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Lavoro

Trasparenti, democratici e pronti all’azione: ecco i manager italiani

Per avere il dirigente perfetto, a queste tre capacità si devono aggiungere due competenze tecniche: l’efficacia e lo spirito imprenditoriale

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Sincerità, coinvolgimento democratico e azione. Sono queste le principali caratteristiche che deve avere un buon manager e che, fortunatamente, i dirigenti italiani sembrano possedere. A svelarlo un’indagine curata da Federmanager e da The European House-Ambrosetti, che ha coinvolto complessivamente 1.631 manager, secondo cui trasparenza e propensione a condividere le informazioni sono qualità fondamentali e comuni all’81% del campione. La capacità di esercitare la leadership in modo democratico, invece, è considerata indispensabile dal 72% degli intervistati: il 42% ritiene che la democrazia sia essenziale soprattutto nel processo decisionale e debba avvenire mediante la consultazione allargata tra tutte le forze in campo, mentre il 30% preferisce modalità di leadership a rotazione. Per quanto riguarda l’azione, infine, il 21% dei manager pensa che il proprio ruolo sia fare piuttosto che essere qualcuno. Non solo. Il 45% dei partecipanti mostra un forte orientamento al problem solving e all’ottimizzazione delle risorse e considera questi valori irrinunciabili. A questi tre elementi si devono aggiungere due competenze tecniche: l’efficacia, ossia la capacità di snellire i processi e l’organizzazione per rispondere velocemente ai cambiamenti, e lo spirito imprenditoriale, ossia la capacità di prendere decisioni veloci e tempestive. “Tutti elementi che fanno pensare che nel futuro il manager sarà sempre più un leader e sempre meno un capo” ha commentato Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager.

Il ruolo di manager va a persone della famiglia

Ma chi sono i manager italiani? Innanzitutto sono uomini: la composizione del campione, 87% di manager uomini e 13% di manager donne, svela quanto il sesso femminile comandi ancora poco in azienda. Del resto, in Italia ci sono tante piccole e medie aziende: realtà spesso famigliari, dove i ruoli dirigenziali sono ricoperti ancora delle figure parentali e dove il potere tende a passare da padre in figlio e nipote. Tutti maschi. Il risultato? Il gap di managerizzazione delle aziende italiane è ancora troppo basso e queste realtà non riescono a competere con le imprese estere, ben più corpose e con performance migliori. Non solo. L’altro effetto è il basso di livello di meritocrazia, a vantaggio di una cultura della lealtà e fidelizzazione.