Il dollaro rischia di essere troppo debole e di avere ripercussioni negative per l’Ue. È da aprile 2025 che la correlazione positiva tra il differenziale tra i tassi a due anni Usa e i tassi a breve delle altre principali economie globali si è persa ed è diventata negativa. Questo può rappresentare un problema e a farlo presente è la Bank of America.
Il valore del dollaro dovrebbe seguire i differenziali di tasso d’interesse: se i tassi americani sono più elevati degli europei, il dollaro dovrebbe rafforzarsi, attirando capitali in cerca di rendimento. Al momento, però, questo legame è debole perché il dollaro porta con sé un premio di rischio strutturale legato all’incertezza sull’economia e la politica fiscale degli Stati Uniti.
La condizione di Usa e Ue è strettamente correlata
Gli investitori vogliono una compensazione extra per detenere asset statunitensi e questa distorsione può momentaneamente scollegare il cambio dai tassi ufficiali. Si tratta di una condizione che non è permanente e non appena il fattore di rischio si ridimensionerà o i tagli della Fed si materializzeranno, i differenziali di tasso torneranno a contare e il dollaro rischia un indebolimento repentino.
Ma cosa succede se la Fed taglia prima delle prove di una reale stagnazione economica? La moneta statunitense potrebbe indebolirsi più del previsto. Gli investitori esteri potrebbero ridurre le coperture valutarie, alimentandone la discesa. Normalmente un euro forte sarebbe positivo, ma attualmente potrebbe frenare la ripresa europea prima che inizi sul serio. Infatti, l’export diventa più costoso e meno competitivo e settori già in crisi potrebbero avere ulteriori problemi.
Secondo gli ultimi dati di Eurostat, l’esportazione di beni e servizi è pari a circa il 46% del Pil dell’Eurozona e si aggira attorno al 47-50% se si considera tutta l’Unione. Nel caso di una recessione per via di una diminuzione della domanda estera, la Bce avrebbe poco margine di manovra rispetto alla Fed.
Al 25 giugno 2025, i tassi di interesse si collocano su livelli molto diversi: quelli americani si aggirano intorno al 4,25%-4,50%, con un’inflazione leggermente sopra il target al 2,4% annuo circa; quelli europei sono più bassi, con il tasso sui depositi al 2%, le operazioni di rifinanziamento principali al 2,15% e l’inflazione nell’Eurozona attorno all’1,9%. In conclusione, un dollaro troppo debole potrebbe aggravare le difficoltà economiche europee proprio perché, contrariamente agli Usa, l’Ue non può abbassare molto i tassi e contrastare la recessione.
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