Nato a Brugine nel 1955, Renzo Rosso ha fondato Diesel nel 1978, a soli 23 anni. Quest’anno Forbes  l’ha ritenuto l’11esimo uomo più ricco d’Italia, grazie a un patrimonio stimato di 3,2 miliardi di dollari. Nel 2008 ha dato vita alla Only The Brave Foundation

Un vero self-made man. Di quelli che in Italia se ne vedono pochi. Soprattutto se in regola con il fisco. Renzo Rosso na­sce dieci anni dopo la fine della II Guerra mondiale, a Brugine, nella provincia di Padova, nel cuore di quel Ve­neto da dove un tempo, a cavallo tra l’800 e il ‘900, i conta­dini fuggivano per cercare fortuna nelle Americhe. Anche Renzo Rosso è fi­glio di contadini. Non siamo più però nel periodo buio della grande emigra­zione. Siamo negli anni del boom economico, il lavoro non manca, possi­bilità ce ne sono per tutti. L’importante è darsi da fare. E in casa Rosso, per sua fortuna, i valori sono importanti: la terra insegna che se si vuole avere successo nella vita, bisogna svegliarsi molto prima che il sole sorga, perché il tempo è prezioso, meglio non perderne troppo. E così lui fa. A 15 anni, narra la leggenda, il giovane Rosso crea il suo primo paio di jeans, capo che ne avrebbe fatto le fortune imprenditoriali, utilizzando la macchina da cucire della mamma, una Singer: a scuola la vita bassa e la zampa di ele­fante hanno talmente tanto successo tra i compagni, da far pensare a Ros­so che forse i jeans può anche venderli. Da un’intuizione nasce un impe­ro. Oggi, parola di Forbes , è l’undicesimo uomo più ricco d’Italia (e il 557° nel ranking mondiale) con un patrimonio stimato di 3,2 miliardi di dolla­ri. La holding di cui è unico azionista, la Only The Brave, meglio nota come la Otb, ha chiuso il 2014 con un fatturato di quasi 1,6 miliardi di euro e un utile di 5,5 milioni in crescita rispetto agli 1,2 milioni del 2013. A essa fan­no capo le maison Marni (acquisita a fine 2012), Margiela, Viktor&Rolf, ol­tre a Staff International – la cellula produttiva e distributiva del prêt-à-por­ter che gestisce licenze come Dsquared, Just Cavalli, Marc Jacobs Men e Vi­vienne Westwood – e a Brave Kid, stesso ruolo di Staff International ma nel comparto bambino. I suoi marchi sono distribuiti in 80 mercati attraverso 5 mila punti vendita, di cui 400 monomarca.

Il motto  

Only THE BRAVE

Ma il nome di Renzo Rosso non può che rimanere associato a Diesel, il brand che vale oggi il 65% del fat­turato del gruppo. Tutto nasce in fondo da lì, da quel marchio a cui dà vita quando, poco più che ventenne e ottenuto il diploma all’istituto tecnico tes­sile, inizia a lavorare dentro il Genius Group di Adriano Goldschmied, ai tempi la società più importante in Italia nel ramo dell’abbigliamento casual. Goldschmied non ci impiega molto a convincere Rosso a lasciare l’univer­sità Ca’ Foscari di Venezia, dove ha iniziato a frequentare la facoltà di Eco­nomia aziendale. Alla Moltex, società controllata dal Genius Group, Ros­so fonda il 6 ottobre 1978, a 23 anni, il marchio Diesel in società con Gol­dschmied (nel 1985 ne avrebbe poi acquisito il controllo completo). Il cin­que è un numero che deve rivestire un significato particolare per Rosso: nel 2005, all’età di 50 anni, inizia a pensare che è arrivato il momento di stac­care, il lavoro inizia a pesargli, forse è giunta l’ora di passare il testimone ai figli e di dedicarsi ad altro, al sociale in primo luogo, come tanti self-made man americani hanno dimostrato di saper fare.

Oggi, invece, mi pare che Renzo Rosso sia ancora ben insediato al co­mando delle sue imprese…
Nel pieno di un periodo di riflessione personale, nel luglio del 2005, un dialogo con il Dalai Lama, un mito per me, uno dei grandi personaggi della nostra storia al pari di Nelson Mandela e di papa Francesco, cambiò la mia vita. Eravamo su un volo aereo, seduti fianco a fianco. Dinanzi alle mie perplessità, ai miei dubbi, non ebbe remore a dirmi di non mollare, di andare avanti, di usare il mio talento per continuare a dare lavoro alla gente e, allo stesso tempo, aiutare i più sfortunati con attività sociali finanziate da una parte dei margini del­le mie aziende. E così in effetti feci. Sino ad allora ave­vo tenuto riservato il mio impegno nel sociale, qua­si me ne vergognassi, temendo di dare l’idea dell’uo­mo di successo che vuole farsi pubblicità aiutando gli altri. Il Dalai Lama mi fece capire che quell’atteggiamento era sbagliato, che avrei dovuto continuare a seguire la mia strada e avere il coraggio di essere ancora di più me stesso, ma essere anche da esempio per gli altri.

