Nagel si dimette da Mediobanca: la lettera che chiude un’era

L’ormai ex a.d. di Piazzetta Cuccia ripercorre nella sua ultima comunicazione interna la trasformazione del gruppo, tra risultati record, scelte strategiche e messaggi alla nuova proprietà

Nagel si dimette da Mediobanca: la lettera che chiude un’era© Photo by Pier Marco Tacca/Getty Images

Dopo oltre 34 anni in Mediobanca, di cui 22 alla guida come amministratore delegato, Alberto Nagel ha annunciato le sue dimissioni con una lettera indirizzata ai dipendenti del gruppo. Il passo indietro è arrivato durante il consiglio d’amministrazione del 18 settembre, mentre l’uscita formale avverrà entro l’assemblea del 28 ottobre, data tradizionale per l’appuntamento dei soci.

Nel documento, fitto di riflessioni e bilanci, Nagel ha scelto di congedarsi citando Orazio: “Graecia capta ferum victorem cepit”, un’espressione che evoca il valore trasformativo della cultura, filo conduttore dell’intero messaggio.

Un bilancio che parte da lontano

L’ex Ceo ha ripercorso il cammino compiuto dal gruppo bancario dal 2004 in avanti, segnando una netta distinzione in due fasi: la prima fino al 2015, incentrata sul rafforzamento di Corporate & Investment Banking e Consumer Finance, e la seconda, dal 2015 a oggi, focalizzata sull’espansione del Wealth Management e sull’internazionalizzazione.

Sono anni in cui Mediobanca ha triplicato il personale, raggiungendo i 6.200 dipendenti, ha raddoppiato i ricavi, toccando quota 3,7 miliardi, e ha segnato un utile netto di 1,3 miliardi, 2,5 volte superiore al 2004. Tutto questo senza aumenti di capitale, restituendo agli azionisti circa 8,5 miliardi e generando un total shareholder return del +500%.

La trasformazione in public company

Nel passaggio più strutturale della sua riflessione, Nagel sottolinea il cambiamento dell’azionariato: nel 2004 oltre la metà del capitale era vincolato nel patto di sindacato; oggi Mediobanca è diventata una vera public company, con il capitale quasi interamente sul mercato. Tuttavia, dal 2020, si è assistito a un ritorno di azionisti “stabili”, riducendo la quota flottante.

Un testamento strategico e culturale

Accanto ai numeri, nella lettera emerge il pensiero strategico e culturale di Nagel. Il primo pilastro è definito “darwinismo bancario”: la necessità per le banche di adattarsi rapidamente a contesti mutevoli, pena l’estinzione. Il secondo è la preferenza per attività ad alto valore aggiunto, come il wealth management, rispetto a operazioni con banche commerciali orientate al mass market. Terzo punto: le banche quotate con capitale diffuso e presenza significativa di investitori istituzionali hanno più margini per crescere e generare extra ritorni. Infine, la fiducia come base della reputazione: “reputation first”.

In un passaggio che sembra alludere al recente successo dell’Opas di Mps su Mediobanca, Nagel afferma che sarebbe stato preferibile un’operazione nel risparmio gestito piuttosto che una fusione con una banca commerciale, ribadendo la centralità della cultura aziendale, che descrive come “cucita addosso”.

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Un’eredità identitaria

Nagel conclude ringraziando i colleghi per l’opportunità di aver guidato un gruppo unico, che ha saputo conservare una cultura distintiva fatta di competenza, trasparenza, understatement e passione, nel solco di figure come Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi. È un’eredità che, secondo l’ex a.d., la nuova proprietà non potrà ignorare: “Vi attendono ora nuove sfide che, ne sono certo, sarete pronti a superare stando uniti e preservando quella cultura e diversità che vi rendono unici”.

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