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Lifestyle

Eleganza in punta di piedi

Derby o loafer, oxford o sneakers? Indossare la calzatura sbagliata può rendere sciatta una mise altrimenti impeccabile. Per fortuna le nozioni da apprendere per fare bella figura sono semplici…

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Guardare il guardolo non è un gioco di parole ma un gesto da intenditore delle calzature, un tipo umano più diffuso di quanto si creda. Sulle scarpe, e in particolare su dettagli di lavorazione come il guardolo, la letteratura del gentleman si addentra in una serie di regole e precisazioni molto rigorose, che sottintendono una ricerca, a volte maniacale, di qualità senza compromessi. L’abito, infatti, non fa il monaco ma la scarpa sì, e l’aneddotica delle buone maniere e del bell’apparire è piena di riferimenti a chi si presenta magari in doppiopetto impeccabile ma con le scarpe sbagliate o peggio ancora sporche e di evidente bassa qualità (quelle horreur! direbbe l’investigatore e dandy Hercule Poirot, inventato da Agatha Christie). Non sono mancati i commenti nemmeno alle prime apparizioni di papa Bergoglio, che salutò i fedeli con i piedi affondati in un paio di vecchie e ormai sformate stringate nere invece dei morbidi mocassini rossi in capretto della divisa papale. Vista la levatura del personaggio, tuttavia, questo dettaglio fu interpretato come un manifesto, un segno forte dello stile che il pontificato di Francesco avrebbe assunto: semplice, estraneo ai lussi, pronto a camminare su strade polverose e non sui tappeti delle dimore vaticane. Se il gesto di un uomo-simbolo come il vescovo di Roma è ricco di significati, una calzatura inferiore al livello dell’abito indossato o all’occasione cui si partecipa, per un uomo normale, significa una cosa sola: sciatteria. O, al massimo, due: sciatteria e mancanza di gusto. «Gli occhi possono mentire, un sorriso sviare, ma le scarpe dicono sempre la verità», diceva l’inflessibile dottor House nel celebre serial televisivo. La mancanza di cultura non è una scusa accettabile perché le nozioni da apprendere per fare buona figura sono semplici e accessibili a tutti, anche senza addentrarsi nelle distinzioni sofisticate dei fanatici. D’altra parte anche la costruzione della scarpa è tutta questione di materiali, tecniche, prestazioni, come avviene per i motori e gli orologi, le altre grandi passioni maschili. La moda non è un argomento fondamentale in questo ambito, anzi: il suo carattere mutevole e spesso contrario alla comodità, in nome del design, la pone agli antipodi di ciò che un uomo elegante chiede alle sue scarpe: essere confortevoli, robuste, protettive d’inverno e fresche d’estate, di forma impeccabile e riconoscibile, durevoli per una vita o quasi.

