Luca Colombo (Facebook): "Dimenticate le best practice"

Alla guida di Facebook in Italia dall’ottobre 2010, Luca Colombo ha una laurea in Ingegneria al Politecnico di Milano e un passato in Microsoft

Ripensate alla primavera 2004. Di­gitalmente parlando, sono pas­sate ere geologiche. Il primo iPhone, che avrebbe rivoluzio­nato il mercato della telefonia mobile, era solo nella mente di Steve Jobs, men­tre Nokia aveva appena scalzato Motoro­la come leader di mercato dei cellulari. In Italia si iniziava ad acquistare online, an­che se il vero e-commerce sarebbe arrivato qualche anno più tardi. È in questo scenario che viene posto un pilastro del­la comunità ed economia digitale che conosciamo oggi. «Cosa ricordo di quel pe­riodo? Una cosa mi è rimasta impressa: leggevo ancora le mail soltanto da Pc, lo smartphone di allora non era così fruibi­le come lo è oggi». A parlare è Luca Co­lombo, Country Director di Facebook Ita­ia, divisione del social network lanciato da Mark Zuckerberg il 4 febbraio 2004 e che, 15 anni più tardi, ha superato i 2,2 mi­liardi di utenti nel mondo e gestisce – in maniera sempre più integrata – anche In­stagram, WhatsApp e Messenger. «Inizial­mente era pensato solo per l’università, quindi per una platea differente», ricor­da Colombo, «ma la mission è rimasta la stessa, quella di creare un mondo sempre più aperto e connesso».

In Italia Facebook ha registrato un boom di iscrizioni nel 2008. Come lo ha trovato quando ne ha assunto la guida, nel 2010, e come lo vede oggi?
In Italia eravamo una piccola realtà. La­voravamo in un ufficio condiviso con poche persone. Oggi siamo decisamen­te di più e con un headquarter dedica­to. Era un mondo diverso, ma anche il ruolo di Facebook è cambiato: ai tem­pi era considerato più un divertimen­to che uno strumento di business. Oggi alla piattaforma accedono 31 milioni di italiani, di cui 25 milioni ogni giorno. Le sfide che abbiamo davanti sono note­voli e non riguardano solo il far cono­scere il nostro potenziale alle aziende, ci rivolgiamo anche alle istituzioni, alle persone e alle ong. In Facebook sono cambiate tante cose, ma la sua filoso­fia è rimasta coerente. I valori dell’a­zienda, quei move fast , focus on impact , be bold , piuttosto che build social value , valori facilmente interpretabili per una start up, sono applicabili anche oggi, nonostante il gruppo conti più di 30 mila persone. In 15 anni la cultu­ra non è cambiata per niente anche gra­zie all’imprinting di Mark (Zuckerberg, ndr ). L’azienda si muove davvero velo­cemente, impara moltissimo dagli erro­ri e non ha paura di sbagliare, sebbene ci sia una maggior consapevolezza del­la responsabilità che Facebook ha. Stia­mo scrivendo un nuovo mondo e gli er­rori sono inevitabili. 

Di recente ha affermato che in Facebook si vive un po’ “alla giornata”.
Diciamo che la nostra strategia è un mix tra il “vivere alla giornata” e una visione di lungo periodo, che va da qui a dieci anni. Grossi investimenti su alcuni macrotrend vanno fatti oggi per obiettivi dai quali non possiamo sottrarci: realtà virtuale e au­mentata, intelligenza artificiale e connet­tività nelle zone del mondo ancora oggi non coperte da Internet. Facebook e In­stagram, ma anche WhatsApp e Workpla­ce sono invece prodotti che analizziamo nel medio termine. Viviamo alla giornata nel senso che ci affidiamo moltissimo alla sperimentazione, lanciando funzionali­tà e servizi rivolti a un numero ristretto di persone e ascoltando i loro feedback. E dalla continua interazione con loro na­scono progetti che non avremmo pianificato. Un esempio? Le stories , i contenuti che si postano e scompaiono in 24h, sono state lanciate due anni fa su Insta­gram, hanno riscosso un grande succes­so e un anno fa sono diventate anche una fonte commerciale. 

Tra i vostri obiettivi c’è quello di colmare in Italia il gap di competenze digitali.
Per noi uscire dalla pura relazione con le aziende è un imperativo, perché Facebo­ok ha un ruolo che va al di là della par­te commerciale, e quello delle digital skill è un tema fondamentale. È altrettanto im­portante far comprendere che possedere competenze in ambito digitale non signi­fica saper sviluppare un’app o imparare a gestire un software di analisi dei dati, ma comprendere come la tecnologia possa essere un’opportunità. 

È la mission del vostro Binario F, spazio che a Roma offre gratuitamente corsi e attività per migliorare le conoscenze digitali.
Si tratta di un investimento importan­te per noi, della durata di almeno due anni. Non dico che sia la punta dell’ice­berg, ma è il risultato di una serie di ini­ziative portate avanti in passato: dal più recente Fed - Forum dell’economia di­gitale a Boost Your Business , dove ab­biamo raggiunto 8 mila aziende in 14 città, fino a #SheMeansBusiness dedi­cato al sostegno all’imprenditoria fem­minile (4 mila le donne raggiunte solo nel 2018, ndr ). Binario F ha una forte accezione sull’area di Roma, ma non è che un punto di partenza per le iniziati­ve che si sviluppano sul territorio. Sarà, inoltre, il punto nevralgico al quale ag­ganciare tutti i progetti futuri. 

