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Lifestyle

Auto: meglio essere o apparire?

Il grande dilemma del nuovo millennio: meglio puntare sulla versione base di un marchio top o su un’auto super accessoriata ma di minor “blasone”? La risposta spetta a voi e non è né giusta né sbagliata: è una scelta di vita

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Ha più senso acquistare una Mini Clubman ultra-accessoriata o, praticamente allo stesso prezzo, la più spartana delle Bmw Serie 1 che appartiene alla stessa scuderia, monta lo stesso motore e ha prestazioni perfettamente sovrapponibili? O, ancora, è meglio scegliere una confortevole Dacia a sette posti con tutti gli optional possibili e immaginabili a quotazioni da low cost, oppure sono da preferire vetture analoghe di marchi più blasonati nella versione base, anche a costo di rinunciare a molte raffinatezze a parità di esborso? Insomma, in estrema sintesi, la mossa vincente sta nella formula del “massimo del minimo” oppure in quella opposta del “minimo del massimo”? Per rispondere a questa domanda è indispensabile premettere che il vecchio assioma secondo il quale «l’immagine di una casa automobilistica si attesta al livello del suo modello più prestigioso» è andato definitivamente in soffitta.

SCELTE SULL’ONDA DELLA CRISI

NON SEMPRE LA VIRTÙ STA NEL MEZZO

«Oggi è vero l’esatto contrario, l’immagine di una Casa parte dal basso», afferma il direttore comunicazione di Mercedes-Benz Italia, Eugenio Blasetti. «La svolta, per quanto ci riguarda, è stato il lancio della Classe A. Prima avevamo moltissimi clienti over 60, ma con quella mossa abbiamo conquistato i più giovani: fu una specie di virus che contagiò automobilisti che non avrebbero mai pensato di acquistare una Mercedes. Per capire l’entità del fenomeno basta un numero», continua Blasetti, «l’80% di chi ha comprato una Classe A prima non era mai stato nostro cliente». Il marchio tedesco, insomma, ha dato vita al fenomeno del lusso accessibile, già ampiamente sperimentato nel mondo della moda, per esempio, con la diversificazione delle linee Armani, ma applicandolo al mondo delle quattro ruote, sposando quindi in pieno la tesi del minimo del massimo. Suffragata anche dal caso Smart: quando si trovò in casa, quasi suo malgrado, la microcar sviluppata da Swatch. Mercedes ne tenne l’immagine il più possibile separata dal marchio della stella a tre punte, con il risultato di far languire le vendite. Poi, però, è arrivato il riposizionamento che ha trasformato la vettura formato Lilliput nella Baby-Benz e le immatricolazioni hanno preso il volo.

A far pendere l’ago della bilancia dalla parte del minimo del massimo sono anche le scelte dei fleet manager, che devono prendere le loro decisioni tenendo presente il valore residuo delle vetture che si portano in azienda e cercano, in generale, il miglior compromesso tra quanto si spende e ciò che si acquista. «La filosofia di chi sceglie company car è quella di destinare a un amministratore delegato la versione meno ricca della Maserati Quattroporte, magari la turbodiesel da 250 cavalli che non paga il superbollo», dice Marco Dainese, Fleet Sales Manager di Maserati, «mentre ai direttori di divisione va la Ghibli, stessa potenza ma più corta di quasi 30 centimetri». E il coro dei responsabili delle flotte è unanime: per gratificare i dipendenti è meglio la versione base di un modello blasonato piuttosto che quella top di uno dall’immagine più sfumata.

«Chi compra un’Audi non acquisterebbe mai, per esempio, una Skoda, ma chi acquista un modello del marchio della Repubblica Ceca ha comunque lo stesso immaginario e le stesse potenziali esigenze del cliente Audi», sostiene Giulia Ceriani, presidente della società di ricerche Baba Consulting. Ma, a proposito di Skoda, i numeri delle vendite del marchio satellite del gruppo Volkswagen sono in continua crescita, a dimostrazione del fatto che ogni regola ha le sue eccezioni. Sì, perché se è vero che una volta si stupiva (e ci si faceva pagare a caro prezzo) con la leadership tecnologica, oggi dispositivi come la frenata assistita, le telecamere posteriori e la connettività portata all’estremo vengono vendute relativamente a buon mercato. Così le marche generaliste hanno di tutto e di più: un esempio per tutti è quello di Ford, che ha traghettato con il Sync la tecnologia voice comand e di sicurezza sulle city car. Il fatto è che sulle vetture contemporanee tutto deve essere “update”, cioè veloce e aggiornato, perché tutto ciò che è vecchio è anche inevitabilmente brutto agli occhi di chi è attento alle mode. Ma il minimalismo applicato all’auto ha anche un’altra motivazione fondamentale: le statistiche di casa Mercedes dicono che sette clienti su dieci puntano su motori più sobri, puliti e piccoli rispetto a quelli che venivano scelti in passato, soprattutto grazie al contributo del pubblico femminile, più attento non solo al contenimento dei costi di gestione, ma anche alla sostenibilità ecologica dei mezzi di trasporto.

Ed ecco spiegata un’altra apparente contraddizione, ovvero il successo commerciale ottenuto da marchi come Dacia: la scelta non riguarda tanto i costi di acquisto ridotti all’osso quanto, complice l’alfabetizzazione generalizzata di Excel, quelli di gestione e la delicata alchimia che di solito si riassume con la formula “rapporto qualità-prezzo”. Un’equazione che nel campo automobilistico sta in piedi solo se l’auto economica e con il marchio di serie A2 che si sceglie è destinata a restare in famiglia a lungo, molto a lungo, fino alla sua fine per morte di vecchiaia della meccanica.

Quindi, ecco il verdetto finale. Se credete di essere ciò che guidate non fatevi scrupoli e puntate a tutta forza su un’auto che sia il minimo del massimo nei listini del suo costruttore, ma se al contrario ve ne fregate dell’immagine emanata dal mezzo di trasporto che vi porta a spasso, andate a vele spiegate verso il massimo del minimo. Non sarete cool, rassegnatevi, ma al momento di fare i conti del bilancio familiare il semaforo di Excel si accenderà inevitabilmente di verde. E poi potrete togliervi la soddisfazione, fermi al semaforo a fianco di una vettura di nobile lignaggio nella versione base, di fare l’inventario di tutti i gadget tecnologici che voi avete e l’altro no. No, l’eterna lotta tra essere e apparire non è finita.

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A sinistra: KODIAQ - Il Suv di casa Skoda è uno dei migliori esempi di “massimo del minimo”. Il marchio satellite del gruppo Volkswagen non è certo sinonimo di lusso, ma le sue vendite sono in continua crescita grazie anche al buon rapporto qualità-prezzo.

A destra: Q5 - Marchio premium per eccellenza, Audi è il sogno di quegli automobilisti che cercano nell’auto un simbolo di successo. E se dovete stare attenti alla spesa, potete sempre puntare sul modello entry level, il minimo del massimo.