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Lavoro

Serve lo smart working per attrarre i talenti

Ne sono convinte l’85% delle aziende ed è ritenuto un fattore determinante di scelta per il 62% dei candidati

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La tecnologia, la digitalizzazione, l’organizzazione secondo nuovi tempi e nuovi spazi stanno progressivamente cambiando le dinamiche aziendali a favore di un nuovo modo di concepire la giornata lavorativa. In questo scenario di trasformazione, in Italia sono tuttavia ancora poche le realtà che adottano delle politiche strutturate di smart working (10%), come evidenziato dall’indagine condotta da InfoJobs, piattaforma per la ricerca di lavoro online, su un campione di 170 aziende. Il 28% rivela, infatti, di averlo attivato soltanto in alcune aree ma senza una strategia aziendale integrata che sia in grado di supportare al meglio il cambiamento, mentre ben il 62% non permette ad oggi ai propri dipendenti di usufruire di questa agevolazione: di questi il 35% per mancanza di strutture adeguate e il 27% perché non crede che possa essere utile per la produttività. Diversa invece l’opinione dei 1.800 candidati intervistati sul tema, che, nella maggior parte dei casi, ritengono che la propria azienda non incoraggi lo smart working a causa del settore o della tipologia di business (46%) oppure per una generale mancanza di abitudine a lavorare per obiettivi e in autonomia (18%). Dalla survey emerge, però, che le aziende che sono favorevoli allo smart working ma non hanno ancora iniziato ad attuarlo, lo faranno nel corso di quest’anno (23%) o lo vedono un traguardo perseguibile nell’arco di 3 anni (36%); mentre l’11% lo prevede per il 2024.

Una leva per l’employer branding

La possibilità di lavorare da remoto, è per il 94,5% delle aziende ritenuto un vantaggio competitivo perché migliorerebbe le condizioni dei dipendenti, la loro motivazione e inciderebbe positivamente sulla produttività anche se non in tutti i settori. Questa possibilità è, infatti, secondo le aziende un elemento differenziante cui sempre più lavoratori guardano con interesse (convinzione del 45% delle aziende), e in alcuni casi, un incentivo in più per attrarre nuovi talenti (40%). Una tesi confermata anche dai candidati che, a parità di offerta remunerativa, ritengono la possibilità di lavorare in smart working un fattore determinante nella scelta di un nuovo impiego (per il 45%) e addirittura nel 23% dei casi sono disposti ad accettare condizioni economiche meno favorevoli a fronte di questa opportunità.

Verso un futuro senza scrivania

Parlando di smart working, il primo pensiero è legato al concetto di scrivania e del cosiddetto spazio aziendale, costituito da effetti personali e da tutto ciò che rende la permanenza in ufficio funzionale e piacevole. Per il 47% delle aziende, infatti, la prima cosa che a tendere andrà riprogettata, sono proprio gli spazi di lavoro: non ci saranno più le postazioni fisse dei dipendenti e ci saranno aree comuni dove ci si potrà sedere liberamente. Questo porterà a una riduzione dei costi legati alle sedi visto che, per il 22%, sarà sufficiente appoggiarsi a spazi di co-working a ingresso libero. Solo per il 32% delle aziende non ci saranno sostanziali cambiamenti, visto che il tempo trascorso dai dipendenti in smart working sarà una quota minoritaria di quello trascorso in ufficio. E se da un lato i dipendenti si dichiarano pronti a non avere più una scrivania fissa (68%), dall’altro indicano per contro che ciò che mancherebbe loro di più è proprio uno spazio personale dove riporre documenti e tutto ciò di cui possono aver bisogno nel corso della giornata (40%), la presenza rassicurante dello stesso collega con cui per anni hanno condiviso la postazione (26%) o ancora gli oggetti e le foto che hanno portato da casa o che hanno accumulato negli anni di lavoro (7%).

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Foto di Werner Heiber da Pixabay