L’Offerta pubblica di acquisto e scambio (Opas) lanciata da Monte dei Paschi di Siena (Mps) su Mediobanca ha superato le più rosee aspettative, chiudendosi con adesioni pari al 62,3% del capitale. Un risultato che ridisegna gli equilibri del sistema finanziario italiano: Siena non è più solo il primo azionista, ma è ora il controllore di diritto della storica banca d’affari milanese.
Per Mps si tratta di una vittoria clamorosa, se si considera che appena tre anni fa l’istituto era in piena crisi. Alla guida dell’operazione c’è Luigi Lovaglio, amministratore delegato della banca toscana, supportato dal Mef e dai grandi soci Delfin e Caltagirone, già presenti anche in Mediobanca. Il superamento della soglia del 50% consente ora di blindare la governance e attivare i Dta (crediti fiscali differiti), con un impatto diretto sul bilancio consolidato del nuovo gruppo.
Verso la soglia del 66,7% per la fusione
La partita però non è ancora conclusa. Dal 16 al 22 settembre si aprirà una finestra di riapertura dell’offerta, e l’obiettivo è chiaro: superare la soglia del 66,7% che permetterebbe a Mps di avviare il delisting di Mediobanca dalla Borsa, semplificare la fusione e accelerare l’integrazione. Secondo le stime, il nuovo gruppo potrebbe generare 700 milioni di euro di sinergie ante imposte all’anno e avvalersi di 2,9 miliardi di Dta nei prossimi sei anni.
La strategia di Lovaglio ha convinto il mercato. Il ritocco cash di 0,9 euro per azione Mediobanca, pari a circa 750 milioni di euro, ha reso l’offerta più appetibile anche per i fondi d’investimento più scettici. Con un concambio di 2,533 azioni Mps per ogni titolo Mediobanca, la valorizzazione è salita a 16,3 euro ad azione, con un premio dell’11,4% rispetto ai valori di inizio anno.
Decisivo il sostegno dei grandi azionisti. Delfin e Caltagirone, con una quota vicina al 30%, hanno aderito per primi, aprendo la strada a un effetto domino. Hanno seguito fondi istituzionali come Enasarco, Enpam, Fidelity, Anima, Tages e Unicredit, oltre ai big internazionali come Vanguard e BlackRock. Anche la famiglia Doris ha dato il suo via libera, rompendo di fatto il fronte del patto di consultazione di Mediobanca, ormai ridotto a poca cosa.
Cambio al vertice e scenari futuri
Con il cambio di controllo, lo scenario si sposta ora sulla governance. Il Cda di Mediobanca si riunirà il 18 settembre per approvare il bilancio e, con ogni probabilità, rimetterà il mandato, lasciando spazio a un nuovo board che sarà eletto nell’assemblea del 28 ottobre. Tra i papabili per la guida di Mediobanca spunta il nome di Mauro Micillo, attuale numero uno di Imi, mentre per la presidenza resta in pole l’ex ministro del Tesoro Vittorio Grilli.
La Bce, intanto, attende entro sei mesi dalla data di acquisizione un piano che chiarisca l’assetto di corporate governance del nuovo gruppo, la sua organizzazione interna e la struttura di coordinamento strategico e operativo tra Siena e le controllate. Solo dopo sarà affrontata la questione Generali, di cui Mediobanca detiene una quota del 13%, e su cui Lovaglio ha già fatto sapere che non sosterrà l’operazione con Natixis sponsorizzata da Philippe Donnet.
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