È stato inaugurato a ottobre, si può già fare un primo bilancio?
Si rivolge a otto tipi di audience, pratica­mente un po’ a tutti: dalle istituzioni alle università, dal business al privato, dalle ong agli studenti. A oggi, sono stati realiz­zati più di 110 eventi e sono state formate 7.600 persone. E non parliamo di webinar, ma di corsi di formazione in presenza. Le categorie più coinvolte sono studenti e aziende, ma anche migranti. È chiaro che la macchina è in partenza, ma presenta già buoni risultati. 

Se ne parla tanto, ma il digitale è davvero al centro delle strategie delle imprese?
C’è stato un cambio di passo, c’è mol­ta più attenzione anche ai vertici delle aziende. Una sensibilità che deriva dal fatto che ormai tutti quanti abbiamo uno smartphone, mentre prima si faceva più fatica a recepire i messaggi da chi indi­cava una strada diversa da intraprendere. Oggi il cellulare è nelle mani di tutti e, secondo il Censis, WhatsApp è utiliz­zato dalla quasi totalità di chi possiede uno smartphone. Nel momento in cui si comprende quanto la messaggistica sia pervasiva, ci si rende conto di quan­to tempo si spenda sul device e quanto dipendiamo da esso. È un punto di vista importante anche per le aziende. C’è quindi più consapevolezza nello stru­mento, ma non sempre una conoscen­za chiara su come adoperarlo. Si tor­na un po’ al discorso di prima: la sfida è comprendere come Internet of Things, mobile a app possano essere funzionali al mio business. Non è necessariamente detto che con un’app io possa servire meglio i miei consumatori. 

Cosa avete imparato dalle aziende italiane che lavorano con voi?
Ci sarebbe davvero tanto da dire! Per esempio, direi che le pmi, con una cate­na di comando più breve e muovendo­si più velocemente di realtà più grandi, sono più foriere di idee. Sono capaci di sorprenderci utilizzando la nostra piat­taforma in maniera davvero creativa, in linea con le policy ma in modalità che non avremmo immaginato. È il caso di WhatsApp for Business, servizio che per­mette alle imprese di avere una presen­za sull’app più curata dal punto di vista dell’immagine e risposte automatizzate. Il servizio è figlio dell’esperienza di alcune aziende, che avevano iniziato a utilizzare WhatsApp per interagire con i clienti. Un secondo aspetto è che la velocità fa la dif­ferenza. Spesso ci imbattiamo in aziende che non hanno paura di sbagliare e speri­mentano costantemente, sono quelle che hanno maggiore successo. Viviamo in un mondo in cui è difficile basarsi sulle best practice: quello che funziona oggi non è detto che funzionerà domani e viceversa. Continuare a sperimentare e sbagliare fa un po’ parte di questo mondo. 

Da tempo su Facebook sono presenti cam­pagne di raccolta fondi per attività non pro­fit. Un domani le aziende potranno attivare campagne di crowdfunding?
A oggi non è previsto. Invece, per il ruo­lo che vogliamo Facebook abbia, il do­nate button è fondamentale. Le aziende possono creare delle raccolte fondi a fini solidali, ma non è il crowdfunding inte­so come lo conosciamo oggi. Le raccolte fondi sulla piattaforma stanno registran­do numero importanti, con oltre un mi­lione di ong che utilizzano Facebook a questo scopo e già qualche mese fa ave­vamo raccontato come in un solo anno i nostri strumenti di beneficienza avesse­ro permesso di raccogliere un miliardo di dollari nel mondo. 

Si parla di spot su WhatsApp, c’è chi affer­ma debutteranno a breve.
Al momento il focus è sulla crescita de­gli utenti. Le funzionalità che stiamo rilasciando in questo periodo hanno l’obiettivo di rendere il servizio più fru­ibile e veloce. Da un punto di vista di business, ci sono sperimentazioni che vanno in direzione delle notification, cioè la possibilità di utilizzare la piat­taforma per le notifiche sugli acquisti o la consegna dei pacchi. È in fase di test anche l’utilizzo dell’app come cu­stomer service per aziende e la P.A.. La pubblicità, invece, non sarà inserita nelle chat, mentre il discorso è diverso per le stories . Ma a oggi non c’è anco­ra niente. Anche per Instagram siamo in fase di continua ottimizzazione del prodotto esistente. L’obiettivo è far sì che l’investimento dia un ritorno sem­pre maggiore per le aziende. 

Qualche anticipazione sul prossimo Forum dell’economia digitale organizzato con i Giovani imprenditori di Confindustria?
Tornerà sicuramente tra giugno e luglio a Milano. Stiamo lavorando alla finaliz­zazione degli speaker e del tema genera­le. Il fil rouge sarà sempre quello di rac­contare le opportunità digitali da aziende che non vivono in questo settore. Cer­cheremo di portare sul palco speaker dal mondo dell’automotive, dell’arte, dello spettacolo, del food e della politica, tutti accomunati dall’esperienza digitale. 

Come vede i prossimi 15 anni?
Difficile fare previsioni. Sicuramente te­matiche come A.I., realtà virtuale e au­mentata inizieranno ad avere effetti im­portanti. Cambieranno, ad esempio, il modo in cui far vivere l’esperienza in un punto vendita, ma miglioreranno an­che le diagnosi in campo medico. Oggi, però, stiamo toccando solo la superficie delle possibilità, per questo non mi pia­ce se ne parli già così tanto. Gli investi­menti in questo settore vanno da qui ai prossimi dieci anni, aspettarsi un ritorno oggi… è un problema. Ragionando più a medio termine, ritengo che la messaggi­stica istantanea – WhatsApp o Messenger per noi, ma anche altri servizi come We­Chat e Viber – sarà il nuovo punto di in­gresso a Internet.

*Intervista pubblicata sul numero di Business People, aprile 2019