L’intesa Usa-Cina frena la guerra dei dazi, non la sfida per i mercati

Il nuovo accordo commerciale tra Washington e Pechino riapre alcuni canali strategici, ma gli squilibri nei flussi e i danni alla produzione restano evidenti

L’intesa Usa-Cina frena la guerra dei dazi, non la sfida per i mercati© Shutterstock
Dopo mesi di tensione crescente, Stati Uniti e Cina hanno trovato un nuovo punto di equilibrio temporaneo sui dazi. L’intesa è stata siglata a Londra dopo due giorni di trattative tra le delegazioni guidate dal segretario al Tesoro americano Scott Bessent, dal segretario al Commercio Howard Lutnick e dal vicepremier cinese He Lifeng. A ufficializzarla è stato direttamente Donald Trump, che attraverso il suo canale social ha parlato di “relazioni eccellenti” e di una “tregua commerciale ripristinata”.L’accordo prevede, tra i punti chiave, la ripresa delle esportazioni cinesi di terre rare verso gli Stati Uniti, essenziali per l’industria tecnologica americana, e l’allentamento delle restrizioni statunitensi sull’export di componenti come motori per aerei e derivati chimici come l’etano. È previsto anche un gesto distensivo sul piano accademico: gli studenti cinesi potranno tornare a frequentare le università americane, evitando le strette sui visti annunciate nei mesi precedenti.Nonostante i toni entusiastici, la Cina ha posto limiti temporali precisi alle concessioni: le licenze per l’export avranno durata di sei mesi. Una precauzione che evidenzia come la sfiducia reciproca non sia ancora superata. L’intesa, infatti, richiede nuovi sviluppi: entro novanta giorni dovrà essere trasformata in un compromesso stabile e strutturale.

Dazi Usa-Cina: tregua tecnica, effetti duraturi

Il compromesso arriva in un momento critico per l’economia cinese, che ha subito contraccolpi durissimi a causa della guerra dei dazi. I settori più colpiti, come elettronica, meccanica e batterie, hanno visto una riduzione drastica dell’export verso gli Stati Uniti, in alcuni casi fino al 50%. Le conseguenze si sono fatte sentire lungo tutta la catena produttiva, con aree industriali paralizzate e imprese in difficoltà, spesso mantenute attive solo grazie agli aiuti pubblici.

La pressione ha colpito soprattutto le aziende più piccole, legate alla subfornitura, che si trovano oggi a combattere con un credit crunch profondo. Le grandi banche non sono state in grado di fornire sostegno adeguato e il governo cinese ha avviato un delicato processo di ristrutturazione del sistema finanziario, cercando di integrare le banche cooperative locali – spesso ad alto rischio – in istituti più solidi.

Nel tentativo di compensare le perdite sul mercato americano, Pechino ha cercato di orientare parte dell’export verso l’area Asean, ma i nuovi sbocchi non sono sufficienti a bilanciare i volumi precedenti. Il risultato è un sistema commerciale ancora fragile, in cui le cicatrici della guerra commerciale si sommano a una domanda interna poco reattiva.

L’economia cinese racconta un rallentamento reale

I dati diffusi a maggio dalle dogane cinesi confermano un’economia in calo. Le esportazioni sono cresciute del 4,8% su base annua, in rallentamento rispetto all’8,1% del mese precedente. Ancora più significativo è stato il calo delle importazioni, scese del 3,4% su base annua, ben oltre le previsioni degli analisti. Il dato segnala una domanda interna ancora debole, che rappresenta oggi uno dei principali ostacoli alla ripresa.

In questo contesto, la fiducia dei consumatori resta bassa e l’accordo commerciale da solo non è in grado di invertire la tendenza. Secondo la Camera di Commercio italiana a Pechino, un clima più disteso può certamente favorire nuovi investimenti e rafforzare le partnership esistenti, ma nei comparti strategici come la meccanica di precisione e l’automotive, gli effetti negativi accumulati restano significativi. L’industria cinese ha bisogno di stabilità, ma anche di tempo per rimettere in moto il proprio motore produttivo.

Gli Stati Uniti guadagnano tempo, ma non il controllo

Dal punto di vista americano, l’intesa rappresenta un’occasione per evitare interruzioni in settori sensibili. Le terre rare, indispensabili per produrre dispositivi tecnologici, armamenti e infrastrutture strategiche, erano diventate una leva geopolitica nelle mani di Pechino. Nei mesi scorsi, la Cina ne aveva ridotto l’export verso gli Usa del 60%, alimentando timori sulla sicurezza delle catene di approvvigionamento occidentali.

L’accordo consente agli Stati Uniti di recuperare margine operativo, ma non risolve il problema di fondo: la dipendenza industriale da materie prime e lavorazioni cinesi. Al tempo stesso, le tariffe restano in gran parte attive, anche se in forma ridotta, e la loro legalità è ancora oggetto di esame nelle corti federali. La sospensione attuale è solo temporanea e non è escluso che le barriere possano essere ripristinate, anche per motivi legati a nuove tensioni politiche.

Trump ha rivendicato il risultato come una vittoria del modello America First, ma le dinamiche in gioco suggeriscono un quadro più sfumato. La Cina, più che cedere, ha semplicemente adattato le proprie mosse a uno scenario mutato, mentre gli Stati Uniti restano alla ricerca di una posizione stabile all’interno di un equilibrio globale che si sta ridefinendo. E il confronto è tutt’altro che concluso.

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