SCARPE PER LUI, I MODELLI IMPRESCINDIBILI

Sulla punta dei piedi le demarcazioni di genere sono più nette che altrove: se le donne cercano (o sono educate a cercare) l’effetto sexy o fashion a tutti i costi e comprano diverse paia di décolleté a ogni cambio di stagione, gli uomini più spesso mirano al comfort e alla lavorazione di qualità, rinunciando magari agli acquisti plurimi in favore di un paio solo ma di buona fattura. Dagli anni ’20 del secolo scorso i modelli imprescindibili del guardaroba maschile (escludendo le calzature sportive o militari) sono tre: la oxford, la derby e il loafer o mocassino, cui negli ultimi decenni si sono aggiunti gli stivaletti (molto diffusi fino ai primi anni del secolo e poi quasi dimenticati fino agli anni ’70), e le sneakers per il tempo libero. I nomi tradiscono la derivazione anglosassone, come quasi tutti i capisaldi dell’eleganza maschile, ma l’expertise costruttivo non appartiene solo agli inglesi del Northamptonshire, vista l’eccellenza riconosciuta dei maestri calzaturieri italiani, da Roma e Napoli fino a Vigevano e alla Riviera del Brenta, ma anche dei francesi e degli americani come Alden, Bass e Sebago, che sui mocassini sono insuperabili. La Germania invece non brilla nel settore. Certo è che nel secondo dopoguerra l’entusiasmo con cui gli uomini italiani di stile mostravano gli accessori appena comprati a Londra, meta di molti viaggi soprattutto per l’alta borghesia, diede una spinta all’aggiornamento e al miglioramento delle produzioni locali; così i giovani imprenditori del boom economico, ma anche l’élite intellettuale, impararono a distinguere una oxford da una derby senza incertezze. Si tratta, infatti, della stessa scarpa classica allacciata, ma nella oxford (balmoral in America) i gambetti, le parti laterali della tomaia, hanno le lette anteriori, tenute insieme dalle stringhe, cucite sotto la mascherina, particolare che rende la calzatura più elegante. Nelle derby, invece, le alette sono cucite sopra la mascherina per vestire meglio il piede, soprattutto se non è particolarmente smilzo. Si può portare tranquillamente la derby in ufficio, ma in genere si considera la oxford più elegante e sicuramente l’unica adatta allo smoking, magari nella variante in vernice nera. Si parla di brogue quando il modello, oxford o derby che sia, è decorato con i fori punzonati di origine scozzese, che possono comparire solo sulla punta, spesso a coda di rondine, e sulle cuciture laterali dei gambetti (semi-brogue) o sulla punta e lungo tutte le cuciture e i contorni (full brogue), compresi quelli dei contrafforti sul tallone che rendono più robusta la struttura. Rispetto ai colori il dress code prescrive il nero in tutte le occasioni urbane (no brown in town) e il marrone in campagna con gli abiti in tweed, ma sulle questioni cromatiche la tolleranza si è molto allargata. Le versioni bicolore (dette anche spectator e correspondent) sono tipiche dell’età del jazz e dei volteggi di Fred Astaire e Gene Kelly, oltre che di Lapo Elkann quando si spinge oltre gli insegnamenti del nonno Gianni. Se le allacciate sono di origine inglese, il mocassino è una creatura americana e prese il nome di loafer (fannullone) proprio perché voleva essere una scarpa più informale e disimpegnata della classica stringata (in Italia detta anche francesina). La lanciò l’azienda Spaulding del New Hampshire negli anni ‘30, proprio quando un dipendente della G.H.Bass, con sede nel Maine, di ritorno da un viaggio in Norvegia, portò con sé la scarpa indossata dai pescatori scandinavi quando non andavano per mare, simile a quella dei nativi americani: mascherina alta, niente lacci e niente suola, o solo un rinforzo, morbida come una pantofola e comodissima. Il marchio Bass aggiunse la suola e una fascetta decorativa sulla mascherina intagliata a forma di labbra, proponendo questo modello con il nome di Weejuns, termine usato negli Usa per indicare i norvegesi. Quando gli studenti americani della Ivy League, che subito adottarono la nuova e disinvolta calzatura Bass Weejuns, cominciarono a infilare un penny nella fascetta, la scarpa prese il nome di penny loafer e diventò parte della divisa d’ordinanza del preppy. Ma anche di diversi attori americani, tra i quali Paul Lukas, star di film come La signora scompare (1938) e Quando il giorno verrà (1943), per il quale il brand Alden creò il mocassino con nappine al posto della fascetta. Varianti iconiche della loafer sono il mocassino di Tod’s in camoscio con i gommini, che si ispira agli opanke senza suola dei nativi americani, e quello di Gucci con il morsetto sulla mascherina. Un ibrido invece è la scarpa da barca, mocassino allacciato con stringa di cuoio e suola in gomma incisa a spinapesce nella superficie di aderenza al suolo, per garantire stabilità anche sul ponte bagnato. Con il tempo sono venute meno le barriere sulle occasioni d’uso dei tre modelli di base (oxford, derby e loafer) e oggi si usano tranquillamente i mocassini (nati per l’outwear informale) anche nella city, mentre la demarcazione di qualità e di prezzo resta ben definita sulla lavorazione.

