«C’era una volta il capitale umano…»

Le aziende italiane non stanno facendo abbastanza tesoro dei loro talenti

«C’era una volta il capitale umano…»© Getty Images

Verrebbe da commentare così leggendo la notizia che il 40% dei lavoratori italiani sogna di lasciare l’azienda per cui lavora: se la stessa quota della liquidità delle imprese facesse altrettanto, andrebbero letteralmente in rovina…

Il dato è emerso dal rapporto European Workforce Study 2025, stilato a livello europeo da Great Place to Work (la stessa che paradossalmente redige ogni anno la classifica delle società più gradite ai dipendenti). L’Italia sarebbe leader assoluta in Europa, che registra invece una media del 31%, ma c’è poco di cui vantarsi. A volerlo leggere nella sua interezza, il dato sarebbe (è) drammatico, non tanto e non solo perché il “malessere” dei dipendenti ha dei costi vivi alquanto pesanti per le aziende, a partire dagli esborsi aggiuntivi dovuti al turnover passando dal calo di produttività e di redditività imputabile alla disaffezione (che Gallup avrebbe quantificato rispettivamente nel 18 e nel 15%), ma anche e soprattutto perché dei lavoratori non coinvolti, non “accesi” si limitano – nella migliore delle ipotesi – a eseguire meccanicamente dei compiti, senza uscire dal seminato.

Mentre è risaputo che ogni lavoro o mansione, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore, comporta quotidianamente un approccio creativo e proattivo, che viene a mancare in chi non ha davanti una chiara prospettiva di sviluppo individuale e aziendale.

Tutto questo per dire che non si tratta di una questione limitabile agli uffici delle risorse umane, bensì di un approccio generalizzato che coinvolge la gestione stessa dell’impresa. Tant’è che il motivo principale per cui i dipendenti lasciano non sono i salari (che peraltro in Italia sono in media tra i più bassi d’Europa), bensì la mancanza di riconoscimento e di possibilità di crescita. Questo ci dice anche che le aziende italiane non stanno facendo abbastanza tesoro dei loro talenti, che si stanno facendo un po’ prendere la mano dall’adagio secondo cui un lavoratore vale l’altro, per la serie “tutti sono utili, nessuno è indispensabile” per intenderci.

Ci dice inoltre che forse ci siamo troppo cullati nella retorica delle pmi in cui i dipendenti fanno parte di un’unica grande “famiglia”, ma una famiglia a senso unico. Ci dice, infine, perché sempre più giovani laureati e talenti decidono di lasciare l’Italia per andare a cercare fortuna all’estero. Solo che – malauguratamente – la loro fortuna non coincide con la fortuna del Paese, né delle nostre aziende.

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