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Costruttori di storie: intervista a Luca Bernabei di Lux Vide

Da 30 anni questa società si distingue per le sue produzioni di respiro internazionale e il recente ingresso nell’orbita Fremantle non ha fatto altro che confermare il valore della società. Ne abbiamo parlato con il suo amministratore delegato

architecture-alternativo Credits: Luca Bernabei (Foto © Fabio Lovino)
Nato nel 1964, Luca Bernabei ha iniziato la sua carriera lavorando nel mondo della pubblicità presso le principali agenzie italiane e aziende di produzione di tendenza. Nel 1994 è diventato produttore associato in Lux Vide per poi essere nominato, nel 2002, responsabile della produzione. Dal 2013 ricopre il ruolo di amministratore delegato (foto © fabiolovino)

Se, come sostiene Luca Ber­nabei, «la serialità è la For­mula 1 della tv» (e lo è), la Lux Vide è come una Fer­rari in grado di rappresen­tare l’Italia all’interno del torneo audiovi­sivo globale. Fondata da Ettore Bernabei nel 1992, la società si è fin dall’inizio distin­ta per le sue produzioni dal respiro inter­nazionale: il primo titolo è stato il kolos­sal La Bibbia , che negli anni 90 ha unito ebrei, cristiani e musulmani in un proget­to congiunto senza precedenti. Da lì in poi le coproduzioni hanno continuato a esse­re un fiore all’occhiello della società, come per esempio la saga I Medici e la serie sul­la finanza Diavoli , ma anche i contenuti re­alizzati per il mercato domestico hanno fi­nito per far spesso parlare di sé all’estero. Il caso più eclatante, e recente, è Doc : il me­dical drama con protagonista Luca Argen­tero, trasmesso da Rai Uno, è stato vendu­to in tutto il mondo e avrà anche un remake americano. Per non parlare del fenomeno Don Matteo che, alla 13esima edizione, ha registrato oltre 6 milioni di spettatori, no­nostante l’addio di Terence Hill, il cui ruo­lo è passato a Raoul Bova. Il portafoglio di successi vantato dalla LuxVide è tale che più volte, nel corso dei suoi 30 anni di atti­vità, la società è stata corteggiata da buyer stranieri. Alla fine, a spuntarla è stata la multinazionale Fremantle che, lo scorso marzo, ha chiuso un accordo di acquisizio­ne con la società della famiglia Bernabei, inglobandola nella propria orbita: un cam­bio di passo che, oltre a certificare il valore della società, dimostra come non sia più, o solamente, il mercato seriale italiano a cor­teggiare quello straniero.

L’anniversario dei primi 30 anni del­la Lux Vide ha coinciso con l’ingres­so nel gruppo Fremantle. Che tipo di mandato avete ricevuto?
Il gruppo Fremantle rappresenta un’inte­ressante case history nel mondo della pro­duzione, perché nasce come società spe­cializzata nell’intrattenimento tv che poi decide di aprirsi alla serialità. Per farlo, ha attuato una strategia chiara e lungimi­rante: cercare le migliori realtà che cia­scun Paese può offrire e con esse dare vita a una congregazione di case di produzio­ne, chiamate sister companies . Si tratta di un interessante cambio di passo, perché in un mondo sempre più competitivo, ave­re sister companies  con cui confrontarsi, scambiare informazioni su tendenze e ar­tisti, ideare progetti comuni, rappresenta un plus valore che fa la differenza. Quanto al nostro ruolo all’interno della Freman­tle, la nostra linea editoriale è sempre sta­ta molto internazionale e ora lo sarà anco­ra di più. Continueremo a fare quello che sappiamo fare meglio: un prodotto largo o, come si dice in termini tecnici, broad . Un prodotto multi-target, con un altissi­mo livello qualitativo, che sia competitivo nei mercati internazionali. E che, tra l’al­tro, è ora anche molto richiesto dalle gran­di piattaforme streaming. Non ci dimen­ticheremo mai del nostro prodotto “local” che deve però ora girare il mondo.

Lux Vide è stata scelta anche, o so­prattutto, per l’italianità dei suoi prodotti. Quali sono le caratteristi­che che rendono appetibile la nostra produzione audiovisiva sui mercati internazionali?

Per funzionare, le serie tv devono avere so­stanzialmente due cose: un high concept , ossia un’idea molto forte alla base, e un ef­ficace meccanismo di serialità. Prendiamo per esempio il caso della nostra serie Blan­ca : il concept di partenza è di grande im­patto, perché la protagonista è una donna non vedente che entra in polizia. Grazie a tutti gli altri sensi, Blanca riesce a coglie­re e vedere cose che agli altri sfuggono: ha sviluppato una sorta di super potere. Que­sto è il meccanismo di serie, diciamo così “esterno”, ma il vero motore emotivo è il messaggio di cui Blanca si fa portatrice: ognuno di noi ha un limite ma tale debo­lezza può diventare una ricchezza. Sono le nostre mancanze che ci rendono speciali. Questo concetto, ripetuto in ogni punta­ta è, secondo me, il motivo per cui le per­sone guardano Blanca . Detto questo, un tratto specifico delle serie Lux Vide è la ri­cerca del bello. Mio padre Ettore ha fonda­to la Lux Vide con la volontà di raccontare la Bellezza insita nella vita. Era lo sguar­do di un uomo di fede, che io e mia sorella Matilde abbiamo portato avanti e fatto nostro. Da qui, la ricchezza anche visiva del­le nostre serie, che sono girate in location mozzafiato.

