Al rientro dalle vacanze estive, vale la pena tornare indietro di qualche mese, alle inevitabili e scontate polemiche seguite alla boutade del cancelliere Merz in cui ha invitato i suoi concittadini a lavorare di più per salvare l’economia tedesca. Al netto delle rilevazioni secondo cui in effetti risulterebbe che i lavoratori in Germania svolgano un monte ore di poco inferiore alla media europea, viene da chiedersi per quale ragione in Occidente (con gli Usa come capofila) si stia verificando una sorta di smottamento verso un’idea di sviluppo che guarda al passato.
Ovvero, ci si chiede con sempre maggiore insistenza come mai al governo, anzi ai governi, ci ritroviamo politici che a problemi sempre più complessi, in un mondo enormemente più sfaccettato, propongono soluzioni standard vecchie di decenni se non di secoli. Quindi, se l’economia di una nazione (e che nazione! la “locomotiva d’Europa” veniva definita fino a poco tempo fa…) non procede più spedita, non è probabilmente a causa di scelte strategiche sbagliate, di congiunture internazionali impazzite, di politiche non adeguate a cui bisognerebbe porre rimedio, la causa – e quindi la soluzione – è nel fatto che i lavoratori tedeschi lavorino circa due ore alla settimana in meno rispetto alla media europea, che – per inciso – è la stessa quantità di ore con cui la Germania trainava l’economia del Vecchio Continente.
Un deficit che, secondo il cancelliere, andrebbe ovviamente colmato. Come? Aumentando il numero di ore della forza lavoro, il che potrebbe andare bene se dietro ci fosse un progetto chiaro di crescita della produttività, ma aumentare (alla cieca) l’orario di lavoro, mentre altri Paesi puntano addirittura alla settimana lavorativa ridotta, è una contraddizione in termini.
Sullo scorso numero di Business People, Silvia Spattini di Adapt l’ha spiegato bene: per migliorare la produttività non basta lavorare più ore, ma servono investimenti in tecnologia e innovazione, in formazione dei lavoratori, capacità manageriali, efficiente organizzazione del lavoro e ampliare le dimensioni delle aziende. E serve che le imprese oltre che efficienti siano competitive, che gli Stati le aiutino a diventarlo. Se invece ci si limita a trattare i lavoratori come semplice forza lavoro, come se fossero una pura commodity, la Germania in generale e l’Europa in particolare non sembrano destinate a poter aspirare a margini di miglioramento.
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