Quale fu il passo successivo?
Tre anni dopo, nel 2008, diedi vita alla Only The Brave Foundation. Da al­lora ad oggi sono stati più di 170 i progetti che abbiamo portato a termine con un finanziamento complessivo di oltre 11 milioni di euro. La fondazio­ne vive dei contributi di ognuna delle aziende che fanno parte della galassia Otb e di qualche donazione esterna. Il 100% di quanto viene raccolto vie­ne poi speso sul campo, a differenza di tanti altri analoghi organismi, dove i costi di amministrazione arrivano a toccare anche il 40% del bilancio. A Dioro, in Mali, grazie al progetto Only The Brave Millennium Village, realiz­zato insieme alla Millenium Promise di Jeffrey Sachs, stiamo contribuendo allo sviluppo sostenibile di un villaggio per 20 mila persone, inclusa, al suo interno, una scuola superiore per 600 studenti, con dormitorio, mensa e la­boratori. Il progetto Apopo ha permesso l’addestramento di 200 topi capa­ci di sminare 45 mila ettari, tra Tanzania, Mozambico e Angola, rendendo la terra nuovamente coltivabile e a disposizione delle popolazioni locali. Sem­pre in Africa ci piace investire in attività sociali, ma anche ecosostenibili: abbiamo finanziato, per esempio, un’impresa che produce assorbenti intimi in fibra naturale, realizzati attraverso la lavorazione di foglie di banana.

Quanto è importante per lei la responsabilità sociale dell’imprenditore? Un tema di cui si dibatte molto oggi, alla luce dell’impossibilità economica, ma non solo, dello Stato di mettere in atto politiche di welfare che diano risposte ai tanti bisogni della società.
È un tema centrale nell’Italia del ventunesimo secolo. L’imprenditore ha il dovere di avvertire l’importanza del suo ruolo nella società. Innanzitutto, impegnandosi a garantire ai propri dipendenti le migliori condizioni di la­voro e ambientali possibili. Nel nostro headquarter di Breganze, nel vicen­tino, cerchiamo di non far mancare niente a nessuno: dall’asilo alla pa­lestra, dai ristoranti al salone estetico. E poi è fondamentale investire nel proprio territorio, sostenendolo con attività a vantaggio dei più sfortunati, che purtroppo sono sempre di più anche da noi. Il 90% dei progetti finan­ziati dalla Only The Brave Foundation riguarda l’Africa, il rimanente 10% invece il Veneto, la mia terra. Dal 2012, in questo caso tramite il grup­po Otb, stiamo anche contribuendo come sponsor al restauro del ponte di Rialto di Venezia, uno dei simboli dell’italianità nel mondo. Nello sport invece siamo proprietari del Bassano Virtus 55 Soccer team, la squadra di calcio della città di Bassano del Grappa.

Passo dopo passo 

1978
Rosso dà vita al marchio Diesel con Adriano Goldschmied.

1985
Acquisisce il controllo completo di Diesel.

2000
Mette a segno la prima acquisizione sul mercato, la Staff International.

2002
Acquisisce la maison Martin Margiela e fa il suo ingresso nel mercato del lusso.

2008
Dopo aver incontrato il Dalai Lama, fonda la Only The Brave Foundation.

2012
L’ultima operazione di peso sul mercato, la maison Marni.

2013
Rosso affida a Nicola Formichetti la direzione artistica di Diesel.

Il tessuto imprenditoriale italiano, costituito in larga maggioranza da mi­croimprese o aziende di piccola e media dimensione, fatica a uscire dal pe­riodo più buio che la storia dell’Italia repubblicana ricordi. Un grande im­prenditore italiano come si relaziona con una situazione così drammatica?
Sono anni di grandi difficoltà per il Paese. Come imprenditore ho cercato di sostenere i miei colleghi dando il via ad alcuni progetti di supporto fi­nanziario. La mancanza di liquidità e di fornitura del credito, come sap­piamo, è il stato vero tallone d’Achille del nostro sistema economico nel corso della crisi. Nel 2012, dopo il terremoto in Emilia Romagna, ho deci­so di creare, attingendo dal mio patrimonio personale, un fondo di garan­zia di 5 milioni di euro per aiutare, grazie all’erogazione di microcredi­ti bancari, imprenditori e commercianti a riavviare le loro attività. Mentre, per permettere agli operatori della filiera di Staff International di lavora­re con maggiore tranquillità dal punto di vista finanziario, abbiamo sotto­scritto un accordo da 50 milioni con Bnp Paribas per il credito agevolato. Grazie all’operazione denominata C.A.S.H. (Credito Agevolato Suppliers Help), tanti piccoli imprenditori, in grado di garantire standard qualitativi sempre migliori, possono così finanziarsi con tassi del 2-2,5%, mentre in genere devono accollarsi interessi che vanno dal 12 al 18%.