Voi siete stati i primi in Italia – e al momento ancora unici – ad aver cre­ato una catena produttiva totalmen­te in house . Che tipo di intuizione c’è stata alla base di questa scelta strategica?
La nostra struttura è un mix di fabbrica e bottega rinascimentale. Qualcuno pensa che per fare il nostro mestiere non serva la fabbrica: non è così. I produttori tv sono esattamente come i produttori di macchi­ne: serve la catena di montaggio così come le persone che ci lavorano. Persone specia­lizzate e dedicate. La bottega rinascimen­tale fornisce i professionisti per lavorare nella fabbrica, ossia gli studi di proprietà e quelli di post-produzione: è tale insieme di uomini e mezzi che permette di realizza­re un prodotto seriale in grado di girare in tutto il mondo, ma con costi che sono un terzo di quelli americani.

Si è mai chiesto come mai il vostro modello non abbia fatto scuola in Italia?
Il fatto è che, per realizzarlo, servono gran­di investimenti. Noi ci abbiamo impiegato 20 anni, facendo la scelta di non ridistribu­ire gli utili ma utilizzarli per realizzare delle strutture che rimanessero nel tempo. Que­sta è stata la grande intuizione di mio pa­dre: seguire un capitalismo non predatorio. D’altronde lui è figlio della generazione di quei manager delle partecipazioni statali, che pensavano al bene comune. Ecco, que­sta scelta etica di mio padre si è rivelata la ricchezza della Lux. Credo che Fremantle ci abbia scelto anche per questo.

Quali sono le produzioni che incar­nano al meglio la vostra linea editoriale nel XXI secolo? Sicuramente i titoli che parlano del Bello, come Medici  e Leonardo , ma anche le serie fortemente drammaturgiche che riescono a restituire un’efficace fotografia di questo secolo: penso per esempio a Diavoli , la cui terza stagione parlerà della stretta attualità. Inoltre, non posso non citare Doc  e Blanca , che schierano nuovi eroi, ossia persone che eccellono nel loro lavoro ma pensano sempre al prossimo anziché alla propria affermazione personale. Ultimo, ma non ultimo, Don Matteo , che alla 13esima edizione, si conferma la più importante serie tv italiana, nonostante il cambio del protagonista.

Secondo molti, con la guerra e il Covid, il concetto di globalizzazione è destinato a cambiare sia sotto il profilo economico che politico. Vale anche per il mercato televisivo?
La pandemia e il conflitto in Ucraina ci hanno fatto aprire gli occhi sui pericoli della globalizzazione: spesso, per guadagnare più soldi, si è scelto il posto meno costoso per realizzare i propri manufatti, qualsiasi essi fossero. Come Lux Vide, abbiamo da anni fatto la scelta di non delocalizzare producendo in Italia e valorizzando, al contempo, le location nazionali nelle nostre storie, grazie anche a tutto l’aiuto lungimirante dato dal Tax Credit. Quindi, per arrivare alla sua domanda: è ora di dare vita a una globalizzazione al contrario, che attragga persone e risorse in Italia, e che quindi sia sana. Questo vuol dire sposare un pensiero strategico, anziché tattico, che guardi al lungo periodo. Lo sforzo del manager deve essere quello di non lasciarsi sorprendere dal futuro, ma questo è possibile solo se non ci si concentra esclusivamente nella gestione del quotidiano. Mi rendo conto che non è facile: ormai i cicli aziendali sono sempre più corti, e questo vale ancora di più per il mercato italiano che, per velocità di tendenze ed evoluzione del sistema, è molto simile al comparto della moda.

Pensando quindi al futuro, cosa può e cosa deve essere fatto, soprattutto a livello istituzionale, per rendere più competitivo il comparto?
In Italia è stato già fatto molto, grazie anche all’introduzione del Tax Credit. Ora è importante che l’utilizzo degli aiuti statali venga monitorato e che, a livello locale, si rafforzi l’operato delle Film Commission.

Suo padre Ettore è scomparso sei anni fa: cosa pensa direbbe della Lux Vide di oggi?
Credo e spero che ne sarebbe fiero. Io e mia sorella Matilde abbiamo faticato molto per mantenere le nostre radici senza snaturarle. Abbiamo tenuto duro, persino quando ci dicevano che i nostri prodotti erano obsoleti. Ora quegli stessi titoli sono considerati moderni. Ancora oggi, però, credo che mio padre ci chiederebbe: «Qual è la ragione per cui fai questa serie tv?». Ce lo domandava sempre, per ogni progetto, perché lo scopo di questo lavoro non è solo fare ascolti, ma lasciare qualcosa (una domanda, una speranza, una risposta) nel cuore degli spettatori.


Questa intervista è tratta dal numero di Business People di ottobre 2022