LA SCARPA SU MISURA, NE PARLIAMO CON VITO VISCIDO DI CASTORI

Non c’è dubbio che un paio di scarpe realizzate su misura da un artigiano esperto siano il massimo del comfort e dell’eleganza, ma non tutti possono permettersele, né sono disposti ad attendere settimane, se non mesi, prima di ricevere il paio finito. L’archivio di forme di piedi eccellenti conservato da John Lobb a Londra è sempre affollato e costantemente aggiornato, ma resta un privilegio di pochi. D’altra parte esistono procedimenti industriali o semi industriali che garantiscono ugualmente una qualità molto elevata, come il cosiddetto metodo Goodyear. E qui arriviamo al guardolo, una striscia di cuoio alla quale vengono cuciti insieme prima la tomaia e il sottopiede e in seguito la suola. I vantaggi consistono nella maggiore resistenza all’acqua e nella possibilità di sostituire la suola agevolmente se necessario.

Un sistema meno elaborato è il Blake in cui la tomaia, la soletta e la suola sono unite da un’unica cucitura (a volte doppia), visibile internamente, cui spesso viene incollata una suola ulteriore. La lavorazione a sacchetto, in cui la tomaia avvolge il piede dal basso verso l’alto, funziona invece per i mocassini. Un mondo a sé è quello delle sneakers, le scarpe derivate dagli sport che tutti indossano nel tempo libero: per queste valgono criteri di flessibilità, leggerezza e impermeabilità (pur consentendo la traspirazione) che sono frutto di ricerche tecniche sempre più specialistiche e si consentono colori e decorazioni fluo sconosciute al mondo tradizionale della scarpa. La loro comodità ha fatto breccia anche nel dress code ufficiale e oggi tutti i brand prevedono alcuni modelli di sneakers riviste nel design e nei colori per un uso anche urbano: i divi più giovani le indossano anche sul red carpet e ormai non si scandalizza più nessuno. «Scarpa larga e tasche piene: piglia il mondo come viene», come dice un proverbio, oppure «Quando si è in ballo bisogna ballare anche colle scarpe strette», come dice un altro? Come sempre i proverbi giustificano tutti i comportamenti, quindi è meglio non fidarsi e scegliere secondo il proprio stile.

Lo zen e la cura delle scarpe

La “manutenzione” delle scarpe è un’autentica cura antistress che ridona lucentezza alle calzature ma allena al contempo la mente con la tecnica della ripetizione. Esistono forum, blog, e tutorial di tutto rispetto in materia, e anche una cena esclusiva organizzata ogni anno da Berluti in cui selezionatissimi gentleman in smoking si sfidano a colpi di spazzola. Qui ricordiamo solo i passi essenziali per mantenere in forma le proprie calzature. Innanzitutto, meglio non utilizzare sempre lo stesso paio per due o più giorni consecutivi, per lasciare alla calzatura il tempo necessario a asciugarsi dall’umidità emessa dal piede. Nel riporle, è poi consigliabile l’uso di appositi tendiscarpe in legno che evitano la formazione delle pieghe sulla tomaia. Infine, mai asciugare vicino a fonti di calore le scarpe bagnate, ma utilizzare la carta di giornale che assorbe l’umidità senza provocare screpolature. Sulla scelta dei prodotti ci si può affidare alle tradizioni francese e svizzera, con ottime referenze anche on line (Burgol, La Cordonnerie Anglaise, Saphir) o ai consigli del proprio calzolaio. Per la pulizia quotidiana, è bene iniziare con spazzole e pezze umide per eliminare polvere e sporco. Si procede spalmando un prodotto in crema che ammorbidisca la pelle e una volta asciugato si stende, se necessario, un lucido colorato. Dopo aver spazzolato il lucido in eccesso è il momento della lucidatura a cera, anche perché scongiura le sgradevoli macchie sui pantaloni dovute al lucido. Si stende un primo strato con una pezza morbida eseguendo movimenti circolari, e dal secondo in avanti la si alterna ad acqua, stesa con medesimi movimenti. Ripetendo con cura si raggiungerà la famosa lucidatura a specchio, che alcuni preferiscono quando ha patina, un po’ come nei mobili antichi.

Credits Images:

Fred Astair nel film musicale Papà Gambalunga (Daddy long legs) del 1955