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Discanto

Noi smemorati

architecture-alternativo Credits: © Getty Images

Sono passati ormai sette mesi dall’inizio dell’aggressione russa alla terra ucraina e, ammettiamolo tutti, non siamo più così indignati come lo eravamo nei primi giorni e settimane. Perché tenere alta l’attenzione e l’indignazione è cosa ardua per un essere umano – la psiche ha bisogno di staccare per non impazzire –, ancor di più se appartiene alla generazione dei “socialmediumani”, che vantano un livello d’attenzione parametrato in pochi minuti. Abbiamo bisogno di passare ad altro per lenire il dolore, anzi – meglio – la paura. Dobbiamo andare oltre, nasconderci il problema davanti al quale non siamo capaci di stare. Per ragioni che hanno origini e meccanismi tra i più disparati e che non staremo qui a indagare: per quello esistono fior di professionisti.

Dicevamo. Ci siamo stancati di ascoltare passivamente il racconto delle atrocità della guerra a Kiev, e c’è qualcosa in noi che si girerebbe definitivamente dall’altra parte se non fosse per i danni e i costi che questo drammatico evento sta proiettando sulla nostra economia nazionale e familiare. Atteggiamento in parte comprensibile, dall’altra riprovevole e controproducente: quando facciamo finta che i problemi non esistano, lasciamo uscire dalla porta quello che tracimerà violentemente dentro la nostra casa dalla finestra. E ciò vale drammaticamente per la sciagurata e fratricida guerra in Ucraina e le sue conseguenze, come per molti contesti che riguardano il nostro vivere civile, di persone e di cittadini.

Perché al netto di come la si pensi sulla scellerata operazione partitica che ha condotto il governo Draghi alle dimissioni, inevitabilmente chi nelle ultime tornate elettorali si è iscritto di diritto alle liste degli astensionisti dovrà porsi il problema se il prossimo 25 settembre scegliere di uscire di casa per andare a votare il meno peggio, o rimanere seduto comodamente sul proprio divano e dare così manforte alla parte il cui progetto condivide di meno. Anche qui si tratta di girarsi, nel caso, dall’altra parte mugugnando i soliti triti e ritriti refrain: «tanto i politici sono tutti uguali», «non cambierà nulla », «non c’è nulla di veramente nuovo». Sono anni che l’Italia si lascia abbindolare da questa affannosa ricerca di una forza politica nuova e diversa, e si ritrova con ministri scappati di casa, al limite dell’analfabetismo. «Se questo è il nuovo, riscopriamo il vecchio», verrebbe da dire. Pur se anche a un certo vecchio bisognerebbe prima o poi porre un limite… Non si tratta di un rigurgito reazionario, bensì di banale buonsenso. Lo stesso che è mancato in questa ennesima crisi politica, le cui conseguenze i cittadini italiani si trovano, volenti o nolenti, a pagare di tasca propria. Una volta, Indro Montanelli invitava i suoi lettori a turarsi il naso e a continuare a votare la Democrazia Cristiana. Adesso è arrivato il tempo di attivare bene i nostri sensi per andare a votare avendo a cuore non dico il futuro, ma il più banale presente di questo Paese. Basta voltarsi dall’altra parte, è tempo di praticare il ricordo.