La curva di Laffer – che prende il nome da chi l’ha messa in atto: Arthur Laffer, economista dell’University of Southern California, negli Stati Uniti – spiega quale sia la correlazione fra pressione e gettito fiscale. Una rappresentazione grafica nata per persuadere Ronald Reagan, allora candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del 1980, a diminuire le imposte dirette è diventato un caposaldo dell’economia mondiale.
Il suo ideatore si è fatto influenzare da Andrew Mellon, Adam Smith, John Maynard Keynes e Ibn Khaldun. Infatti, nella teoria dell’economia keynesiana, il disavanzo pubblico equivale alla differenza fra spesa pubblica e tasse mentre il gettito fiscale e pari all’aliquota moltiplicata per il Pil ed è direttamente collegata alla produzione della ricchezza.
Che cos’è la curva di Laffer
Si tratta di una teoria controversa che spiegherebbe perché pressione e gettito fiscale alcune volte sono collegati in maniera inattesa. Attraverso la rappresentazione della curva, si dimostra come l’incremento della tassazione può provocare pure un calo delle entrate fiscali. Il grafico, che ricorda la forma di una campana, spiega come teoricamente le entrate fiscali mutano quando varia l’imposizione fiscale. Tutti pensano che, se si aumentano le tasse, le casse dello Stato siano automaticamente più ricche. Invece, parrebbe che l’aumento del gettito non sia sempre automatico.
Nel grafico, sull’asse delle accise si trova la percentuale di tassazione, su quella delle ordinate vengono rappresentate le entrate fiscali. Alla base della teoria ci sono due ipotesi. La prima è che c’è un livello di tassazione ottimale che garantisce di massimizzare le entrate grazie alla riscossione dei tributi. In base alla seconda ipotesi il gettito fiscale sarebbe pari a zero in due casi: se non ci sono le tasse o se si raggiunge quota 100%. Ecco allora che muovendosi a sinistra o a destra del grafico, quindi diminuendo o incrementando la pressione fiscale, si ottiene lo stesso risultato perché il gettito fiscale cala.
Perché il gettito fiscale è zero con la massima tassazione
La curva di Laffer non dimostra soltanto perché, se non ci sono tasse da pagare, il Fisco non ha nulla da riscuotere. Si tratta di una causa-effetto abbastanza ovvia. La campana, piuttosto, spiegherebbe perché ci si troverebbe nella medesima situazione anche se venisse raggiunto il massimo risultato, la riscossione di tutte le tasse che i contribuenti sono tenuti a pagare.
In questo caso, infatti, il prelievo sarebbe azzerato da una serie di aspetti. Fra questi ci sono i tassi elevati di evasione o elusione fiscale e la cessazione di un’attività economica diventata insostenibile. Le aziende infatti sarebbero portate a chiudere e nessun altro sfiderebbe la sorte (e le sue capacità) tuffandosi in una nuova avventura imprenditoriale. Ecco perché la base imponibile su cui viene calcolato il gettito fiscale diminuirebbe pian piano.
La forma a campana
I punti cruciali della curva di Laffer sono tre. C’è la fase di crescita, in cui in un primo momento un aumento dell’aliquota fiscale porta a un incremento del gettito fiscale. Accade quando il Governo si intasca una percentuale maggiore di ricchezza, l’economia rimane stabile e il gettito cresce.
Poi c’è il punto di massimo, quello più alto nella campana, nel quale il gettito fiscale è al massimo. È qui che l’aumento delle aliquote non produce più un aumento delle entrate, ma una fase di stallo.
Successivamente c’è la fase di decrescita in cui, un ulteriore aumento dell’aliquota fiscale porta a una diminuzione del gettito fiscale. Questo succede perché l’aumento delle tasse non incoraggia le attività economiche, provoca il fenomeno dell’evasione fiscale e fa allontanare alcune realtà imprenditoriali che scelgono altre sedi in cui operare, Paesi in cui sono in vigore regimi fiscali più vantaggiosi.
Le implicazioni
Se l’attendibilità della curva di Laffer venisse confermata, sarebbe chiaro come oltre una certa soglia, le politiche fiscali restrittive possano essere controproducenti e portare a una diminuzione del gettito fiscale. Questo avrebbe delle ripercussioni sulla politica economica, perché invita i Governi a valutare attentamente le aliquote fiscali per evitare di raggiungere il punto di decrescita del grafico.
Tuttavia la teoria non è stata accettata da tutti e, anzi, è stata oggetto di critiche. Il punto più debole riguarderebbe la difficoltà di determinare con precisione il punto di massimo sulla curva. Inoltre non vengono considerati tutti i fattori che influenzano in maniera complessa l’economia reale. Infatti, per molti esperti questa rappresentazione è troppo semplicistica e poco vicina al mondo in cui siamo chiamati a vivere e a farci strada. In ogni caso è utile per comprendere quanto siano legati fra loro le tasse e il gettito, un aspetto fondamentale nella gestione della politica fiscale.
Volendo seguire il punto di vista di chi crede nel valore pratico della curva e ha accettato gli assunti dell’equazione di Arthur Laffer, la massimizzazione delle entrate fiscali dovrebbe essere raggiunta non attraverso un incremento non ben identificato delle aliquote, ma trovando un livello di tassazione per cui una sua diminuzione o un suo aumento porti in ogni caso un calo del gettito.
Sul piano teorico esiste un livello di tassazione ottimale che produce il massimo di gettito fiscale in una certa economia. Qualunque scostamento da quella quota si traduce in una diminuzione delle entrate fiscali. Il punto critico però riguarda l’applicazione della curva nella vita reale. La struttura della teoria, infatti, può mutare in base alla realtà alla quale si applica. Inoltre, il calcolo risulta essere ancora più complesso nelle realtà in cui si deve impiegare la tassazione ottimale per massimizzare le entrate.
Realtà Vs curva di Laffer: il mondo è più complicato
La curva di Laffer ha un limite: considera soltanto una aliquota fiscale unica per tutta la popolazione, indipendentemente dal livello di reddito. Invece, si possono considerare modelli con un incremento delle tasse soltanto per le fasce più abbienti. Se si dividessero i cittadini in gruppi diversi in base al reddito, si potrebbe calcolare un livello fiscale diverso. In questo modo, con l’aumento del gap fra il massimo e il minimo di tassazione, si assisterebbe a una redistribuzione della ricchezza.
Se, da una parte, si dà respiro alla classe media; dall’altra diminuisce la diseguaglianza sociale, calcolata con il coefficiente di Gini. Questa è la teoria illustrata da Maria Letizia Berlotti e Giovanni Modenese della Libera Università di Bolzano. In sostanza, la matematica sta portando a riconsiderare la curva e la sua applicazione nel mondo reale.
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