempio, si è avuto lo sdoganamento dello smart working, novità per il 56% delle aziende che vi ha fatto ricorso, così come per il 75% dei lavoratori. Il 4 maggio, quando oltre 4 milioni di persone sono tornate al lavoro, un 36% di queste rimaneva a casa, vuol dire che alcune abitudini sono cambiate. Se si tratti del vero lavoro agile o di un semplice update del vecchio telelavoro, non è chiaro, ma qualcosa è successo e l’esperienza lascerà qualche traccia. Secondo un’analisi della divisione britannica di Kpmg citata dal Telegraph, le company locali potrebbero disfarsi di addirittura un quinto dello spazio fisico di cui dispongono. Negli Usa, prima del Covid-19 solo il 3,6% della forza lavoro era operativa da remoto ma, entro la fine dell’anno, la percentuale potrebbe salire al 25-30%, sostiene Kate Lister, presidente di Global Workplace Analytics. Il lockdown «produrrà un enorme cambiamento su come concepiamo il lavoro, a livello strutturale e sociale», ha detto a Forbes Usa Michael Fraccaro, capo della divisione Risorse umane di Mastercard. E in Italia? Qui non sono solo i metri quadri a essere in eccesso. Le imprese potrebbero liberarsi fino a un quinto della forza lavoro e non solo, o non tanto per la crisi. Secondo fonti di Business People, nella riorganizzazione emergenziale molti manager hanno scoperto di poter fare a meno di un 20% dei dipendenti.

La rivoluzione però non ha riguardato solo il lavoro. Le start up che offrono servizi legati all’e-commerce hanno visto il paesaggio cambiare dall’oggi al domani. Qapla’, società che offre un sistema integrato per gestire le spedizioni, ha registrato un aumento del 145% di queste ultime tra il 15 febbraio e il 24 aprile, con un picco il 6 di maggio, data in cui molti store fisici avevano già riaperto. In un contesto in cui tanti settori registravano performance strepitose, la vera sorpresa è venuta dall’alimentare. Il cosiddetto e-grocery, che già l’anno scorso aveva fatto registrare +39%, raggiungendo un valore di 1,6 miliardi di euro, alla terza settimana di lockdown era cresciuto del 162%. «I due mesi di quarantena hanno dato un’accelerazione al digitale portandolo a livelli che avrebbe raggiunto con cinque anni di crescita graduale. Credo che il marzo 2020 sarà ricordato come il grande salto digitale, che cambierà per sempre le abitudini delle persone», dichiara a Business People Alessandro Giglio, presidente di Giglio Group, società che fornisce tutti i servizi che occorrono a un’azienda che voglia dotarsi di un e-commerce e che porta sui principali marketplace le eccellenze del made in Italy. Durante il lockdown, il gruppo ha dato vita al primo esperimento di outlet digitale e i brand che hanno aderito hanno registrato un aumento delle vendite anno su anno anche del 500%. I dati diffusi da Iri, colosso americano specializzato in ricerche di mercato, dicono che il canale online è cresciuto stabilmente per tutto il mese di aprile di una media del 200%, con picchi del 383,5 e del 455% registrati rispettivamente il 23 e il 30 del mese. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, a ostacolare lo sviluppo del digitale non erano i consumatori. «Il freno al decollo dell’e-commerce è sempre stato la conseguenza di una scelta delle aziende, perché spingere su questo canale crea un effetto di cannibalizzazione sugli altri, quelli che hanno già beneficiato di investimenti strutturali, in termini di risorse, di competenze, e di investimenti reali fisici», spiega Gian Battista Lazzarino, direttore Cluster Industrial della società di consulenza Bip. Con una precisazione. «La customer journey, l’interfaccia aziende-cliente», continua il manager, «è cambiata perché questo non è l’e-commerce al quale siamo abituati: è molto più integrato con e nell’azienda, che risulta essere molto più presente e visibile, e questo costringe a un ripensamento sull’organizzazione delle reti vendita, sull’utilizzo degli asset fisici alla base del business retail». Una delle possibili configurazioni di una nuova relazione tra negozio e online è quella del cosiddetto Bopis, il Buy Online, Pick up In Store, che consente di acquistare un prodotto in rete e di andarselo a prendere in negozio, evitando code. Stando sempre ai dati diffusi da Iri, c’è stato un consolidamento dei due modelli principali di online, l’home delivery e il Bopis (o quick&collect), con il secondo cresciuto di quattro volte e largamente preferito al primo, con un picco dell’868%, anno su anno, toccato il 23 aprile.

Nel mondo del retail, molte cose cambieranno. Già si ragiona di safe experience e distance retailing. C’è chi si spinge a vedere un futuro in cui il fisico sarà accessorio rispetto all’online e in cui si entrerà nei negozi solo per provare capi da comprare su internet. Non tutti la vedono così, però. «Sicuramente l’e-commerce è cresciuto molto in percentuale però, attenzione, parliamo sempre di numeri ancora in via di sviluppo. Da vari osservatori possiamo rilevare che nel mondo l’online vale circa il 10%, in Italia pesava attorno al 6-7%, e l’alimentare era intorno all’1%. La crescita c’è indubbiamente stata ma il fisico rimane il mainstream», sostiene Marco Zanardi, presidente del Retail Institute. «La crescita del digitale rappresenta un punto di turnaround e di crescita inevitabile, ma va fatta sempre una attenta analisi: ci sono già indagini, osservatori e studi che mettono in discussione il fatto che questo equilibrio, più digitale e meno fisico, sia la nuova new normality. Non mi aspetto terremoti. Credo che torneremo, con alcune eccezioni, al pre-Covid perché ci sono vari aspetti dello shopping e dello shopper difficilmente convertibili», conclude Zanardi. In Germania, Paese che ha “riaperto” prima dell’Italia, i dati diffusi dall’Ifw evidenziano come in pochi giorni i negozi siano tornati ad avere il 50% dell’affluenza che avrebbero registrato normalmente, dato incoraggiante. Ma analisi e statistiche valgono fino a un certo punto, perché alla fine è sempre una questione di animal spirits. Vale per gli imprenditori, ma anche per i consumatori.

Articolo pubblicato su Business People giugno 2020

Credits Images:

© iStockPhoto