C’è un momento preciso in cui un capo smette di essere un punto di riferimento e inizia a diventare un problema. A volte non ce ne accorgiamo subito, altre volte siamo proprio noi quel problema. Jamie Woolf e Christopher Bell, esperti di cultura organizzativa e fondatori di Creativity Partners, lo raccontano nel loro intervento Ted dal titolo Why good people become bad bosses.
“Quando saliamo di grado, perdiamo di vista come ci si sente a non avere potere”, spiega Jamie Woolf, ex Director of Culture di Pixar. È il fenomeno della power blindness, una forma di cecità che colpisce chi assume ruoli di comando: il tono di voce che diventa giudizio, la battuta che nessuno osa criticare, l’idea ignorata che spegne l’iniziativa. “Le persone smettono di dirci la verità. E noi smettiamo di vederla”.
Christopher Bell, docente universitario e consulente, porta la sua esperienza personale per parlare di un altro tipo di armatura: quella costruita per proteggersi dai pregiudizi e dalle ingiustizie. “Sono un uomo nero con un dottorato. In America, è più probabile che un uomo nero finisca in prigione che ottenga un PhD. Per questo faccio in modo che mi chiamino ‘Dottor Bell’. Ma quell’armatura, fatta di forza e difesa, a volte ha degli spigoli che tengono lontani gli altri”.
L’introspezione è la chiave per spezzare il ciclo del cattivo capo. Woolf lo scopre nel momento in cui una sua collaboratrice, tra le lacrime, le confessa di sentirsi trascurata e invisibile. Inizialmente la reazione è di difesa, come spesso accade. Poi arriva il momento di guardarsi allo specchio.
Il primo passo per una leadership autentica
Bell invita i leader a uno specchio più grande: “Non il compatto da borsetta, ma quello da corridoio, quello che ti mostra per intero”. Propone tre domande fondamentali: Quale armatura indosso e cosa mi dà (e mi toglie)? Cosa le persone hanno paura di dirmi? E, soprattutto, cosa farò di diverso?
Domande semplici, risposte scomode. Ma è proprio da lì che inizia la trasformazione.
La leadership è relazione, non controllo
A un iniziale rifiuto, fatto di difese e giustificazioni alle critiche mosse dalla sua collaboratrice, per Woolf è seguita una presa di coscienza profonda. Capisce che, per quanto si considerasse una buona leader, qualcosa non stava funzionando: non stava vedendo davvero le persone del suo team. Il momento di rottura con la sua “fortezza di solitudine” arriva quando inizia a interrogarsi sinceramente sull’impatto del suo comportamento.
Da quel punto, sceglie di cambiare approccio. Comincia a partecipare attivamente alla vita del team, a essere presente nei momenti chiave, a dare riconoscimenti autentici e a conoscere i suoi collaboratori anche al di fuori del ruolo professionale. “Non puoi essere un buon capo se sei disconnesso“, ammette.
Il cambiamento non è solo personale: si riflette sull’intero team. Crescono la fiducia, la collaborazione, la voglia di contribuire. E quelle idee che prima restavano in ombra, ora cominciano a circolare con libertà.
Rompere il circolo vizioso
Il messaggio conclusivo è di Bell: la leadership è un atto etico prima ancora che organizzativo. Sta a chi ha potere scegliere se usarlo per dominare o per far emergere gli altri. E questo richiede coraggio. Coraggio di ascoltare, di mostrarsi vulnerabili, di cambiare. Perché il potere non ci rende cattivi. Siamo noi che, smettendo di guardarci allo specchio, possiamo diventarlo.
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