Diesel è un marchio che ha creato il suo successo soprattutto tra i giova­ni. Qual è il suo giudizio sulle nuove generazioni?
Oggi tanti giovani pretendono di avere tutto e subito, hanno fretta e poco rispetto per gli altri. L’altruismo è un valore sempre meno diffuso. Inoltre, manca la fame, la voglia di conquistare il mondo. È vero, il sistema ita­liano oggi non li aiuta. I genitori però dovrebbero mandarli fuori di casa il prima possibile, insegnando loro ad assumersi le giuste responsabilità. Con i miei figli, nonostante siano dei privilegiati, ho fatto così, cercando di trasmettere loro quel sistema di valori con cui sono cresciuto. Anche se non è facile: Internet è un mondo dove ormai gira di tutto, pieno di peri­coli, il controllo da parte dei genitori il più delle volte è impossibile.

Qual è il suo rapporto con la religione?
Sono cresciuto in una famiglia di credenti, di fede cattolica. Oggi coltivo la religione a modo mio: il mio credo è soprattutto nella dignità delle per­sone e nel rispetto degli altri.

Il suo giudizio sulla politica italiana?
Potrei definirlo ostico. La politica, così come è stata vissuta in Italia fino a oggi, mi fa venire i brividi. Anche quei politici che hanno idee valide fi­niscono per non riuscire a renderle concrete, perché alla fine devono fare i conti con qualcuno che cerca di mettere i bastoni fra le ruote. In Italia manca la capacità di fare sistema, un brutto vizio che riguarda la politi­ca ma anche, e qui parlo del mio lavoro quotidiano, il mondo imprendito­riale. Ci lamentiamo perché i francesi vengono a comprare i nostri marchi: bisognerebbe ricordarsi che loro sì che sanno fare squadra e lavorare in­sieme. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Tanti suoi colleghi hanno deciso di fare il salto e, su loro iniziativa o per­ché invitati, hanno deciso di far parte di compagini governative o di en­trare in Parlamento. E lei?
No, è una carriera che non mi ha mai interessato. Tanti presidenti del Con­siglio mi hanno chiesto di dare il mio contributo in forme differenti, ma no, non è proprio un mestiere che fa per me.

Molti marchi della moda italiani sono finiti al centro delle polemiche per le delocalizzazioni e il mancato controllo delle condizioni di lavoro all’estero…
Il nostro obiettivo è produrre il più possibile all’interno dei confini nazio­nali. Anche perché il made in Italy garantisce la conquista di nuovi consu­matori e mercati. Però, operando in un contesto globale dove la concor­renza è molto agguerrita, per alcune linee siamo costretti a investire nella produzione in altri Paesi.

Di recente ha dichiarato di aver speso, negli ultimi tre anni, sei milioni di euro per condurre battaglie legali contro chi copia i suoi jeans. La con­traffazione è impossibile da sconfiggere?
I jeans Diesel contraffatti spopolano nel mondo, dalla Cina agli Stati Uni­ti, dal Marocco al Portogallo. Se sei un pesce piccolo, purtroppo, puoi fare ben poco. Noi abbiamo i mezzi finanziari e li abbiamo messi in campo per combattere una piaga che danneggia, non solo i conti economici del gruppo, ma anche l’immagine del brand a livello internazionale. In paral­lelo alle azioni legali, ho deciso di mettere sotto i raggi X tutta la rete di­stributiva del brand. È stato un lavoro molto oneroso che, sono certo, darà i suoi frutti.

Non di solo moda si vive, però. Da tempo Red Circle Investments, la so­cietà di investimenti della famiglia Rosso, ha puntato sulla diversificazio­ne del portafoglio.
Sì, l’intenzione è di puntare su settori emergenti, in particolare nell’ambito delle nuove tecnologie, di sostenere l’imprenditoria italiana e quei mercati affini alla mia visione della società. A inizio 2014 siamo entrati nel capita­le di EcorNaturaSì, la società cui fanno capo le catene di prodotti biologi­ci a marchio NaturaSì e Cuorebio. Un’operazione di cui sono molto orgo­glioso, perché, dal momento che siamo quello che mangiamo, la diffusio­ne del cibo biologico non può che essere una priorità per l’umanità. O an­cora, tra le altre, deteniamo quote del capitale di H-Farm, l’incubatore di start up in ambito tecnologico.

Articolo pubblicato sul numero speciale L’anima delle imprese di agosto 2015