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Lavoro

Manager, ecco quanto rende un investimento sulla reputazione

Altro che asset intangibile, secondo Mediobanca e Cineas si parla di un investimento dal ritorno misurabile e importante

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Investire sulla reputazione garantisce un rendimento del 10%. Altro che asset intangibile, la reputazione è un investimento dal ritorno misurabile e importante. A raccontarlo è una ricerca condotta da Mediobanca e Cineas, il Consorzio universitario del Politecnico di Milano per l’ingegneria delle assicurazioni. Si tratta dell’Osservatorio sul risk management, che prende in considerazione 277 imprese familiari italiane in rappresentanza di 2.600 medie imprese manifatturiere, con fatturati tra 20 e 355 milioni di euro e da 50 a 499 dipendenti.

Reputazione, un investimento che rende il 10%

La reputazione è un rischio da gestire, e le aziende lo hanno capito. Appena due anni fa, era al 21esimo posto su 22 nella classifica dei rischi prioritari. Le aziende che sanno gestire i rischi grazie a un sistema strutturato di risk management ottengono profitti di oltre il 30% superiori rispetto alle altre. Quindi, la gestione dei rischi non ha soltanto un valore industriale, ma può anche generare un ritorno finanziario significativo. «Naturamente, la percezione del rischio da parte degli imprenditori varia sensibilmente in funzione della tipologia di attività dell’azienda», ha spiegato Gabriele Barbaresco, autore della ricerca e direttore dell’Ufficio studi Mediobanca: «Nell’alimentare ci si sente più esposti all’imitazione del prodotto, alla difettosità, al rischio reputazionale e alle calamità naturali. Per i beni per la persona e la casa in cima alla lista dei pericoli ci sono le calamità naturali. Il chimico farmaceutico teme il rischio di disastro ambientale e si sente molto meno esposto al cyber risk e al rischio reputazionale. Per il meccanico, a contare di più sono le competenze professionali, mentre nel metallurgico la sicurezza sul lavoro».

«A mano a mano che ci si sposta verso la gestione di rischi che esulano dall’obbligatorietà legale, ma che attengono più propriamente all’attivazione di leve competitive,», sottolinea però Barbaresco, « si amplia il differenziale in termini di redditività industriale a vantaggio delle imprese che dedicano a essi presidi efficaci. È il caso delle competenze professionali (+8%), degli aspetti reputazionali (+10%), della sicurezza informatica evoluta e protezione dall’hackeraggio (14%), fino al presidio della qualità del prodotto e quindi della sua non replicabilità (+21%)».

I 10 rischi più temuti dalle aziende

E quali sono i 10 rischi più temuti dalle medie imprese italiane? Al primo posto c’è la sicurezza sul lavoro. Subito dopo, il cyber risk, la difettosità dei prodotti e appunto il rischio reputazionale, davanti a quello quello ambientale. Al sesto posto, le competenze professionali. Quindi, le interruzioni di fornitura, la compliance normativa (legge 231), l’imitazione del prodotto e, al decimo posto, le catastrofi naturali.

«Emerge una correlazione chiara tra la gestione dei rischi e la redditività aziendale», aggiunge Barbaresco. «Anche se non è provata la causalità tra la gestione dei rischi e una redditività migliore. Potrebbe anche essere che le imprese con una migliore redditività abbiano anche una maggiore attenzione alla gestione dei rischi». Nonostante tutto, un differenziale del 31% in termini di Roi (dati 2017: nel 2016 il dato era addirittura del 38%) non va sottovalutato.

Come gestire il rischio

È possibile difendersi dai rischi? Il rapporto Aon 2017 sulla gestione del rischio nelle aziende, stima che una società quotata in Borsa possa perdere almeno il 20% del proprio valore azionario in caso di danni di immagine consistenti, come scandali, incidenti, cause legali. Mentre la rivista specializzata Reputation Management rileva che l’80% degli utenti di ecommerce dichiara di non fare acquisti presso esercenti con recensioni negative. Se questo è il conto da pagare, è indubbiamente preferibile agire d’anticipo.